Comenius

CAPITOLO VI

La terza via, la più efficace per eliminare la con­fusione delle lingue, è la MONOGLOTTIA, cioè l'introduzione di una lingua in tutto il mondo. Che lingua, quale e perché sia auspicabile.






1. A dir proprio la verità, qualunque sia la faci­lità cui è possibile ridurre lo studio della poliglottia, nondimeno così non si provvederebbe nel modo mi­gliore per il bene del genere umano, perché, per quanto si imparino con la massima facilità le lingue, soltanto l'impegnarsi nell'impararle sarebbe una perdita di tempo (destinato alle cose). Inoltre, l'ec­cessivo studio delle lingue ha finito, per molti, col diventare qualcosa di sciocco, poiché, come ci inse­gnano alcuni esempi, quante più uno ne sa, tanto più deve temerne la confusione. Infine, colui che si diverte eccessivamente con le cortecce delle parole, quasi mai può arrivare al nocciolo delle cose con sufficiente soddisfazione. Per tacere del fatto che in tal modo il giudizio sulle cose viene confuso, piut­tosto che favorito, a causa delle nomenclature molto confuse e imperfette delle lingue volgari: dalle medesime espressioni non nascono, di solito, i medesimi concetti.



2. Niente, dunque, di più vantaggioso si può pen­sare, che rendere all'unico genere umano un solo labbro, se si può: ogni unità è salvezza per le cose e morte invece è la divisione; risulta così da una legge eterna. L'essenza, la vita, la salute delle cose non sono altro che continua coerenza delle parti, la morte e la rovina delle cose non sono altro che la dissolu­zione delle parti coerenti. È bene, infatti, separare al minimo anche la società umana e unirla invece al massimo: sia rispetto a DIO (nel quale dobbiamo unirci) e alle cose (create per l'utilità comune), sia rispetto agli stessi uomini e alla natura stessa dei consociati. In ciò sta l'inizio primo della nostra perdizione: per non aver reso a DIO il dovuto osse­quio siamo talmente caduti in basso, che ci uniamo più facilmente con qualsiasi altra cosa, perfino con lo stesso nemico Satana, piuttosto che con DIO, fonte di vita e di salvezza. Ecco perché abbiamo perso anche il dominio delle cose: essendoci allon­tanati dalla fonte della luce, o si è spento in noi il lume della mente o si è oscurato a tal punto che con cieco impeto, come a tastoni nelle tenebre, ci buttia­mo su ogni cosa e quasi nessuna di esse capiamo in ordine al loro proprio fine e alla loro utilità. È subentrata una nuova pena a causa del rinnovato peccato di superbia (nella Torre di Babele): la disso­luzione del nostro vincolo sociale,

causata dalla confusione delle lingue, la quale fa si che noi o in nessun modo o a malapena ci uniamo attraverso la comprensione reciproca (eccetto pochi abitanti in qualche parte della Terra).



3. Pertanto il rimedio completo per la società umana lacerata: la gioia, la luce e la ricongiunzione piena della società umana, si possono sperare sol­tanto da un restaurato vincolo comune: la lingua. Si deve, dunque, auspicare e chiedere a Dio con la preghiera e si deve anche operare per quanto è possibile, affinché tutte le nazioni della Terra abbia­no un vincolo comune di mutua conversazione: una lingua sola, cosa assai conveniente, facile e utile. Conveniente, perché è molto opportuno che in casa, in città, nella regione, nel popolo, vi sia una sola lingua con la quale tutti gli abitanti si capiscano. Non è forse vero che il mondo è la patria comune a tutti gli uomini? Non è vero che la Terra tutta è comune abitazione di ognuno? Non è vero che tutti siamo una sola nazione, noi, nati da Adamo, e una sola parentela? Certamente. Più facile sarà per tutti gli uomini imparare una sola lingua, piuttosto che cia­scuno ne impari molte; com'è più facile per tutti i cittadini organizzare le proprie attività in una sola città, dove c'è per tutti un orologio comune che suona, piuttosto che là dove se ne vedono di più e con ore diverse. Di utilità infinitamente maggiore, poi, sarebbe ricongiungersi così anche in unità, piuttosto che abbandonarsi nella dispersione, soprattutto se si sceglierà, in funzione di messaggero comune, una lingua che sia più facile, più soave e più sapiente delle altre, dietro la cui guida tutti i mortali, appli­candosi alle cose [con lo studio], imparino ad esser saggi meglio di quanto eran soliti fare. È, infatti, necessario giungere fino al punto che la lingua ci serva non solamente quando si tratta di [chiedere] un pezzo di pane o la via da prendere, ma anche quando si deve parlare delle grandi opere di DIO (Atti, 2.11).



4. Quale sarà la lingua che riteniamo degna di essere raccomandata a tutte le nazioni del mondo? Se sarà una fra quelle esistenti, sarà difficile sperare che si venga ad un accordo, perché le nazioni più sapienti e dal labbro più colto stimeranno che il proprio idioma sia degno di tale onore e auspiche­ranno che sia accettato quello (tutti egoisti come siamo). Né sarebbe facile dirimere la causa intorno a "quale di quelle" e "per quale pregio" si raccoman­di. La lingua ebraica accampa l'antichità: coeva del mondo; la greca prospetterà la sua ricchezza; la latina la sua eleganza (ed è comunemente diffusa qua e là fra le genti); l'italiana la facilità; la francese la soavità; la spagnola la maestà; la tedesca la gravità; l'araba e la slava la diffusione e le altre [lingue] altre qualità. E allora questa gara facilmente turberà l'intero consiglio, così che non si andrà avanti.







5. Quand'anche tutti volessero concordemente o per puro amore giungere all'elezione di un ottimo labbro, ci si accorgerebbe che nessuna lingua, tutta­via, adempirebbe a tutte quelle condizioni che ab­biamo insegnato richiedere una lingua perfetta.



6. Se si deve preferire una lingua, allora si prefe­risca la prima [nel tempo] finché è possibile averla; oppure una delle ultime, la più ornata.



7. Se sarà la prima, otterrà la preferenza per il diritto di primogenitura. E quale? Tutti indicano essere la lingua ebraica.



1. I vocaboli, infatti, che prima del diluvio furo­no dall'inizio costantemente

usati, sono esclu­sivamente ebraici: precisamente i nomi pro­pri: Adamo,

Eva, Caino, Abele, Tubalcain, Noè.

2. La lingua ebraica è la più semplice di tutte, quindi anche la prima. I nomi

composti deri­vano, infatti, dai semplici. La semplicità della lingua

ebraica si vede sia nella materia, sia nella forma: materialmente ogni

tema è un verbo e da qui proviene il nome, proprio ad indicare la prima

produzione delle cose. Dal­l'azione di DIO, infatti, iniziarono le cose:

l'azione e la passione, in tutto furono prima delle cose. Così pure, poiché ogni tema è di tre lettere, ciò manifesta sia una analogia perfet­tissima, sia l'immagine della Trinità, di cui questa lingua è stata il primo dono fatto all ' uo­mo ed essa stessa se ne servì immediatamen­te parlando con lui. Formalmente, in verità, poiché le declinazioni e le congiunzioni della lingua ebraica sono facilissime, sopportano un minimo di varietà e di anomalie, la qual cosa è indizio certissimo di priorità fra le lingue.

3.Non c'è quasi nessuna lingua sotto il cielo (di quelle, è chiaro, a noi finora note) che non abbia in comune con quella ebraica qualche vocabolo o forma di vocabolo. Da ciò appare del tutto verosimile che la lingua ebraica è stata la prima. Preferiamo, dunque, o soste­niamo soltanto, questa, così che le ultime si rispecchino nelle prime? Ad ognuno potrebbe sembrar giusto così. Aggiungo che è stata santificata da DIO con la sua parola e con l'inscrizione della croce di Cristo. Ciò, dun­que, significherebbe tornare alle origini. È tuttavia difficile riuscirvi perché ciò che è all'origine è rozzo, ciò che è perfetto è invece assoluto. La lingua ebraica 1. è rozza e aspra; 2. povera; 3. abbonda di omonimie; 4. la sua lettura, senza i punti, è difficile e incerta, con i punti è lenta. A questo aggiungi l'insuffi­cienza dei vocaboli e l'inidoneità a moltipli­carli se necessario, magari per il fatto che non la possediamo per intero, ma soltanto in parte.



8. Forse, dunque, qualche altra? La lingua gre­cai Infatti: 1. fra quelle note è la più adatta; 2. consacrata anche dallo Spirito Santo attraverso gli scritti apostolici; 3. coltivata anche con scritti del­l'umana sapienza. C'è però una difficoltà che deri­va: 1. da una superflua abbondanza di vocaboli, 2. dall'abbondanza di infinite anomalie, 3. da infinite omonimie, 4. multiforme per i dialetti e le sinonimie di cui sovrabbonda oltremodo, così da apparire non unitaria, bensì molteplice e, di conseguenza, adatta non a unire gli spiriti e le lingue, ma a disperderli, 5. non capisce essa stessa le proprie radici come appare dal Cratilo di Platone(1).



(1) Comenio non cita un luogo particolare, ma fa riferimento alla discussione sui "nomi" che permea tutto il dialogo platoni­co, il quale ha veramente suggerito più di qualche formulazio­ne all'interno della Panglottia e, soprattutto, per il tentamen di una lingua universale: natura del nome, corrispondenza tra "nome" e "cosa", ecc.



Obiezione: è stata però santificata dall'iscrizione della croce di Cristo e dalle tavole della nuova alleanza. Risposta: Si è detto altrove che la Divina Provvidenza sa adeguarsi alle situazio­ni: quando volle, con la voce del Vangelo, parlare ai popoli del suo tempo, scelse la lingua tra loro più diffusa a quel tempo per meglio comunicare con le genti dell'Impero romano (non era ancora penetrata negli altri popoli).



2. Vuole parlare assolutamente a tutti affinchè la Terra tutta sia un piano (2)



'(2) Riferimento a Isaia, forse, là dove dice: Nel deserto prepa­rate la via del Signore, appianate nella steppa la strada per il nostro Dio (40.3).



-vuole che a tutti torni il labbro puro - di ciò si ebbe un preludio nel giorno della Pentecoste con la prima disce­sa dello Spirito Santo sugli Apostoli. Dove, dunque, si diffonderà lo Spirito Santo sopra ogni carne, tutte le lingue saranno santificate nel Signore; rimane, però, giustamente, la questione di una lingua perfettissima.

3. Resti, sia pure, santa per la Chiesa e le Scuole filosofiche, insieme con le lingue ebraica e latina. Nondimeno per l'uso comune delle genti bisogna ricercare un labbro eletto con i requisiti che l'idea evidenzia, affinchè sia: 1. ricchissima, sufficiente ad esprimere ogni cosa, 2. facile, tuttavia, più che adatta ad essere capita da tutti, 3. tutta razionale e sapiente; ossia chiara [perfino] in ogni apice e veramen­te pansofica.



9. Se si dovesse scegliere una delle lingue tra­mandate, proverei a convincere di rivolgersi alla lingua latina (insieme con Ludovico Vives)(3) (cfr. meth. ling. novissima, cap. XXVII, 5-8); perché: 1. è più evoluta elle altre, 2. è già nota a noi, dai quali il rinnovamento delle cose deve essere racco­mandato [e di cui] dobbiamo convincere gli altri, 3. non ignoriamo proprio questa via da raccomandare alle genti della terra, già trovata nella Porta delle



(3) Ludovico Vives, di origine spagnola, nacque a Valenza il 6.3.1492, cento anni prima del Comenio. È uno dei maggiori umanisti e pedagogisti del suo tempo. Scrisse opere fondamen­tali per la storia della Pedagogia, come: De institutione feminae Christiana (1523), De tradendis disciplinis (1531). Fu amico di Tommaso Moro. Morì a Bruges, nelle Fiandre, nel 1540. Prima ancora del Comenio, propose che la gioventù imparasse innan­zitutto "ihr angeborene Muttersprache". Fu anticipatore di una pedagogia basata sull'osservazione psicologica e di un insegna­mento più aderente alla natura, alla vita del bambino.



Lingue<4). E, tuttavia, non basta al fine voluto: 1. per la difficoltà che nasce dalla grande varietà (nelle de­clinazioni, nelle coniugazioni, nella struttura, ecc.), 2. per l'imperfezione. Non la possediamo tutta e non comprendiamo tutto quanto abbiamo di essa (Cfr. Met. Ling., X,8. Su ciò bene ha scritto Cnappius, Ind. App. 36, col. 1 e 2)<5>. E soltanto un ruscello pro­veniente dalla lingua greca: la segue senza ugua­gliarla (Cfr. Met. Ling. VI). Avendo quindi bisogno di essere perfezionata e non potendosi far questo senza enorme difficoltà, scrupoli e contese, sarebbe più facile e preferibile cercarne e crearne una del tutto nuova.



10.Nessuna di quelle volgari, anche se assai evo­lute, perché, non mancandone i difensori e vantando ogni gente la propria Elena, la questione non proce­derebbe senza incontrare invidie, dispute, remore e nuove confusioni. E non ne abbiamo, per la verità, conosciuta nessuna abbastanza adatta. L'italiano, lo spagnolo, il francese sono rivoli della lingua latina arricchiti non già di nuove fonti, bensì di nuove



(4) Comenio allude alle varie opere da lui scritte per l'appren­dimento del latino: Janua Linguarum Reserata ( 1631 ), Januae Linguarum Vestibulum (1633), De ostruendo comenianae ja­nuae latinitatis Tempio (1657) e Didactica Dissertatio (1638).

(5) È il gesuita polacco Gregorz Knapski (1574-1638). Pubbli­cò un dizionario Polacco-Latino-Greco a Cracovia nel 1631 -32. È citato nella Did. M., cap. XVIII, 25; cap. XX, 25; nella Novissima linguarum methodus, cap. XV, 15; cap. XX, 2.



lacune. La scioltezza e la soavità raccomandano il francese, ma non può costituirsi veicolo di sapienza, in quando non poggia su radici proprie, è anzi cresciuta su quelle altrui. Anche l'inglese è ritenuto più facile, ma si adatta meno tuttora, perché è fatto di maggiori prestiti.



11. E che dire della slava?. È più adatta perché: (1) le radici hanno suoni quasi naturali, (2) è feconda nella composizione e nella derivazione, (3) ha ogni genere di suoni, ossia lettere. E tuttavia anch'essa non risponde all'intento universale: 1. perché è stridula nei suoni e nell'accostamento delle consonati; 2. è divisa in molti dialetti che a fatica si intendono; quale di questi prenderemmo? 3. Ognuno di questi dialetti abbonda di infinite anoma­lie.



12. E il tedesco? In gran parte è meglio di tutte queste, perché 1. ha radici proprie e non abbi­sogna di radici straniere, 2. esse sono tutte mono­sillabiche e molto adatte alla composizione; 3. le radici coincidono nel significato con la lingua pri­migenia del mondo, 1 'ebraico, tanto da credere che sia una sola lingua - come si sono sforzati di di­mostrare e di proclamare Goropius e Skrieckius -. Non ci sarebbe bisogno di negar loro l'assenso se quel che dicono si potesse comprovare con maggior chiarezza. Ma il mendacio di cui Skriec­kius accusa Goropius si ritorce, in realtà, su di lui stesso (6).



<6) Non mi è stato possibile avere notizie bibliografiche di questi due autori; probabilmente furono dei grammatici abba­stanza noti ai tempi del Comenio.







Ecco, infatti, quel che si può stabilire con tutta verità:

1. Che la lingua tedesca è idonea più di tutte a questi accostamenti per la brevità delle radici, così che sembra essere ciò che non è, (2) o, se lo è, per avere, fra tutte, recepito maggiormen­te dalla primigenia, nonché per la caratteristi­ca acquisita della composizione (ciò che la primigenia lingua ebraica non conosce) di tutte quelle tramandateci si avvicina di più al nostro scopo, ma non è adatta all'intento di universalità per queste ragioni:

1. I suoni delle radici non sono naturali (in ciò la lingua slava è già molto meglio) né, quindi, i vocaboli composti che ne derivano, possono mostrare la composizione che sottostà alle cose significate.

2. Abbonda di anomalie nei significati e nelle formazioni, ossia di omonimie, paronimie e di inutili sinonimie come nessun'altra; nemme­no nella declinazione dei nomi e nella coniu­gazione dei verbi o nella fraseologia risulta sufficientemente articolata; numerose sono le ambiguità e le oscurità.



13. Forse che l'Asia, l'Africa o l'America posso­no offrirci qualcosa da preferire alle altre? Sappia­mo che per facilità, eleganza e vigore sono lodate le lingue turca, persiana e mongolica, mentre in America la messicana; ma non ce n'è alcuna che ci offra più di quanto facciano il greco e il latino o le nostre, e nemmeno che possa rispondere alla perfezione desiderata.



14. Abbiamo visto, dunque, che nessuna delle lingue conosciute, così come sono, basta al nostro intento. E così non c'è alcuno sforzo che valga a portare qualcuna di quelle a tanto, da esser sufficien­temente adatta al nostro intento, perché nessuna ha radici proprie; né nasce da radici proprie, così che i vocaboli derivati e composti non vengono capiti nel proprio significato.



15. Che cosa dunque, occorre fare? È necessario cercarne una nuova che possieda la perfezione massima sotto il cielo, in modo che:



1. risponda, per dovizia, all' ampiezza delle cose, perché contiene ogni possibile varietà di suo­ni;

2. risponda, per la qualità delle strutture, alla struttura dei concetti e sia perciò veicolo ap­propriato, per la mente, delle sue nozioni (capace di esprimere ogni varietà presente nelle cose);

3. sia tuttavia, per se stessa, facilissima in quanto tutta analogica, non resa oscura e complicata da nessuna anomalia. Queste tre cose proven­gono dalla universalità, semplicità e sponta­neità.



16. Abbiamo, quindi, pensato ad una lingua addi­rittura cento volte più facile, più gradevole e più perfetta di tutte quelle usate finora.



1. Più facile, per poterla imparare senza perdita di tempo.

2. Più gradevole, perché sia un piacere imparar­la e averla imparata.

3. Più perfetta, in modo che giovi assai imparar­la per capire le cose stesse e il suo uso sia, di conseguenza, introdotto prima di tutto e so­prattutto fra i dotti e, infine, nelle scuole, ma possa anche diventare comune all'universo intero.





Anzi meglio, aspiriamo ad una lingua nuova a tal punto che sia in grado di spingerci verso questi fini eccelsi.

1. Vorremmo avere una lingua comune a tutte le genti per rendere accessibile al genere umano tutto l'universo sotto il cielo.

2. Un unico strumento comune per illuminare l'intelletto umano con la luce vera e per quanto possibile perfetta della conoscenza.

3. Un mezzo potente per predicare il Vangelo ad ogni creatura sotto il cielo e perciò per sotto­mettere a Cristo tutti i confini della Terra.



17. Il nome di questa lingua potrebbe essere:

1. razionale, perché non avrebbe, infatti, nel suo aspetto materiale e formale niente che non sia significativo fino ai più piccoli apici,

2. analogica, per nessuna ragione, infatti, con­terrebbe alcunché di anomalo,

3. armoniosa, perché rappresenterebbe, infatti, l'armonia delle cose e dei concetti e la propa­gherebbe nelle umane menti,

4. naturale, perché esprimerebbe, infatti, la na­tura delle cose,

5. mistica, perché spiegherebbe, infatti, i misteri delle cose,

6. filosofica, perché sarebbe, infatti, un bello strumento per trasmettere la sapienza,

7. pansofica, perché sarebbe, infatti, il vero sa­crario della sapienza universale, fedele e prov­vida sua dispensiera: sarebbe inoltre un mezzo più che adatto a promuovere più facilmente per tutto l'universo lo studio della sapienza,

8. pura ed eletta come sta scritto in Sof. 3.9 <7),

9. potrebbe pure esser chiamata Mercurio comu­ne dell'orbe terrestre. Le altre sono e finora erano lingue di determinate nazioni e regni: questa sarà la lingua dell'orbe terrestre. Quel­le prendono il nome dalle nazioni, dalle città e dai popoli, questa conviene si chiami lingua del mondo o dell' uomo



(7) Allora io darò ai popoli un labbro puro perché invochino tutti il nome del Signore...".



10. infine, anche lingua dei maestri (come sta scritto in: Sal. 45.2) (8), in quanto, pur conser­vando tutte le genti la propria lingua, questa sarebbe tuttavia l'interprete felice dei maestri su tutta la Terra...



18. La necessità che tale lingua sia dieci volte più ricca, cento volte più perfetta (per esprimere la natura delle cose) e mille volte più facile, appare chiaro da quanto segue:



1. le lingue moderne mancano tutte di un'infini­tà di cose: non sono, dunque, complete,

2. non spiegano le cose, anzi, per lo più e nella maggior parte dei casi, le complicano: non sono dunque perfette,

3. abbondano di infinite anomalie, dunque sono difficili. Noi poi aborriamo dall'imparare le lingue difficili come il greco rispetto al latino, il tedesco rispetto al francese, ecc. Inoltre vorremmo che restasse più tempo per lo studio delle cose.

[1] Tutte le lingue antiche, perciò, sono inadatte ai nuovi tempi: (1) o perché sono troppo im­perfette, difettose e, dal momento che non ci sono più, non vengono coltivate e di loro ci resta o ben poco o niente, (2) o perché, dopo



(8)Effonde il mio cuore liete parole, io canto al re il mio poema. La mia lingua è stilo di scriba veloce"



aver incominciato a coltivarle in modo irrazio­nale, si sono troppo disperse e si sono fatte distorte come la lingua greca (materialmente e formalmente non unitaria, ma molteplice), (3) o anche, se più perfette, si fecero distorte, tut­tavia, per le anomalie, come le lingue tedesca e slava.

2. Poiché ogni supremo pansofico deve essere tale per la perfezione suprema (altrimenti sarebbe inutile) così anche questa suprema lingua del genere umano deve superare non solo quella primigenia antidiluviana, unica, comune, rozza, ma anche tutte quelle erudite che seguirono: 1. per la ricchezza dei vocabo­li e non soltanto di quelli primitivi semplici, ma anche dei derivati e composti, 2. per la proprietà e l'evidenza dei significati, 3. per la perenne e naturalissima analogia delle forma­zioni, grazie alla quale diventa soprattutto e sommamente facile e gradevole e il cui elo­quio è più dolce del miele e fluisce con mag­giore abbondanza di ogni fiume stracolmo.

3. Quanto procede l'umano intelletto, altrettanto deve farlo la sua interprete: la lingua. Ma l'in­telletto degli ultimi tempi deve assurgere a luce e perfezione somma, quindi anche la lingua.



19.Ad ogni modo, poi, conviene che la lingua nuova sia ricca e piena per esprimere l'ampiezza delle cose, ma anche breve, perché: 1.se le cose sono a portata di mano preferisco mostrarle piuttosto che dirle, dice Seneca (9). Questa lingua, però, dovrà costituire il catalogo delle cose, sarà dunque eccel­lente se sarà brevissima. 2. Deve essere veicolo della sapienza; è tuttavia proprio della sapienza non dire molte parole, ma sagge. 3. Lo studio delle cose è esteso, non va, quindi, frenato dalla loquacità della lingua. 4. Il parlare breve e vigoroso è una caratte­ristica della sapienza. E proprio del sapiente dire non molte ma sagge parole. La prolissità del discor­so, infatti, è indizio di imperfezione, sia di chi parla, il quale non sa sollecitare con prontezza i sensi, sia di chi ascolta, per il quale, alla fine, la cosa è descritta in così tanti modi. A tal proposito gli Angeli non hanno bisogno di parlare perché capi­scono le cose e manifestano la loro volontà gli uni agli altri con un semplice cenno. Così pure i sapienti apprezzano il discorso breve perché capiscono di più e meglio di quanto non sia necessario con verbosi giri di parole. È certo che soltanto gli oziosi, cui non importa quel che stanno facendo, amano la loquacità. 5. Lo stesso discorso breve e arguto è via alla sapienza, altrimenti non incominciamo a capi­re, ossia ad agire; la loquacità svanisce in se stessa. Perché, dunque, ne avremmo piacere? Il discorso





9) La citazione di Seneca differisce qui e dall'originale e da quella riportata dal Comenio nel precedente cap. III § 3. Vedi.



deve servire alla mente, che tuttavia è svelta nel pensare e non si sofferma a lungo sulla stessa cosa, ma passa dall'una all'altra. Il discorso non la fermi, dunque, mentre essa s'aggira per le cose, ne sia piuttosto pieno, così che non solo non freni l'animo nello studio delle cose, ma, anzi, ne lo ricolmi. A tal proposito Licurgo, legislatore degli Spartani, volen­do ottenere che la gioventù della Laconia fosse in grado di operare bene, insegnò l'abitudine ai discor­si brevi ma perspicaci,

così da dire molte cose con poche parole: da qui è invalso l'uso di chiamar laconico un discorso del genere. Ma anche ai nostri tempi, quanto più diffuso si è fatto lo studio delle cose, tanto più si richiede la ricerca di un discorso più conciso. 6.La stessa necessità, infine, per cui noi siamo soliti parlare, ci costringe a far sì che dispo­niamo di tale strumento acuto e penetrante fin dove vogliamo. Non dobbiamo tanto insegnare agli igno­ranti, infatti, ma convincere i pervicaci, trascinare, strappare, sgominare, i refrattari.



20. La nuova lingua dovrà, tuttavia, esser breve e insieme tutta significativa. I vocaboli di tutte le lingue sono dei suoni, ossia il movimento dell'aria percossa dal plettro della lingua, sì da esprimere innanzitutto i moti e gli stati dei corpi; poi, per analogia, vengono designate, talvolta, le cose incor­poree ed extrasensioriali, come la mente insieme con i suoi pensieri, lo spirito e l'angelo e infine Dio. Da ciò risulta chiaro: 1. che i suoni ben articolati rendono chiara la lingua, 2. che i suoni consonanti e conformi alle cose rendono la lingua significativa [chiara], 3. che le parole materiali si possono utiliz­zare per esprimere, grazie all'analogia, le cose spi­rituali, 4. che quel che serve ad esprimere le cose spirituali, quanto più ha di analogia, tanto meglio, 5. che quanto più, in esse, vi è di grave e metaforico, tanto più sarà profondo e sottile. Il vocabolo deve esprimere la cosa stessa nel modo più esatto, così da imprimere la nozione, ossia l'immagine, nella mente di chi ascolta, nella maniera più celere e appropriata, in modo che la cosa stessa e il vocabolo che la esprime e la sua nozione, che si rivolgono alla mente, diventino immagini parallele in tutto simili, ossia rappresentative di sé. E così che la lingua sapiente deve aprirsi la strada.



21. Dappertutto è necessario che vi sia l'armo­nia. Se DIO, infatti, concederà che la moltitudine delle cose e finanche la confusione siano ridotte, ad armonica eleganza nella Pansofia e la moltitudine dei concetti e la confusione ad accordo nella nostra mente, sarà più che giusto che anche il terzo ente verbale (che, visto nella sua universalità, è la lingua nella sua interezza) sia ridotto ad armonia.