16/11/06 Alpazur

ALPAZUR 16/11/06

IL PRESIDENTE DI ALLARME LINGUA CI RACCONTA

UNA POSSIBILE NOVITÀ

RIGUARDANTE GLI ESERCITI EUROPEI:

LA PROPOSTA DI INTRODUZIONE DELL'ESPERANTO NELL'UNIVERSO MILITARE

di Giorgio Bronzetti

Già utilizzato in passato dall'esercito americano come "aggressor language", l'esperanto da "lingua della pace" potrebbe cambiare totalmente connotazione, stan­do alla proposta avanzata da Saverio Zuccotti, esperto di scien­ze militari del webzine di analisi politico-militare Pagine di Dife­sa del 9 settembre 2006 (http://www.paginedidifesa.it/2006/ zuccotti_060909.html) passando ad essere identificata come la lingua della guerra. L'ingegner Zuccotti riferisce, facendola propria, la proposta «di attivare una sperimentazione di apprendimento dell'esperanto a livello delle scuole militari liceali di tutta Euro­pa», trovata tra le pagine collegate alle tematiche dell'UNL (Universal Networking Language) di un cibernauta appassio­nato di esperanto e informatica.

Cosí l'ingegnere, scendendo nel campo attuativo: «Si potrebbe pensare ad una campagna di sperimentazione europea con di­versi casi di studio a livello di plotone-compagnia. Ad esem­pio, si potrebbe confrontare la differenza di costo -in termini di tempo e di denaro- dell'insegnamento linguistico alla truppa dell'esperanto e dell'inglese, valutandone poi l'efficacia in condizioni operative reali». La proposta, formulata dall'autore dell'articolo che descrive per sommi capi anche la lingua «spesso definita a torto lingua artificiale», ci appare valida e, anche se può apparire choccante per i pacifisti iridobardati sostenitori dell'esperanto, meriterebbe invece di essere sostenuta e divul­gata perché abbia qualche possibilità di approdare ai livelli di progettazione del futuro dell'Europa. In fondo non si tratta di un'idea balzana campata in aria ma di un progetto pratico per far intendere tra loro i cittadini europei in armi provenienti da 25 paesi, non sempre delle cime, che non devono partecipare a conferenze di politica economica e finanziaria come i parlamen­tari, ma possono soddisfare le loro esigenze comunicative col linguaggio piú chiaro e semplice che ci sia, e certamente per molti anche simpatico. Vuol dire che nella lingua degli europei in armi si svilupperà in particolare la terminologia bellica con forte presenza di verbi d'azione come pafi (sparare), ataki (attaccare), detrui (distruggere), mortigi (uccidere) e simili, e loro derivati all'altezza delle nuove esigenze, ma certamente anche di parole come amo (amore), muziko (musica), plezuro (piacere) e anche paco (pace), naturalmente.

Secondo Zuccotti la proposta dell'introduzione dell'esperanto nelle caserme europee merita di essere analizzata per due ragioni fondamentali: anzitutto, come si è detto all'inizio, l'esperanto è già stato sperimentato con successo dai militari sul campo, scel­to perché, come si dice nel manuale fornito dal Pentagono «non s'identifica con nessuna alleanza militare o ideologia, di gran lunga piú facile da apprendere e usare di qualunque lingua nazionale», «una lingua viva e un mezzo attuale di comunica­zione internazionale scritta e orale, e le sue regole grammatica­li sono tali che essa resterà una lingua viva perché può assimi­lare nuove parole».

«Inoltre, considerato che i militari di truppa non sempre hanno un profilo culturale particolarmente alto, l'insegnamento diffu­so e generalizzato dell'esperanto nelle caserme europee po­trebbe essere la soluzione piú semplice per portare ad un buon livello di padronanza di una seconda lingua la quasi totalità del personale in armi. Tradotto in altri termini, l'interoperabilità lin­guistica tra gli eserciti europei costerebbe con l'esperanto die­ci volte di meno di quanto non costi oggi con l'inglese». Se l'idea dovesse andare in porto, sarebbe naturale, o almeno sarebbe legittimo aspettarsi che l'uso dell'esperanto, una vol­ta superato con successo il ruolo di lingua europea, anche se di guerra, venga esteso anche ad altri ruoli nell'ambito dell'Unione Europea, e non sarebbe la prima volta che un mezzo sviluppato o intro­dotto come strumento strategico militare si sia trasformato in potente veicolo di sviluppo per la vita civile.

Giorgio Bronzetti (presidente di Allarme Lingua)

Da “La Cronaca d’Abruzzo” del 16 settembre 2006, pagina 6.