Riproponiamo un’intervista a Manuel Giorgini, noto personaggio del mondo esperantista in Italia (veneziano d’origine, ex consigliere della Gioventù Esperantista Italiana, di cui gestisce il sito. Attualmente vive a Mestre) che fa sempre piacere rileggere e riporta alla memoria eventi più o meno recenti.

D. Quando e come sei entrato in contatto col mondo esperantista?

R. Ho sentito parlare per la prima volta della lingua da piccolo, credo a 6 o 7 anni: era presente sul secondo manuale delle giovani marmotte. Ricordo però che non capii di preciso che cosa fosse.
Ne ho poi sentito parlare più avanti, ma da non esperantisti, ricevendo quindi la solita sfilza di giudizi affrettati o derisori ("utopia", "non la parla nessuno", ecc).
Ho deciso di impararla nel novembre 1995; ero da poco su Internet e in un sito di raccolta software per Amiga avevo trovato un corso "elettronico", che sfruttava il sintetizzatore vocale proprio di quel computer per illustrare la pronuncia. Tuttavia a metà corso lo dovetti interrompere. Passò un anno
perché me ne ricordassi, e nel dicembre 1996 avevo ufficialmente concluso quel piccolo corso. Istantaneamente cercai su Internet per avere maggiori informazioni, trovando il SEK, Senkosta Esperanto-Kurso (la versione elettronica del corso postale britannico, che servì tra l'altro come base per la primissima stesura del corso della IEJ, il Kirek). All'epoca era solo disponibile in inglese, ma mi iscrissi e lo completai egualmente. Successivamente trovai sempre più materiale su Internet, e cominciai a corrispondere per posta elettronica o per chat con esperantisti da tutto il mondo. Ho quindi cercato contatti locali, ma il club di Venezia non esisteva piu', e solo un paio di mesi dopo sono riuscito a "ri"-trovarlo a Mestre.

D. Qual è l'aspetto che ti ha interessato maggiormente, all'inizio, della lingua di Zamenhof?

La facilità di apprendimento, sulle prime. Vedevo l'Esperanto come un sacco di mattoncini Lego, che mi hanno sempre appassionato, e sentivo che imparandolo avrei acquisito uno strumento molto interessante, anche solo per sperimentare nuovi tipi di espressività linguistica.
E' stato però solo dopo aver letto il Manifesto di Praga che ho cominciato a provare interesse per tutto ciò che sta dietro alla lingua, portandomi sulla strada dell'attivismo.

D. Innumerevoli sono i progetti linguistici nati negli ultimi due secoli, e spesso rimasti sulla carta; secondo te perché l'Esperanto, tra tante lingue "artificiali", ha avuto un tale successo in termini di diffusione (pensiamo che nel caso dell'Esperanto, i parlanti si contano a milioni mentre nel caso delle altre lingue si parla di decine o al massimo migliaia)?

R. E' una domanda che non mi sono mai posto. Credo che la risposta debba necessariamente riferirsi al preciso periodo storico in cui l'Esperanto ha visto la luce, periodo attorno al quale molti progetti di lingua ausiliaria sono sorti. Molto probabilmente l'Esperanto ha potuto cavalcare l'onda del Volapük, acquisendo fin da subito una certa massa critica di locutori che si stavano allontanando dal precedente progetto. Inoltre e' anche possibile che la componente "umanitaria", che se vogliamo eleva l'Esperanto rispetto alle altre lingue ausiliarie, sovente sorte più per gioco o come semplice curiosità linguistica, lo abbia reso più interessante agli occhi delle entità nazionali o sovranazionali (ricordiamo ad esempio il dibattito sull'Esperanto avvenuto alla Società delle Nazioni), o a singoli individui.

D. Cosa ci puoi dire delle altre lingue inventate? Ne conosci qualcuna? Pensi che anche il movimento esperantista se ne dovrebbe occupare in qualche modo, magari attraverso un confronto con gli altri movimenti analoghi (penso all'Ido, al Volapük, all'Interlingua.)?

R. Conosco di nome tutte le lingue che citi, e mi sono anche interessato al Novial e al lojban. Ho a casa un manuale di Volapük risalente al diciannovesimo secolo (ristampato); ho provato (invano) a cimentarmi nell'apprendimento del lojban, e la scissione che ha generato l'Ido mi ha molto affascinato. Tuttavia non posso presentarmi come locutore di alcuna di queste lingue; al più riesco a leggerne qualcuna.
A mio parere molte delle questioni portate dall'Ido sono interessanti e condivisibili, e se dovessi io oggi progettare una nuova lingua ausiliaria molto probabilmente le terrei bene a mente; ma mi sento del tutto d'accordo con Zamenhof, quando, nel Fundamento, mette bene in guardia dai cambiamenti alla lingua, affermando e ribadendo molto enfaticamente che qualsiasi riforma ne avrebbe decretato la morte, giacché avrebbe diviso in due il movimento e introdotto incoerenza con la letteratura passata, facendo crollare la considerazione che i non-esperantisti avrebbero avuto della lingua. Ricordo che subito dopo aver imparato l'Esperanto non facevo altro che immaginare come migliorarlo ulteriormente, e ricordo che la contrarietà dei miei amici esperantisti di lunga data mi irritava; sorrido pensando che ora sono io a suggerire cordialmente ai miei corsisti che modificare la lingua è una pessima idea, quando qualcuno di loro mi fa presente questa o quella imperfezione nella grammatica.
Credo che il movimento debba sicuramente abbracciare qualsiasi confronto con i suoi "colleghi" di altre lingue ausiliarie, se possibile, giacché vedo nei loro sforzi lo stesso spirito dell'Esperanto e la stessa dignità delle altre lingue, etniche e non. Credo però che sia prioritario, per il momento,
sforzarsi di diffondere, a tutti i livelli, una informazione equilibrata sull'Esperanto, per distruggere i pregiudizi di cui e' avvolto nell'opinione popolare.

D. Ci puoi parlare del tuo attivismo all'interno del movimento esperantista?

R. Tecnicamente, il mio ingresso nell'attivismo e' stato durante l'agosto 1997, poco prima del congresso internazionale giovanile (che si tenne ad Assisi, ed al quale non potei partecipare). Un pre-congresso era stato organizzato a Venezia, ed il club di Mestre, nel quale bazzicavo ogni tanto, mi aveva invitato molto calorosamente a fare un salto per vivere l'ebbrezza di un vero incontro internazionale. Arrivai molto presto, quando sul posto c'erano solo gli organizzatori, tra i quali mancava però il responsabile principale, che all'ultimo momento si vide negare le ferie; e per questo notavo una certa preoccupazione sui loro volti. Durante le presentazioni tra me e loro feci
cenno, ingenuamente, che parlavo un po' di esperanto e che conoscevo bene la zona... solo quando fu troppo tardi mi resi conto del mio "errore": ero già stato reclutato di forza nella squadra! Il giorno dopo toccò a me disegnare una escursione di 3 ore per la città e condurre più di 80 esperantisti per la medesima. Tornammo alla "base" solo in una trentina, e tuttora non so che fine hanno fatto gli altri! Fu comunque una splendida esperienza e ricordo che diventai un vero esperto nella ricerca di parole sul dizionario che mi tenevo costantemente sottobraccio...
Nel febbraio del 1998 partecipai ad un incontro per nuovi attivisti, e durante il Festival di quell'anno entrai a far parte del consiglio direttivo, che lasciai a malincuore nel 2003 per un infoltimento negli impegni della mia vita privata e professionale (oltre che per approssimazione dei limiti di età).
Mi sono occupato inizialmente della gestione della cassa, non per particolare passione finanziaria, ma perché mi ritenevo molto inesperto di volontariato e ho preferito occuparmi di una attività che non richiedesse particolare intraprendenza. Ho anche ricoperto, con molto interesse, il posto di
amministratore del festival.
Dal 2000 al 2001 ho rivestito la carica di presidente.

D. Cosa ha rappresentato per te l'organizzazione di un festival internazionale? Quali sono state le difficoltà? E le soddisfazioni (se ce ne sono state.)?

R. Posso solo parlare del lato amministrativo, perché da sempre ho preferito astenermi dall'organizzazione del programma, attività che vedevo come molto più "concettuale", per la quale è necessaria una creatività che non ho mai sentito mia.
Ho affrontato l'amministrazione con spirito "informatico", ossia catalogando maniacalmente l'informazione ricevuta (iscrizioni, caparre, ecc) e strutturando strumenti adeguati in grado di gestirla. Sono molto contento di aver introdotto alcune metodologie di lavoro e di pensiero che tuttora restano in vigore e che vengono ora considerate necessarie per il lavoro degli amministratori di oggi.
L'amministrazione è un lavoro molto faticoso durante il festival stesso, festival che l'amministratore riesce appena a godersi, chiuso in ufficio fino a tarda notte. Ma le soddisfazioni sono immense (quando tutto finisce bene...).
Inoltre l'amministratore deve necessariamente poter parlare con tutti i partecipanti (durante la loro iscrizione), il che significa che viene (ri)conosciuto da tutti e diventa molto semplice formare delle amicizie.

D. Di cosa ti occupi attualmente?

R. Tra il 2002 e il 2003 ho partecipato, in qualità di unico sviluppatore, al progetto informatico nel quadro della ristrutturazione del corso di Esperanto della IEJ. Il sistema è entrato in produzione da due anni, sostituendo quello vecchio, e il mio compito è quello di monitorarne lo stato e apporre dei
miglioramenti o delle correzioni ove necessario.
Sono anche un tutore nel corso, da parecchio tempo.
Collaboro con la IEJ anche come webmaster del sito web
(http://iej.esperanto.it), sul quale presto installerò un sistema CMS per poter garantire agli attivisti maggiore velocità di aggiornamento; e in generale fornisco volentieri la mia esperienza da attivista e da informatico, quando ce n'è bisogno.

D. Come vedi l'attuale consiglio direttivo della IEJ? Riuscirà a combinare qualcosa di buono? :-)

R. Lo spirito c'è, e rispetto ai "miei tempi" ci sono anche strumenti più efficaci. Manca forse il tempo, e, forse più grave, non si vede un ricambio all'orizzonte. Per poter mantenere i risultati e portare avanti gli impegni della Gioventù, e' necessario che i giovani esperantisti prendano coscienza del fatto che senza qualcuno "dietro le quinte" che si offra di collaborare, non si possono avere i festival, il corso on-line, o questa stessa rivista.

D. La tua opinione sull'ultimo festival a Jesolo?

R. Finalmente una struttura con il Wi-Fi! Scherzo ;-). Ho partecipato solo pochi giorni, e nonostante il meteo inclemente e gli spazi talvolta stretti, mi è piaciuto. Mi ha fatto anche piacere rivedere molti amici ungheresi che avevano "disertato" il festival di Abetone.

D. Che consigli ti sentiresti di dare alla IEJ in vista del congresso mondiale che si terrà a Firenze nel 2006?

R. Sono convinto che i ragazzi del consiglio direttivo sono perfettamente capaci di pianificare quanto necessario. Mi permetto però di far presente che è veramente necessario caldeggiare in qualsiasi modo la collaborazione di nuove leve, sia per migliorare il lavoro esistente, sia per consentire un più fluido ricambio nel consiglio stesso.