Giovanni Agresti è ricercatore universitario confermato (ssd L-LIN/04, Lingua Traduzione - Lingua Francese) presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'università di Teramo.  Responsabile della Conferenza Permanente 'Giornate dei Diritti Linguistici', in passato è stato presidente della sezione italiana dell'associazione Langues d'Europe et de la Méditerranée (LEM)

 

Prof. Giovanni Agresti, ci spieghi prima di tutto che cosa è la Carta europea delle lingue regionali. Quando è nata e chi l'ha sottoscritta?



La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie è stata adottata nel 1992 dal Consiglio d'Europa, ed è entrata in vigore nel 1998, dopo le prime cinque ratifiche da parte di altrettanti Stati membri del COE. Come il nome stesso indica, questo trattato internazionale, virtualmente sottoscrivibile anche da paesi extraeuropei, ha come obiettivo la protezione delle lingue regionali o minoritarie, intese come "patrimoni" - purché tali lingue siano "storiche", cioè di antico insediamento in un dato territorio, e riconosciute in quanto per l'appunto lingue e non dialetti. Mi pare necessario sottolineare in particolare un aspetto della Carta:  si tratta di un documento "à la carte", cioè a geometria variabile. Ogni Stato firmatario può infatti decidere, a partire da un nucleo fisso, obbligatorio di articoli fondamentali, quali articoli e quali impegni di tutela sottoscrivere, compatibilmente con le proprie leggi nazionali. E ogni Stato firmatario può, nel tempo, accrescere gli strumenti di protezione sottoscrivendo articoli che non aveva sottoscritto in un primo tempo o includendo nuove lingue nel novero di quelle che aveva deciso in prima battuta di sottoporre a tutela.

 

Quali forze e/o interessi si oppongono alla ratifica di questo documento in Francia? Perché?

La Francia ha firmato la Carta europea nel maggio del 1999 dopo ben tre rapporti ministeriali (Poignant, Carcassonne, Cerquiglini), ma un mese dopo, a causa delle forti reazioni in ambito politico, fu la Corte costituzionale a bloccarne la ratifica, indispensabile per la sua entrata in vigore. Ora come allora si oppongono argomenti di ordine costituzionale, in particolare l'esistenza dell'art. 2 della Costituzione del 1958, modificato proprio nel 1992 attraverso l'aggiunta della frase, considerata oggi un vero e proprio macigno giuridico, "La lingua della Repubblica è il francese". Ma, come si può facilmente intuire, la situazione è molto più complessa e sollecita a mio modo di vedere dei veri e propri nodi culturali molto profondi e irrisolti che riguardano la concezione stessa della "nazione" nella cultura e nell'immaginario francesi. Il problema meriterebbe lo spazio che qui non c'è; mi limito quindi a segnalare un fatto che ritengo emblematico: nel 2008 la Costituzione francese ha conosciuto una nuova importante revisione, e le Lingue di Francia, dopo instancabili lotte culturali e politiche, sono state per la prima volte inscritte nella Carta costituzionale a titolo di "patrimonio" della Nazione. Tuttavia, la loro presenza è in un punto per così dire "periferico" del testo: l'articolo 75. Qualcuno pensava che, essendo le lingue di Francia ormai presenti nella Costituzione, l'art. 2 non avrebbe più costituito uno scoglio alla ratifica della Carta europea. Ma, nei fatti, non è stato così.
Abbiamo quindi potuto osservare come lo sforzo per costituzionalizzare le Lingue di Francia sia stato sostanzialmente vano, come se esistessero, più de facto che de jure, dei principi e quindi dei diritti costituzionali di serie A e dei diritti costituzionali di serie B. Purtroppo, un po' ovunque nel mondo, i diritti linguistici sono spesso considerati diritti di serie B. Ma questo mancato riconoscimento nei fatti malgrado il riconoscimento, pur timido, nella Costituzione, evidenzia come gli argomenti giuridici siano solo apparentemente quelli decisivi, dirimenti. Ho approfondito questo problema in un libro del 2007 che purtroppo è ancora di estrema attualità e a cui mi tocca rinviare: http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/component/virtuemart/area/areascientifica/scienze-dell-antichita-filologico-letterarie-e-storico-artistiche/9788854811713-detail.html?Itemid=201
Diciamo in estrema sintesi che, in Francia (ma non solo in Francia), le lingue regionali o minoritarie suscitano in una parte significativa dell'opinione pubblica una reazione doppia e quasi schizofrenica: da un canto, paura per il timore di veder disgregata l'unità nazionale, particolarmente sentita in Francia (uno degli ultimi e più centralizzati Stati nazione); dall'altro, indifferenza o caricatura, perché si pensa o si vuole far pensare che la questione delle lingue regionali o minoritarie sia un falso problema e tutt'al più una questione di cui si può parlare in un altro momento. Le lingue regionali o minoritarie, in Francia, o spaventano o fanno ridere. In questa cornice ideologica e culturale, diventa difficile portare avanti discorsi equilibrati, e quindi si preferisce non parlarne. Ecco, dallo studio dei dibattiti parlamentari dell'Assemblée Nationale sul problema della ratifica della Carta europea ho potuto riscontrare proprio questo fatto: non è mai il momento giusto per parlare della difesa delle lingue regionali o minoritarie!

In Francia, quali sono le lingue locali con il maggior sostegno popolare? La tutela garantita dallo Stato italiano è superiore o inferiore a quella transalpina?

Nella Francia metropolitana le comunità linguistiche più attive sono, storicamente, le comunità bretone, occitana, còrsa. In questi anni si è assistito a una moltiplicazione di importanti manifesti regionalisti (a memoria ricordo i manifesti di Alsazia, Corsica, Occitania) anche perchè il decentramento, iniziato con la presidenza Mitterrand nel 1981 (la Loi sur la décentralisation è del 1982) non si è mai davvero compiuto e le istanze di difesa della diversità linguistica si sono in qualche modo avvicinate a quelle di una maggiore autonomia delle regioni. In questo movimento di rivendicazione, che non è quasi mai secessionista o nazionalista, mi piace ricordare un'importante manifestazione, lanciata nel 2005 e culminata proprio un anno fa, il 31 marzo del 2012, con la quarta edizione di Anem òc! Per la lenga occitana ("Andiamo, sì! Per la lingua occitana",www.manifestarperloccitan.com/). Si è trattato di una manifestazione "per" e non "contro", che ha visto la partecipazione di circa 30.000 persone che hanno pacificamente e festosamente sfilato per la città di Tolosa alla vigilia delle ultime elezioni presidenziali e alla presenza del Presidente del Senato e di altre importanti autorità istituzionali. Posso dire con gioia che "io c'ero" e ho davvero apprezzato molto la qualità degli slogan, l'intelligenza degli organizzatori e l'entusiasmo di tutti i partecipanti, di tutte le età e di tutte le estrazioni sociali. In quella circostanza ricordo come diversi candidati alla Presidenza si fossero sbilanciati in favore della ratifica della Carta europea, non solo il Partito socialista di François Hollande (che, come Ségolène Royal durante la precedente campagna elettorale, aveva inserito questo specifico punto nel programma elettorale), ma anche il Fronte di sinistra di Jean-Luc Mélenchon, dapprima contrario a tale ratifica. Le vicende di oggi sono quindi una grave disillusione rispetto alle promesse di un anno fa.
Per quanto riguarda l'Italia, la tutela garantita dal nostro Stato è senz'altro superiore: neanche il nostro Paese ha ratificato la Carta europea, ma a fronte dell'esistenza dell'art. 6 della Costituzione ("La Repubblica tutela con apposite norme le minoranze linguistiche") e soprattutto della legge nazionale 482 del 1999 che applica tale articolo, legge certamente migliorabile, possiamo dire che quasi non c'è bisogno della Carta europea, che tutto sommato è un trattato "tiepido" in quanto è stato pensato per star bene a un po' tutti gli Stati membri del COE e non ha alcun potere costrittivo in caso di mancato rispetto degli impegni presi. Ma questo non vuol dire affatto che la situazione in Italia sia ottimale! C'è molta strada da percorrere ancora, e oggi più che mai, dato che ancora troppa gente considera la difesa e promozione delle lingue minoritarie come un problema di qualche improbabile élite e come un lusso del tutto fuori luogo in particolare nei momenti di crisi economica...

E' possibile anticipare i prossimi sviluppi della questione?

Mi pare difficile rischiare previsioni. Quello che mi sento di dire è che, come detto, un anno fa Hollande aveva parlato chiaro e messo nero su bianco la ratifica della Carta europea. Conoscendo la tempra dei militanti delle lingue regionali, sono certo che non molleranno la presa e non  si stancheranno di tornare alla carica. Anche noi dobbiamo fare il nostro dovere e sostenere per quanto possiamo questa lotta di civiltà: una vittoria della diversità linguistica non è mai solo francese o italiana o spagnola, è una vittoria del bene comune e della dignità umana. E forse, oggi, abbiamo un argomento molto forte, che ieri non avevamo: il mercato unico, globale, per il quale nei decenni sono state più o meno smantellate le cosiddette barriere linguistiche, intese per l'appunto come ostacoli, impacci, alla "libera" circolazione di idee, merci e persone, ci ha portato a una frustrazione e a una crisi globali: siamo proprio sicuri che aver liberato il mercato attraverso l'idolatria del codice strumentale unico abbia anche liberato l'individuo e reso migliore la società?