Il caso del politecnico di Milano e il pericolo omologazione

Da quando se ne è venuti a conoscenza, ormai qualche mese fa, la notizia ha suscitato dibattito e commenti che, ora qua ora là, non accennano a diminuire. Mi riferisco alla decisione del Politecnico di Milano di adottare, a partire dal 2014, l’inglese come unica lingua per gli insegnamenti impartiti nei corsi delle lauree magistrali e di dottorato. Quasi tutti gli intervenuti, se non mi sono perso molti contributi, si sono dichiarati a diverso titolo contrari alla decisione, sia pure con differenti motivazioni. Pur sostenendo l’importanza strategica dell’apprendimento di una o più lingue straniere fin dai banchi delle elementari per potersi così aprire, da giovani, alla frequentazione di scuole e università all’estero e, da adulti, a maggiori e più ricche occasioni occupazionali, molti hanno voluto distinguere tra lingua come veicolo e lingua come contenuto: nel primo caso un mezzo per comunicare tra stranieri e per rendere loro intelligibile il nostro pensiero, nel secondo lo schema concettuale di riferimento primario con cui mettere a fuoco il pensiero stesso. In particolare, per alcuni si finirebbe con il sottovalutare l’importanza del rapporto tra lingua madre e struttura logico-argomentativa alla base di ogni ragionamento.

Leggi l'articolo di Paolo Preti - avvenire.it