La vera arma dell'Islam? L'arabo classico

 

Dal Golfo a Ramallah, un asse linguistico contro i dialetti e lo strapotere dell'inglese

 

Una jihad culturale scuote il mondo musulmano

 

 

In tutti i Paesi del mondo i partiti affrontano la crisi della politica spostandosi al centro: perché mai Ramallah, Betlemme, Gaza, dovrebbero fare eccezione?». Lo storico cavallo di battaglia del profes­sor Mohammed Dajani Daoudi, l'inti­ma aspirazione palestinese alla via di mezzo, irrita regolarmente gli studenti dell'università Al Quds, che non gli per­donano la presidenza dell'American Studies Institute, un centro studi con­giunto con il nemico americano. Cosa accadrà ora che il tabù è uscito dall'au­la? Daoudi, indifferente alle accuse di collaborazionismo, è sceso in campo: sul concetto accademico di moderazio­ne coranica ha fondato il movimento politico-religioso Wasatia, che in arabo significa equilibrio, sfidando le prote­ste ormai minacciose della componen­te radicale, a suo dire minoritaria, del­la società palestinese. Un partito isla­mico di centro a battesimo nei giorni caldi della violenza incrociata tra israe­liani e palestinesi, del ritorno alle armi, del tramonto di Annapolis. Una piatta­forma programmatica pronta alla pro­va delle prossime elezioni, concorrente diretta di Hamas malvista allo stesso tempo dai «laici» di Fatah.

 

«Finché continueremo a discutere in inglese di "dialogue", "balance", "democracy", la gente ascolterà di­stratta il suono vuoto di parole straniere, occidentali, la retorica di Condole-ezza Rice», osserva Daoudi nella sede dell'associazione israeliana MediaCen-tral, a Gerusalemme. In sottofondo l'eco della battaglia di Betlemme, con i carri armati israeliani a caccia di aspi­ranti terroristi e cattivi maestri. La so­lidarietà palese o dissimulata dei suoi connazionali all'attentatore della yeshi-và, che giovedì notte ha ucciso otto stu­denti israeliani, lo lascia indifferente.

Daoudi, aiutato da 180 attivisti della prima ora, ha studiato le intenzioni di voto e sa che teoria e pratica difficil­mente coincidono, soprattutto in Ter­ra Santa: «Il 10% dell'elettorato palesti­nese attivo convoglia su 35 formazioni laiche che fanno capo a Fatah. Il 9% sul­l'opzione islamica, ossia Hamas. Resta un 80% vergine, fluido, conservatore e musulmano ma sensibile al richiamo del quieto vivere, la tavola apparecchia­ta, i figli a scuola». L'uovo di Colombo,

l'ambizione umana alla normalità, il com­promesso tra un fiero giorno da leone e cento imbarazzati risvegli da agnello. Una parola magica citata e raccomanda­ta dal Profeta Maometto nella surah del­la vacca (versetto 143): wasatia, modera­zione.

 

La lingua come guida nel labirinto dell'afasia che divide i palestinesi dagli israeliani, dai palestinesi, dal mondo ara­bo. Una storia raccontata da molteplici narrative. Domenica il politburo degli Emirati Arabi Uniti ha proposto il ritor­no all'arabo classico, il verbo del Corano, come collante identitario per 450 milioni di persone, popoli fratelli ma separati dall'incomunicabilità dei dialetti, le ere­dità culturali, le necessità. I palestinesi, senza patria, sono i primi a rispondere con un nuovo partito che parla l'idioma comprensibile a Ramallah ma anche a Dubai e Riad.

«Siamo un popolo islamico, legato al­le nostre tradizioni», concede Daoudi. Ma cosa c'è davvero nell'album di fami­glia? La piccola jihad, la guerra santa contro gli infedeli, oppure la grande jihad descritta dallo studioso francese Gilles Kepel, la sfida interiore al miglio­ramento individuale? Secondo il fondato­re di Wasatia, il Dna arabo e palestinese è impresso nel Corano: «Il Profeta dice

che Allah ci ha creati come una nazione di mezzo, una umma, una famiglia equili­brata». Un mese fa a Ramallah ì compa­gni di Fatah gli hanno proposto di firma­re un documento a sostegno della resi­stenza incondizionata all'occupazione. Ha rifiutato.

 

«La moderazione è la forma di resi­stenza più efficace», continua. Un anno fa, il primo venerdì di Ramadan, il mese sacro dell'Islam, era sul balcone del suo appartamento di Beit Hanina, a metà strada tra Gerusalemme e Ramallah, la vista delle colline spezzata dal muro di­fensivo costruito da Israele: «Al check-point c'erano decine di palestinesi diret­ti alla moschea Al Aqsa. I militari non li lasciavano passare. All'improvviso il ca­os, scontri, spari, fumo, grida». Allarma­to, il professore è sceso in strada: «Si erano già accordati, gli israeliani avreb­bero trattenuto i documenti dei palesti­nesi diretti alla moschea e li avrebbero restituiti loro al ritorno». Morale? «I pa­lestinesi volevano solo andare a pregare. Fossero stati ideologizzati come vorreb­be Hamas non avrebbero mai raggiunto un'intesa».

 

Il giorno successivo Mohammed Dajani Daoudi ha progettato Wasatia, Corano alla mano e nel cuore la bandiera dello Stato che non c'è. Giura d'essere sommerso dalle richieste d'iscrizione: «Se Hamas e Fatah mi lasceranno rag­giungere le urne mostrerò al mondo e agli israeliani il volto musulmano e mo­derato dell'elettorato palestinese». Una De mediorientale per rimettere a posto il dopoguerra.

 

IL MANIFESTO DI DUBAI

Unire tutti i musulmani

con l'uso della lingua

«come desiderava Allah»

LA DC PALESTINESE

il progetto piace al nuovo

partito di centro nato

in Cisgiordania: Wasatia

NAZIONE DI MEZZO

Lo studioso Dajani Daoudi

«Dobbiamo vederci come

una famiglia moderata»

VOGLIA DI NORMALITÀ

Anche in Palestina cresce

una classe media che vuole

«lavoro, quiete, scuole»

VOGLIA DI NORMALITÀ

Anche in Palestina cresce

una classe media che vuole

«lavoro, quiete, scuole»

 

La Stampa 13/3/08 p.13