È del 24 maggio la notizia della bocciatura da parte del TAR della proposta di escludere la lingua italiana dai corsi di laurea specialistica e dei dottorati del Politecnico di Milano. Il Tribunale Amministrativo Regionale della Lombardia ha giustificato la propria sentenza in quanto l'esclusione dell'italiano in tali corsi inciderebbe sulla libertà di insegnamento e sul diritto allo studio, citando a tal proposito l'articolo 6 della Costituzione Italiana:
L’italiano è la lingua ufficiale della Repubblica nel rispetto delle garanzie previste dalla Costituzione e dalle leggi costituzionali.
Inoltre, i magistrati hanno scritto nella sentenza:
le scelte compiute dal Senato accademico con le delibere impugnate si rivelano sproporzionate, sia perché non favoriscono l’internazionalizzazione dell’ateneo ma ne indirizzano la didattica verso una particolare lingua e verso i valori culturali di cui quella lingua è portatrice, sia perché comprimono in modo non necessario le libertà, costituzionalmente riconosciute, di cui sono portatori tanto i docenti, quanto gli studenti.
Ovviamente condivido nella sostanza la sentenza del TAR e spero che agli studenti, oltre a una preparazione in lingua italiana, siano impartite anche lezioni non solo di lingua inglese ma anche in lingua inglese. Tuttavia, ci sono una serie di questioni che vorrei porre.
La sentenza del TAR cita la libertà di insegnamento e il diritto allo studio. In sostanza, vuol dire che non è giusto discriminare chi non sa l'inglese. Su questo siamo d'accordo: una persona non va mai giudicata in base alla lingua che parla. Il problema è che il Politecnico è una scuola di eccellenza e di conseguenza tende a sfornare laureati per il mercato internazionale. La lingua veicolare appena varcati i confini italiani è senza ombra di dubbio l'inglese. Di conseguenza, un laureato al Politecnico che non sa svolgere il suo mestiere in lingua inglese è fortemente limitato nelle proprie scelte di lavoro, in quanto potrà rivolgersi solo al contesto italiano e con molta più difficoltà al mercato estero. Non citiamo poi le difficoltà per chiunque si affacci all'ambito della ricerca e che quindi dovrà fare i conti tutti i giorni con colleghi stranieri e una sterminata mole di pubblicazioni in inglese.
Ammettiamolo: chi è in grado di comunicare solo in italiano si trova di fatto in una situazione di emarginazione perché l'italiano è inutilizzabile fuori da un contesto nazionale.
Il Politecnico in oggetto è a Milano. Non tutti lo sanno, ma i milanesi parlano un'altra lingua oltre l'italiano, cioè il lombardo (codice ISO 639-3 lmo). Per anni, e ancora oggi, i lombardofoni continuano ad essere discriminati e la loro lingua è continuamente osteggiata in forza del fatto che sarebbe un fattore di emarginazione in quanto inutilizzabile fuori da un contesto regionale.
Italiano e lombardo, seppure in scala differente, ora si trovano sullo stesso piano, minacciati dalla stessa dinamica. Le reazioni delle istituzioni, nonostante questo dato di fatto, sono apertamente contrastanti: disinteresse, quando non guerra aperta, contro la lingua regionale; appello ai diritti e lode della diversità linguistica quando si parla dell'italiano. Si può dire che il discrimine è l'ufficialità: l'italiano è infatti la lingua ufficiale dello Stato italiano e la lingua lombarda non è riconosciuta nemmeno a livello regionale. Questo però significa ammettere che lo Stato italiano protegge alcuni parlanti e ne discrimina altri. Vogliamo credere che non sia così, e che la mancata tutela delle lingue regionali sia solo frutto della scarsa consapevolezza sul tema.
La tutela della diversità linguistica non ammette doppie misure. Se l'atteggiamento nei confronti delle lingue rimarrà identico all'attuale, quando le nostre lingue regionali saranno pressoché estinte l'italiano sarà già minacciato nei suoi ambiti funzionali dalla lingua inglese. Tutti conosceranno l'idioma di Albione, quindi l'italiano non sarà più necessario per vivere in Italia. Nel mondo del lavoro chi parlerà meglio la lingua inglese sarà enormemente avvantaggiato. La marcata internazionalizzazione, sia per via dell'immigrazione in Italia che dall'emigrazione verso l'Europa, per non parlare delle comunicazioni via Internet, favorirà gli scambi internazionali e quindi l'omogeneità linguistica. Molti genitori, in queste condizioni, inizieranno a parlare esclusivamente l'inglese ai propri figli, evitando ogni interazione in italiano. Non basteranno le leggi di uno Stato ormai impotente di fronte all'evidenza dell'inutilità della lingua italiana. Se qualcuno piangerà per la scomparsa dell'italiano, la risposta della società sarà ovvia: nel secolo scorso abbiamo fatto piazza pulita dei "dialetti" perché erano inutili, perché ora dovremmo tenerci un'altra lingua inutile?
In conclusione, l'unico modo per evitare un futuro monolingue è la presa di coscienza da parte delle masse che la diversità linguistica è un valore di per sé, e che quindi ogni tipo di idioma, dalla lingua di Stato al dialetto del paesino di montagna, è una ricchezza che rende migliore il nostro mondo. In caso contrario, nessuna lingua è al sicuro: il prestigio linguistico si può ribaltare nel giro di una generazione.
Articolo originale: Politecnico di Milano: tra internazionalizzazione e provincializzazione