1. introduzione


Anche coloro che si interessano di lingue internazionali pianificate e del loro possibile uso per la soluzione dei problemi di comunicazione internazionale hanno idee vaghe sul reale stato di diffusione e di uso dell’Esperanto oggi, ed oscillano tra due poli: “L’Esperanto è ormai morto”, “Nessuno lo parla”, e simili; oppure “L’Esperanto è diffusissimo in Svezia”, “A Catania lo insegnano nelle scuole medie”, e via favoleggiando.
In effetti la verità sta nel mezzo, anche se è una verità difficile da accertare per i non addetti ai lavori, in quanto dell’Esperanto, almeno nei paesi dell’Europa occidentale, non si interessano i grandi mezzi di comunicazione dimassa, quelli che fanno opinione, e quindi vale la ben nota regola che niente esiste (l’Esperanto, la guerra in Indonesia o la fame in Etiopia) se il “Corriere della Sera” — o peggio, la televisione — decide che non esiste. Perché e per chi, poi, il «Corriere della Sera» e gli altri organi d’informazione abbiano deciso che l’Esperanto non esiste è un’altra storia che richiederebbe un libro tutto per sé (e che Piron e Chiti-Batelli, ognuno per la parte di sua competenza, hanno cercato, nelle pagine precedenti, di raccontare)


E interessante invece constatare che la vera forza dell’Esperanto, rispetto a tutte le altre proposte di soluzioni mediante lingue pianificate o lingue antiche rivivificate, sta proprio nella sua esistenza reale, nella sua comunità di parlanti, che nel corso degli ultimi cento anni ne ha dimostrato la validità di lingua funzionante come e meglio di altre lingue in tutti i campi in cui si richiede ad una lingua di servire la comunità che la usa.


2. Quanti parlano l’Esperanto?

La domanda è, in apparenza, semplice. In verità la risposta richiede qualche chiarimento iniziale.

Trattandosi di una seconda lingua, bisognerebbe definire il grado di conoscenza da prendere a base per asserire che qualcuno parla o non parla l’Esperanto.

Cerco di spiegarmi con un esempio. Domandarsi quanti parlano l’Esperan­to è come domandarsi quanti parlano il francese fuori della Francia e degli altri paesi francofoni. È ovvio che a seconda del livello di conoscenza che si prende a base per la risposta si possono avere risposte molto diverse.

Se nella nostra statistica sul francese includessimo tutti coloro che in Italia in qualche momento della loro carriera scolastica hanno avuto modo di studiare un po’ di francese, anche se oggi sanno solo dire .oui, arriveremmo certamente ad alcuni milioni. Se invece decidessimo di includere solo coloro che effettivamente usano il francese, anche solo passivamente, leggendo giornali o libri, il numero si restringerebbe forse alle migliaia o alle decine di migliaia.

Esattamente le stesse difficoltà si incontrano per rispondere alla domanda:

“Quanti parlano l’Esperanto?”

Le stime più “larghe”, effettuate a più riprese dal prof. Pei della Columbia University, e che si basano sostanzialmente sul numero di persone che hanno frequentato con successo dei corsi di Esperanto e che, quindi, sono teoricamen­te in grado di parlare Esperanto, arrivano a 10-15 milioni.

Le stime più “strette”, effettuate dalla Associazione Mondiale di Esperan­to, e che si basano principalmente sull’andamento del mercato dei libri e delle riviste in esperanto, arrivano a mezzo milione.

Ovviamente queste ultime stime possono considerarsi molto prudenti e, se vogliamo, arrotondate per difetto, in quanto il mercato dei libri e delle riviste in Esperanto risente di tutta una serie di notevoli limitazioni internazionali. In pratica se un esperantista lituano vuole abbonarsi ad una rivista edita in Brasile, o viceversa, gli si presentano una serie di ostacoli pratici, spesso insuperabili (non convertibilità delle monete, impossibilità di effettuare pagamenti all’estero all’infuori dicasi determinati, ecc.).

La risposta che può considerarsi attendibile e seria è quindi: in tutto il mondo almeno mezzo milione di persone parlano l’Esperanto.



3. Chi lo parla e dove lo parla?

La letteratura sociologica sulla comunità esperantofona è vasta e si arricchisce continuamente di contributi notevoli di esperti non esperantofoni, specialmente negli ambienti universitari inglesi ed americani.

Sulla base di questi studi non è difficile costruire un quadro sintetico della consistenza della comunità esperantofona.

Già all’inizio del movimento si constatò che negli anni fino al 1907 il 79% degli esperantisti era costituito da intellettuali (insegnanti, giornalisti, ecc.), il 14% da impiegati e solo il restante 7% da appartenenti ad altre categorie.

Le proporzioni cambiarono dopo la prima guerra mondiale con il diffondersi dell’Esperanto nell’Unione Sovietica. Un’analisi del movimento esperantista sovietico nel 1930 indica, infatti, che il. 45% degli esperantisti era costituito da lavoratori non intellettuali, il 9% da contadini e solo il 40% da intellettuali.

A tutt’oggi, comunque, e considerando tutti i paesi, certamente più del 60% degli esperantisti è costituito da insegnanti, impiegati e simili, cioè da quelli che si potrebbero definire “colletti bianchi”, per chi ama le definizioni anglo-sassoni, o “piccola borghesia intellettuale”, per chi preferisce quelle marxiste.

Alcune eccezioni, sia pure notevoli — ma isolate a livello del movimento nel suo insieme — sono costituite dalla Cina popolare e dal Brasile. In questi paesi, a causa della diffusione di massa (tra molte virgolette) dell’Esperanto si trova un numero consistente di lavoratori manuali che parla questa lingua.

Potrà essere interessante notare, a titolo di curiosità, che esiste un certo numero, dell’ordine delle migliaia, di persone che hanno imparato l’Esperanto come lingua materna insieme ad un’altra lingua nazionale.

Più facile è rispondere alla domanda: “Ma dove sono questi parlanti Esperanto?”

Gli annuari della Associazione Mondiale di Esperanto. pubblicati con continuità ormai da decenni, danno un quadro abbastanza chiaro della situazione. Sono stati tentati anche studi sulla densità degli esperantisti rispetto alla popolazione complessiva di molti paesi, ma i risultati lasciano almeno perplessi, in quanto, ad esempio, 10 esperantisti in Lussemburgo portano ad una percentuale “astronomica di diffusione dell’Esperanto in Lussemburgo rispet­to alla Francia, e via dicendo.

Molto sommariamente può dirsi che gli esperantisti sono numerosi nelle repubbliche sovietiche non russe, nei paesi socialisti europei e nell’Europa del Nord. La densità va decrescendo man mano che si passa dai paesi scandinavi ai paesi mediterranei.

Molto scarsi sono gli esperantisti in Africa, anche se sono presenti in quasi tutti i paesi africani, specialmente in quelli che si affacciano sull’Oceano Indiano ed in quelli del Golfo di Guinea.

Abbastanza numerosi sono in America settentrionale (Canada ed USA) anche se si tratta di una presenza concentrata fortemente intorno ad alcune università, centri di ricerca e simili.

Molto numerosi sono in tutti i paesi dell’America latina, e principalmente in Brasile.

In Asia c’è un grande interesse, tradizionale dall’inizio del secolo, in Giappone ed un notevole numero di esperantisti nella Cina popolare ed in Vietnam. Diseguale è la presenza negli altri paesi asiatici, con notevoli eccezioni in Iran, Pakistan ed India.

Buona ma non eccezionale è la consistenza degli esperantisti in Australia, più o meno al livello dei Paesi dell’Europa occidentale.

Organizzazioni esperantiste si trovano in circa 100 paesi. Il “circa” è condizionato dall’esistenza effimera di alcune organizzazioni, per le quali è sempre difficile accertare lo stato di fatto in un momento determinato (ad esempio, l’Associazione Esperantista Libanese, pur esistente sulla carta, sembra aver cessato di funzionare da alcuni anni per motivi comprensibili a chiunque segua le vicende di quel Paese).

4. Di che cosa si parla in Esperanto?

L’uso effettivo dell’Esperanto è, come si è detto, esteso a tutti i campi e praticamente in tutto il mondo. Un’idea si può avere dai dati che seguono.

Una ricerca condotta nel 1985 indica che in quell’anno si pubblicavano 132 riviste in Esperanto di argomenti più vari, da quelle semplicemente organizzati­ve edite da associazioni nazionali a quelle politiche edite da case editrici specializzate di vari paesi socialisti (EI popola Cinio, la rivista cinese il cui titolo suona m traduzione “Dalla Cina popolare”, è una delle più note), a quelle letterarie (Fonto, “La fonte”, o Literatura Foiro, “La Fiera letteraria”, edite rispettivamente in Brasile ed in Italia), a quelle scientifiche di geologia o di entomologia, a quelle specializzate per ragazzi, ecc. Sono esclusi, ovviamente, dal numero indicato i bollettini stampati dai singoli gruppi esperantisti a carattere locale o regionale.

L’ultima indicazione statistica di cui si dispone a tutt’oggi, relativa al 1980, mostra che in quell’anno si pubblicarono 16 libri di letteratura originali in Esperanto, 27 libri di letteratura tradotti da altre lingue e 53 libri di altro argomento non letterario, per un totale di 5.637 pagine. Anche da questa ricerca sono esclusi gli opuscoli che non rientrano nella definizione di libro generalmen­te usata in ricerche di questo tipo.

Le trasmissioni radiofoniche in Esperanto hanno una storia particolarmente interessante che qui non è il caso di affrontare. Ad oggi, comunque, almeno 10 stazioni radio trasmettono stabilmente in Esperanto con una frequenza variabile da sei volte al giorno (la Radio polacca) ad una volta a settimana (la RAI nelle sue trasmissioni per l’estero).

Un altro aspetto dell’uso pratico dell’Esperanto sono le circa 200 riunioni (congressi, seminari, incontri turistici, campi di lavoro, ecc.) che annualmente vengono organizzate un po’ dappertutto nel mondo. Il numero dei partecipanti a queste riunioni varia, e va dalle centinaia (ad esempio nei festival giovanili organizzati ogni anno in Italia) alle migliaia (più di 5 mila a Budapest nel 1983) nei maggiori congressi internazionali.

Non si accenna qui a tutta l’attività di studio che viene svolta (insegnamento nelle scuole e nelle università di molti paesi e ricerche condotte da università:

Paderborn, Budapest, ecc.), in quanto si potrebbe obiettare che non si tratta tanto di un vero e proprio uso della lingua, quanto di una ricerca su questa (1).

Voglio invece accennare all’uso “domestico” dell’Esperanto che è molto più diffuso di quanto si pensi. Infatti ricerche effettuate in varie epoche indicano certamente in almeno un migliaio le famiglie dove si usa l’Esperanto come lingua abituale. Si tratta in genere di coppie di nazionalità diverse, che continuano ad usare l’Esperanto per abitudine, in quanto in genere si sono conosciute parlando in Esperanto in uno dei molteplici incontri esperantisti o corrispondendo in Esperanto. Da queste famiglie vengono i bilingui dalla nascita in Esperanto e nella lingua locale.

5. L’Esperanto esiste

Mi sia consentito di concludere questo breve contributo pratico con una impressione personale.

Coloro che vivono nella comunità di lingua Esperanto, come me, e che l’Esperanto usano ogni giorno per le cose più banali (discussioni su come passare il fine-settimana) e meno banali (lettura del Kalevala in Esperanto), quando sentono dibattiti sull’Esperanto come lingua, o sulle sue potenzialità, condotte con dottrina ed erudizione da profondi linguisti che però non hanno mai sentito due persone parlare in Esperanto tra di loro, non

(1) Si veda in generale, sull’insegnamento dell’Esperanto nei vari Paesi, la pubblicazione, periodicamente aggiornata, dall’esperantista belga Germain PIRLOT, La oficiala situacio de la Esperanto-instruado en la mondo, Ostendà, U.E.A., 1985, che apparirà anche, prossimamente, in traduzione italiana.

possono fare a meno di ricordarsi del famoso aneddoto dei due filosofi che camminando dietro un’altra persona discutevano animatamente dell’impossibili­tà teorica del moto.

Infine è impossibile non notare che la comunità esperantofona è una comunità piccola ma molto attiva negli scambi internazionali. A causa delle riviste che legge, delle persone che incontra, dell’atmosfera che respira, il parlante Esperanto è mediamente molto più informato di quanto succede all’estero (specialmente in aree non coperte dai nostri mezzi di informazione di massa) del suo concittadino che pure parla una o più lingue straniere.

Forse si obietterà che quando uno conosce Shakespeare conosce tutto e non ha bisogno del Kalevala o delle novelle argentine. Per chi la pensa così non credo ci sia niente da fare. La comunità esperantista reale è una comunità che funziona in quanto tutti i suoi membri sono curiosi, ma non a senso unico, e tutti pensano che gli uomini abbiano un uguale valore, indipendentemente dalla nazione alla quale appartengono e dalla lingua che parlano.

Questo forse è il valore di base che si apprende facendo parte di questa comunità, anche se non è un valore traducibile in numeri e percentuali.

Bibliografia

Le opere di insieme sull’Esperanto sono numerosissime e non avrebbe gran senso fare sfoggio di erudizione pubblicandone un elenco vistoso.

Cito, perciò, solo l’ultima comparsa:

Detlev BLANKE, Internationale Plansprachen. Eine Einjùhrung, Akademie-Verlag,

Berlino (est), 1985.

Questo volume contiene settanta pagine di bibliografia, nella quale sono elencate opere in molte lingue, relative a tutti gli aspetti di questo problema.
Per quanto riguarda opere in italiano, esse sono già citate in altre parti di questo libro; ricordiamo in particolare, fra queste, Le lingue inventate di Alessandro BAUSANI Roma, Ubaldini, 1974, e, fra le riviste, il mensile “L’Esperanto” edito a Milano dalla Federazione Esperantista Italiana.
Informazioni per reperirle possono sempre essere richieste a detta Federazione Esperantista Italiana, Via Villoresi, 38,20134 Milano.

Il più ampio catalogo di libri in Esperanto, o per lo studio dell’Esperanto è quello della già citata Associazione Mondiale Esperantista. Per acquisti ci si può rivolgere direttamente a tale associazione (Universala Esperanto-Asocio, Nieuwe Binnenweg 176, NL 3015 BJ Rotterdam, Paesi Bassi) oppure alla Federazione Esperantista Italiana; per prestiti e ulteriori informazioni alla Bibliothèque de la Ville, Progrès 33 - CH 2305 La Chaux-De-Fonds, tel. (0041.39)28.46.12.