Giorgio BronzettiRaramente si parla sulla stampa italiana del problema della comunicazione e dell´offerta esperanto se non per rapidi accenni e con vecchi luoghi comuni come l´affermazione in senso dispregiativo che trattasi di lingua ´artificiale´, fatta a tavolino, e comunque di un tentativo fallito. Se si cercasse di saperne di più si scoprirebbe però che l´esperanto come lingua è ben viva, che possiede una estesa letteratura originale e in traduzione non solo di narrativa, ma anche di scienza e tecnica (non certo paragonabile a quelle delle nazioni maggiori ma pur sempre apprezzabile e che dimostra l´esistenza di un notevole patrimonio lessicale). Sfogliando poi qualche rivista in tale lingua si vedrebbero spesso recensioni delle novità, segno dell´esistenza di una editoria e di un pubblico di lettori, cosa non trascurabile.

Il calendario poi delle manifestazioni ed incontri in ogni parte del mondo, riportato in bella evidenza sui periodici, sorprenderebbe chiunque come anche il numero di siti che usano l´esperanto nella rete, che si moltiplicano giorno per giorno. Constatare allora che dopo più di cento anni dalla sua nascita (cento anni con due guerre mondiali e dittature varie non certo favorevoli verso una lingua di pace e democrazia) l´esperanto esista ancora e sia così diffuso, eppure così ignorato dai media, ecco cosa dovrebbe meravigliare . E dovrebbe colpire anche il fenomeno esperanto come fatto non solo linguistico ma sociologico Come sia la prima volta nella storia dell´umanità che un disegno linguistico (fatto di carta) lanciato da un solo uomo si è diffuso in tutto il mondo divenendo in tal modo lingua viva (e naturale) di una comunità che l´ha fatta propria, spinta dal desiderio di comprendersi attraverso una lingua comune, cioè di tutti e di nessuno. Che poi l´esperanto non sia diventato La Lingua Internazionale , la seconda lingua per tutti e, nel caso a noi più vicino , della comunità europea non dipende assolutamente dalle qualità della lingua, che anzi non mancherebbero, ma dalla mancanza della volontà politica di risolvere il problema della comunicazione in modo semplice, giusto, cioè senza discriminazioni, e senza pericolo di degrado delle lingue etniche.

Con l´entrata dei nuovi Stati nell´Ue, alcuni dei quali, come l´Ungheria, hanno sempre favorito lo studio dell´esperanto sia nelle scuole medie che nell´università, e con l´acuirsi dei contrasti tra le nazioni maggiori il dibattito linguistico potrebbe quindi volgersi a nostro favore. Da un sondaggio effettuato qualche anno fa tra i passanti nel centro di Trieste (città in cui invero c´è sempre stato un attivo gruppo esperantista) è risultato, con grande sorpresa degli organizzatori, che più del 95% degli interpellati non solo conosceva cosa era l´esperanto, ma auspicava che fosse insegnato nelle elementari ed adottato come seconda lingua nell´Ue. Eppure, come dicevamo, la stampa è stata sempre avara di informazioni circa il problema e l´istanza esperantista che viene trattata con molta indifferenza e liquidata al massimo con delle battute. Ci si aspetterebbe un impegno maggiore da parte di chi ha la responsabilità di informare e soprattutto di formare opinione (certi giudizi-come quelli della stanza di Montanelli per fare un esempio- restano punto di riferimento per milioni di lettori). I maggiori opinionisti italiani, stuzzicati da entusiasti-ma imprudenti- sostenitori dell´esperanto, che pretendevano di convincere con semplici letterine chi non ha mai affrontato seriamente il problema ( Umberto Eco che lo ha fatto ha invece riconosciuto la validità dell´offerta esperanto e la possibilità di una celere diffusione tramite la televisione), si sono espressi tutti , senza possibilità di replica naturalmente, più o meno grossolanamente contro la proposta esperanto. Paolo Granzotto su Il Giornale del 10/2/2000 diceva: ´se dopo più di un secolo dalla sua creazione la lingua ´universale´ è parlata solo da un pugno di appassionati, una ragione ci sarà´. Se si fosse informato Granzotto avrebbe appreso che lo stadio di lingua di ´un pugno di appassionati´ è stato superato da più di cento anni e se avesse riflettuto gli sarebbe chiaro che l´ affermazione dell´esperanto come strumento ufficiale della comunicazione internazionale dipende unicamente dalla volontà politica senza la quale anche se l´esperanto fosse conosciuto da 50 o 100 milioni di persone non se ne farebbe niente (lo spagnolo è parlato da circa 280 milioni di anime in Europa e America ma non sembra venga candidato come lingua ausiliaria). Umberto Cecchi su La Nazione dell´11/2/001, rispondendo ad un altro appassionato sostenitore, dichiarava che nonostante se ne parlasse da anni l´esperanto non aveva attecchito. Bravo! Beppe Severgnini , seguendo pedissequamente l´esempio del suo maestro Indro Montanelli, che aveva definito l´esperanto ´solo un gioco intellettuale, più costruttivo del gioco a piattello´ ha voluto darci anche lui un buffetto sulla guancia dicendo ´l´esperanto è un hobby delizioso (come la pesca)´ aggiungendo ´ma da qui a farne la lingua del mondo, ne passa´. Non ne passa molto, invece. Solo la volontà politica, appunto. Sergio Romano in Panorama del 14/4/001 ,rispondendo a chi pensava di catechizzarlo con due parole, affermava :´una lingua comune non serve´ dato che c´è già ed è l´inglese perchtè ´il linguaggio moderno delle comunicazioni, della gestione aziendale´ è l´inglese e cercare parole nuove in laboratorio allo scopo di esprimere un concetto per il quale esiste già una parola originale, che molti conoscono, diverrebbe un esercizio astratto´. Sergio Romano dovrebbe capire che si può essere ben disposti ad usare la parola computer, desktop ed altre ancora (come usiamo in barca termini marinareschi che non adoperiamo però sulla terra ferma), ma molto meno ad usare sleepingbag per sacco a pelo e proprio per niente ad usare bread per pane e wine per vino e che il ´question time´ della camera ci sembra una cafonata. E poi Romano penserà che per esprimere in esperanto un termine internazionalmente usato come ad esempio ´verve´ si debba ricorrere chissà a quale elucubrazione mentre, una parola già internazionale di solito riceve solo la terminazione morfologica (del sostantivo nel nostro caso = o) e quindi ´vervo´. Aggiungo le ultime due chicche in cui mi sono imbattuto come curiosità. Valentino Parlato sul Manifesto del 3/1/002 : ´Quanto tempo durerà l´euro seppure riuscirà a partire´ E non è come l´esperanto, la lingua nella quale tutti avremmo dovuto parlare e che è morta prima di nascere?´ Devil su L´Espresso del 17/1/002 : ´La lingua europea sta diventando non l´esperanto che non è mai stata una lingua ma l´inglese´. In considerazione della totale disinformazione esistente in Italia circa il progetto esperanto è sorta l´agenzia stampa Disvastigo che, avvalendosi della collaborazione di esperti di interlinguistica di indubbia autorevolezza e di giornalisti operanti nei centri vitali dell´Ue, fornisce alla stampa notizie e articoli di approfondimento sui problemi della comunicazione e sugli sviluppi del dibattito linguistico nella comunità europea, nell´intento di sensibilizzare gli operatori dell´informazione sulle tematiche esperantiste dando a queste lo spazio che meritano. Giorgio Bronzetti Direttore dell´agenzia Disvastigo (Diffusione alla stampa di notizie, articoli e documenti sui problemi della comunicazione in difesa delle lingue e delle culture)