Renato Corsetti

Decennio Educazione e Sviluppo Sostenibile: una grande occasione

Diversità linguistiche e tutela ambiente

Di Renato Corsetti* Che il pianeta sia a rischio lo hanno capito tutti, anche i bambini che non trovano più pesciolini nei ruscelli italiani o passeri nelle campagne intorno alle città. Sembra che non lo vogliano capire solo coloro che hanno più contribuito a ridurre il pianeta com’è oggi: i grandi utilizzatori di risorse proprie ed altrui alla faccia delle generazioni future. Non ho fatto nomi. Fateli voi, se vi vengono in mente.

Le anime buone della comunità internazionale, da decenni dichiarano, denunciano, si appellano, provano, insomma, a fare qualcosa. Già da alcuni anni sono arrivate alla conclusione che ci sia un aspetto culturale in tutto questo grande consumare, e da qui è nato il Decennio dell’Educazione allo Sviluppo sostenibile, che trova origine in una proposta formulata in occasione del Vertice Mondiale di Johannesburg, che nel 2002 ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale sul ruolo fonda­mentale che l’educazione riveste nel percorso individuale e collettivo verso lo sviluppo sostenibile.

L’iniziativa promossa per il periodo 2005-2014, vede in primo piano tra gli attori l’Unesco, attivamente impegnato in una campagna volta a diffondere la “cultura della sostenibilità”. Quali le azioni da intraprendere per dare concretezza al Decennio? L’Unesco ha sottolineato sin dal primo momento quanto segue:- è importante di attivare partenariati a tutti i livelli e chiamare alla collaborazione tutti i soggetti interessati, istituzionali e non, sottolineando in particolare il ruolo delle rappresentanze della società civile, del settore privato, dei media, delle istituzioni, e della ricerca.

Educare alla sostenibilità non vuol dire, quindi, trasmettere passivamente nozioni, ma stimolare il pensiero critico, il senso dell’incertezza e del limite riferito agli effetti del nostro agire quotidiano, indurre il senso di collettività e responsabilità nei confronti del mondo in cui viviamo.

Il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi, decide la velocità del degrado. La velocità con la quale viene dissipata l’energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie umana. Si arriva così alla sostenibilità, intesa come l’insieme di relazioni tra le attività umane, la loro dinamica e la biosfera che ha delle dinamiche generalmente più lente. Quello che è vero per le risorse fisiche è vero, sostiene l’Unesco, anche per le culture. L’attuale sistema porta alla sparizione progressiva di tutte le culture a vantaggio solo di quelle più forti. Negli ultimi anni i rapporti elaborati dagli esperti dell’Unesco hanno sempre più denunciato la scomparsa delle lingue, come indice di questo genocidio silenzioso a livello mondiale. Così come nei secoli abbiamo assistito alla scomparsa - o minacciata scomparsa - di innumerevoli specie animali e vegetali, così al momento attuale sono - secondo dati dell’Unesco (www.unesco.org) almeno 3000

Delle 6000 lingue riconosciute nel mondo sono in grave pericolo di estinzione. L’attuale maggior potere a livello mondiale di una sola lingua ha effetti economici, sociali ed educativi preoccupanti per l’evidente supremazia di un gruppo di nazioni e per la scom­parsa di molte culture e lingue che non appartengono a quelle nazioni.

Di questi temi si è occupato il 91° Congresso Mondiale di Esperanto, riunitosi a Firenze agli inizi di agosto con 2209 partecipanti da 62 nazioni, che hanno dibattuto il tema del ruolo della lingua e della cultura per uno sviluppo sostenibile ed il possibile ruolo della lingua internazionale esperanto in questo campo. L’adesione della Associazione Mondiale di Esperanto a questi temi apporta una notevole spinta, in quanto i suoi soci sono diffusi in tutti i paesi del mondo e quindi la risonanza è globale, dal Cile alla Cina.

Il Congresso, comunque, ha chiesto alle organizzazioni internazionali, con cui da anni il movimento per l’esperanto collabora, come l’Unesco e le Nazioni Unite, ai singoli governi dei paesi economicamente evoluti ed alle organizzazioni ambientaliste di cominciare a considerare seriamente lo stretto legame tra la diversità culturale e linguistica e le problematiche ecologiche. In altre parole, dicono i parlanti di esperanto, l’appiattimento linguistico-culturale su una sola lingua ed una sola cultura è la premessa per un mondo in cui la diversità scompare e lo sviluppo dei paesi non predominanti è più difficile e più costoso.

D’altro canto l’utilizzo di una lingua poco costosa in termini di risorse necessarie per l’insegnamento e l’apprendimento può rendere molto più facile e più sostenibile lo sviluppo in molti paesi che oggi spendono miliardi di euro per insegnare lingue straniere come l’inglese con l’unica conseguenza di rendere la loro industria culturale solo tributaria di quella americana ed incapace di produrre idee nuove.

E’ nell’interesse anche delle associazioni che difendono le lingue nazionali, come l’italiana Allarme Lingua, o la Lega Europea delle Lingue, in via di definizione sotto la spinta della Verein Deutsche Sprache, aderire al decenno dell’Unesco e trovare il modo di contribuire all’abbattimento del solco del “great English divide” che separa i “parlanti” dai “barbars”, e allo sviluppo di una nuova civiltà del capire e farsi capire oltre che come diritto-dovere sempre più come condivisione consapevole della comunicazione su un piede di parità. E’ uno dei diritti dell’uomo ancora da riconoscere il diritto a parlare, capire e farsi capire indipendentemente dalla sua lingua materna. Gli uomini nascono uguali, dicono molte dichiarazioni fondamentali, ma l’inglese, o qualsiasi altra lingua dominante, li rende ineguali.

*La Sapienza Roma, presidente dell’UEA e membro del Consiglio Scientifico dell’associazione Allarme Lingua

Articolo pubblicato il 13/2/07 da Cronaca d’Abruzzo