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“Ogni due settimane muore una lingua indigena”, questa la frase che ho colto navigando in vari siti sull’argomento; avvilisce, certo, questa notizia e comunque, continuando a documentarmi ho scoperto che diverse biografie degli “ultimi madrelingua” serbano un fascino romantico. |
"Ogni due settimane muore una lingua indigena", questa la frase che ho colto navigando in vari siti sull'argomento; avvilisce, certo, questa notizia e comunque, continuando a documentarmi ho scoperto che diverse biografie degli "ultimi madrelingua" serbano un fascino romantico.
Storie di personalità che hanno combattuto per preservare la propria cultura e la propria lingua dall'estinzione, a partire da Ishi; ho trovato notizie su di lui, su un sito molto interessante: www.nativiamericani.it , che si occupa dei Nativi Americani, proponendosi di diffonderne la voce per aiutarli concretamente.
Ishi era l'ultimo sopravvissuto della tribù indiana degli Yahi, appartenente al popolo Yana; questa tribù fu distrutta nella strage di Mill Creek nel 1866, durante il periodo della caccia all'oro da parte dei Californiani; per diverso tempo egli rimase nascosto in una capanna costruita in un canale per sfuggire ai bianchi, poi, rimasto senza famiglia, affamato e solo fu costretto ad uscire allo scoperto e si presentò il 29 agosto del 1911 davanti ad un mattatoio in un luogo vicino Sacramento; a quei tempi, in quella zona, si sparava a prima vista agli indiani ma lo sceriffo del posto lo accolse.
Subito si interessarono al caso due antropologi Alfred L.Kroeber e Thomas Waterman, dell'Anthropological Museum in California, più tardi si unì a loro il medico Saxton Pope, che divenne molto amico di Ishi e che seppe cogliere la personalità di questo "ultimo indiano selvaggio d'America", come lo stesso Pope lo definì; egli potè vederlo anche nel suo ambiente naturale, nelle foreste in cui era vissuto, dove ritornò per passarvi una settimana e dove fu di nuovo libero di nuotare e di tirare con l'arco; stando a contatto con lui Pope capì la grande saggezza di quest'uomo che, nonostante il trattamento che la sua gente aveva ricevuto dai bianchi, non serbava rancore verso di loro, il suo cuore era troppo limpido; egli era molto vicino alla natura e pensava
che i bianchi fossero intelligenti ma molto condizionati da sovrastrutture mentali.
Ishi fu al centro degli studi di questi antropologi, i quali ne esaminarono i costumi e la lingua, supportati da altri nativi il cui dialetto era simile a quello degli Yana; egli fu portato in California e assunto come aiuto-portiere all'Anthropological Museum ma nei fatti non si occupava di questo lavoro, il nativo mostrava ai visitatori la costruzione di archi e recipienti e l'accensione del fuoco con dei bastoncini di legno; anche in queste occasioni Ishi dimostrava purezza e saggezza nelle relazioni con gli altri, dando più importanza alla gente comune che alle personalità che erano giunte sul posto per vederlo.
Il nativo si era ben adattato alla vita dei bianchi ma nonostante ciò si ammalò di tubercolosi, forse per carenza di difese immunitarie contro un tipo di malattia per lui importata e malgrado le cure del suo ormai caro amico Pope, morì nel 1916, a 55 anni. Kroeber, anch'egli molto legato a Ishi, richiese che l'ultimo nativo fosse seppellito secondo il rito Yahi, e così il suo corpo venne cremato e sepolto con cinque frecce, farina, ghiande e punte di ossidiana, una sorta di roccia vulcanica; la sua tomba è in un cimitero di San Francisco e sulla sua lapide è incisa una frase che egli ripeteva spesso per salutare le persone: "Voi restate, io me ne vado".
Nei cinque anni della sua vita tra i bianchi Ishi lasciò un notevole patrimonio linguistico e culturale tra canzoni, interviste e documentari, che venne però trascurato e che andò perciò distrutto.
Un'altra interessante figura tra gli ultimi madrelingua fu Dolly Pentreath; questa donna è stata l'ultima persona a parlare il cornish, l'antico idioma di origine celtica diffuso in Cornovaglia fino al XVII secolo, quando iniziò ad essere parlato solo da alcuni abitanti della parte occidentale della penisola.
Dolly Pentreath caratterialmente non era certo la bambolina a cui il nome farebbe pensare! Difatti la ricordano come una donna dal carattere forte e schietto; era sposata ad un pescatore, si occupava delle vendite del pesce e quindi era di frequente a contatto con i commercianti; probabilmente era dovuto a questo il fatto che avesse acquisito i loro modi spavaldi e preso l'abitudine di bere diverse pinte di birra insieme a loro; spesso viene citato un episodio particolare durante il quale si ricorda la sua faccia dura, con la pipa in bocca, affacciarsi alla finestra della sua casa per gridare contro alcuni pescatori che erano sbarcati presso la sua abitazione in cerca del marito; volevano proporgli di arruolarsi nella marina.
La donna non si limitò alle sole urla ma uscì di corsa con un'accetta in mano imprecando in cornish e minacciando di distruggere le barche dei pescatori che, prevedibilmente, si allontanarono per non far più ritorno.
Dolly Pentreath assunse lo stesso atteggiamento quando insultò sempre in cornish lo studioso Daines Barrington che in visita a Mousehole, la città dove viveva la donna e dove la conobbe, suppose che lei non conoscesse l'antico idioma della sua terra.
L'ultima madrelingua della Cornovaglia, amava molto la sua antica lingua e la difese sempre con i suoi modi ostinati, fin nelle sue ultime parole, in punto di morte, che, a quanto ricordano, furono: "Non voglio parlare inglese!".
A differenza di quello che successe all'antico idioma Yahi parlato dall'ultimo Nativo Americano Ishi, molti sforzi sono stati fatti per riportare alla vita questo antico idioma della Cornovaglia tanto caro a Dolly Pentreath ; recentemente è stato anche girato un film dal titolo "Bitter Sweet", recitato interamente in cornish.