Disvastigo ha incontrato Giuseppe Macrì, autore del libro "Di esperanto in esperanto". Come ci spiega lui stesso,"ho deciso di raccontare l’esperanto partendo dall’uomo Zamenhof, ecco perché il sottotitolo “storia di un sogno…”: credo che questa possa essere la motivazione in assoluto più significativa per interessarsi a questo tema. Il saggio è corredato da molti dati statistici di mia elaborazione, proprio per fotografare il fenomeno da un punto di vista quantitativo e scientifico, invece che puramente emozionale e soggettivo".
MR. Prima di tutto ci presenti il suo libro
GM. "Di esperanto in esperanto" è una panoramica dei vari stadi attraversati nella sua storia centenaria dalla lingua ideata da Lazar Ludwig Zamenhof, a partire dai suoi prodromi ai giorni nostri. Un saggio che mantiene un approccio giornalistico e realistico del fenomeno, senza miopie utopiche, propagandistiche e fuorvianti. L’obiettivo primario di quest’opera è permettere la conoscenza dell’esperanto. Sapere che esiste un idioma del genere nel 2010 è già un passo avanti. E’ un diritto di tutti i parlanti del mondo, penso.
MR. Il taglio del libro: cosa vuole offrire il tuo libro più di altri libri sull'esperanto
GM. Si tratta di un'opera da me fortemente voluta in quanto, interessandomi all'esperanto, ho rilevato una bibliografia alquanto limitata e molto spesso solo in lingua originale. Questa lacuna oggettiva mi ha spronato ad iniziare la stesura del libro con l'idea di offrire dati, fatti concreti al lettore per spalancargli dinnanzi la possibilità di scoprire un fenomeno così poco noto ai più. Il valore aggiunto dell'opera non posso dichiararlo io, suonerebbe come una captatio benevolentiae, mi limito a fare una semplice considerazione. Nessun italiano ha mai pensato ad un libro trasversale sull'esperanto pensato per chi vuole accedere a questo mondo e ne è del tutto a digiuno. "Di esperanto in esperanto" è una carrellata informativa che spazia dai titoli presenti nel catalogo massese alla letteratura di Auld, dal museo viennese agli scritti di De Mauro sull'idioma pianificato. L'opera di Janton edita nel 1996 vi si avvicina, ma si tratta di un testo tradotto con scarsissimi riferimenti specifici all'esperanto in Italia. Chioserei dicendo che la forza di questo saggio risiede nel poter offrire un'opportunità di conoscenza, poi approfondibile dal singolo lettore. E' un inno all'onestà intellettuale del sottoscritto che si è sentito in dovere di raccontare un fenomeno esistente, vivo e vegeto.
MR. Come ti sei avvicinato all'esperanto?
GM. Per caso dopo aver sentito un riferimento molto celere di una docente universitaria circa l'isomorfismo dell'esperanto. Un commento di appena 30 secondi, troppo poco sinceramente. Questo episodio ha ispirato il libro e mi ha spinto ad approfondire il tema come fenomeno in sé, non solo linguistico.
MR. Quale sarà il tuo prossimo lavoro/scritto?
GM. È ancora prematuro per dirlo ma non escludo che questo saggio possa avere un seguito o possa essere adattato per un pubblico diverso dall'attuale. Ho molte idee in mente, ad inizio 2011 sarò in grado di capire quale sarà la mia prossima opera, avendo la situazione più delineata.
Per ora non sono in grado di sbilanciarmi e ho una sola certezza: la volontà di scrivere ancora. Mi piacerebbe proporre al panorama editoriale qualcosa di sperimentale anche nello stile, chissà.