50 anni fa, 15 aprile 1958, i sei Stati fondatori della Comunità Economica Europea, nucleo iniziale della attuale Unione europea, stabilirono con il Regolamento n.1/1958 il regime di totale parità delle rispettive lingue come “lingue ufficiali e lingue di lavoro delle istituzioni”e quindi è stato d’obbligo per
Nel comunicato della Crusca si afferma: “Dopo 50 anni, questo regolamento è pienamente valido, essendo stato confermato via via che l’Unione ha accolto altri Paesi”, il che non fa che immalinconirci profondamente. Tale affermazione, come tutta la celebrazione, non può derivare dalla mancanza assoluta di conoscenza dell’attuale regime discriminatorio dell’Ue se, come scrive Gian Luigi Beccaria su
Gli unici a protestare, a quanto pare finora, sono stati gli esperantisti che hanno emesso un comunicato ripreso da qualche agenzia dal titolo “Senza la lingua internazionale esperanto non ci può essere multilinguismo giusto nell’Unione europea” che purtroppo lascia il tempo che trova in quanto propone una specie di chimera, almeno come tale sarebbe certamente percepita tale proposta dalla maggioranza degli uomini di governo e di pensiero per l’idea che generalmente si ha
dell’esperanto. In effetti invocare l’esperanto come unica garanzia di multilinguismo appare certamente categorico ed ingenuo agli addetti ai lavori compresi i cruscanti che considerano l’esperanto tuttalpiù una lingua pret-à-porter per scambisti di francobolli, a ciò contribuendo gli stessi esperantisti che parlano di una lingua perfetta, capace di esprimere tutto, e che si impara subito, cosa al di fuori di ogni logica per chi ragiona. Piuttosto perché non organizzare una conferenza internazionale di politici e tecnici della comunicazione linguistica coinvolgendo lo stesso Orban e l’ONU per fare il punto sullo stato dell’esperanto e la sua idoneità, anche se con qualche rattoppo se fosse necessario, a fungere da interlingua in organismi internazionali? O prendere il volo e rispettato da tutti, se promosso, o accontentarsi, per consolazione, del malinconico ruolo di lingua della pace e delle rimpatriate dei congressi esperantisti.
Giorgio Bronzetti