Raramente come in quest'ultimo periodo si leggono tanti interventi e si ascoltano dibattiti tanto animati su quella che si potrebbe definire la "questione friulana", una questione che, oltre alla cultura e all'identità friulana nel loro complesso, pare riguardare soprattutto la lingua. In realtà i friulani hanno sempre dimostrato notevole considerazione e attaccamento verso la propria lingua, prova ne sia la sua conservazione attraverso i secoli e le alterne fortune della Storia, ma solo relativamente di recente si è posto concretamente il problema su come tutelarne e promuoverne, nel modo più opportuno ed efficace, uso e diffusione. Una controversia forse solo formale, ma dalle notevoli ricadute sull'atteggiamento e il comportamento linguistico dei parlanti, è quella dell'ideale appartenenza del friulano alla categoria delle "lingue" e non alla categoria dei "dialetti", posizione ormai ampiamente se non unanimemente condivisa anche nel sentire comune. Queste due categorie, considerate per comodità in opposizione tra loro, si accompagnano in genere a valutazioni molto diverse, per quanto riguarda prestigio, dignità, adeguatezza, convenienza, bellezza, nobiltà e quant'altro, coinvolgendo elementi di giudizio che di solito vanno a interessare, più che tratti e proprietà di stretta pertinenza linguistica, fattori di carattere storico, politico, sociale o culturale. Riconoscere ad una determinata varietà lo status di lingua passa necessariamente attraverso l'analisi delle sue caratteristiche linguistiche interne (fonologia, morfo-sintassi e lessico), ma ciò non è in ogni caso sufficiente. Da tempo il friulano è chiaramente riconosciuto come lingua dalla comunità scientifica internazionale, basta consul-tare un qualsiasi manuale di filologia romanza per sincerarsene, tuttavia il suo riconoscimento a livello politico è questione molto più recente e controversa. E' vero che già dalla promulgazione della Costituzione Italiana si prevedono provvedimenti volti a tutelare le lingue regionali e minoritarie (art. 6), nondimeno le prime effettive azioni di promozione e di aiuto in questo settore si devono agli organismi della Comunità Europea, che da svariati anni intervengono a finanziare programmi per la difesa e lo sviluppo delle lingue meno diffuse. Molto vicina a noi è poi l'approvazione della legge regionale di tutela, la n. 15 del 1996, un provvedimento che ha il merito di aver posto finalmente all'attenzione generale la questione di un sostegno tendenzial-mente organico e complessivo per la lingua friulana. Ancora più recente, e arriviamo ad un tema proprio di grande attualità, è l'approvazione da parte della Camera dei Deputati della legge quadro nazionale sulle minoranze linguistiche, legge che attende ora il definitivo licenziamento da parte del Senato.
Nel momento in cui al friulano è riconosciuto lo status di lingua, non solo da parte dei linguisti ma anche da parte dei politici e della generalità della popolazione, sorge il problema di che cosa fare per consentire a questa lingua di esprimere l'insieme dei valori, delle funzioni e dei ruoli tipici delle lingue, in generale, e di reggere, in particolare, la pressione delle lingue di maggiore diffusione che ne minacciano la presenza sul territorio. Pensare che il friulano sia così forte e compatto da poter continuare a resistere tranquillamente senza bisogno di provvedimenti di sostegno e di difesa - ce l'ha sempre fatta da solo, continuerà così - o pensare ancora che i friulani seguiteranno a parlare friulano qualsiasi cosa accada è posizione certo suggestiva e romantica, ma contrasta purtroppo con la realtà delle cose. La realtà è che si verifica una progressiva diminuzio-ne dei parlanti friulano, e che tale diminuzione non si arresterà fino a quando non muteranno anche le condizioni generali che la determinano. Sono proprio questi i o dati che risultano da una recente indagine socio-linguistica condotta dall'Università di Udine sull'uso del friulano nelle tre provincie di Gorizia, Pordenone e Udine: il numero dei friulanofoni è ancora piuttosto alto, oltre il mezzo milione, ma se ne riscontra la graduale diminuzione soprattutto in ambiente urbano e tra le giovani generazioni. In assenza di sostanziali cambiamenti del quadro socio-linguistico di riferimento, caratterizzato dalla notevole mobilità della popolazione e dalla scomparsa degli ambienti e delle attività tradizionalmente legate all'uso del friulano, non possiamo ragionevol-mente confidare che la tendenza al graduale abbandono della lingua si arresti o si inverta. Da ciò deriva che anche una posizione di attesa, di non intervento, coincide per il friulano, almeno al momento, con una condanna più o meno esplicita all'estinzione; l'unica strada percorribile, sempre naturalmente che alla questione della lingua friulana vengano riconosciuti importanza e rilievo, è quella di produrre un concreto sforzo affinché l'emorragia di parlanti si fermi e la comunità linguistica riprenda vigore.
Di fronte al problema del progressivo decremento dell'uso del friulano e delle azioni da intraprendere per favorirne il possibile recupero, il primo pensiero va alle Istituzioni o agli Enti che operano in questo settore e, ancor più, alle risorse e agli strumenti, anche finanziari, di cui dispongono. Prendiamo ad esempio il caso dell'Osservatorio regionale della Lingua e della Cultura friulane, istituito dalla sunnominata legge regionale 15/96 con specifici compiti di programmazione e indirizzo degli interventi a sostegno della lingua friulana.
Il Comitato scientifico dell'Osservatorio, composto da esperti nominati dalla Regione, dalle province di Gorizia, Pordenone e Udine, dalle Università di Udine e Trieste e dalla Società Filologica Friulana, dovrebbe patrocinare l'elaborazione di un vocabolario friulano dell'uso moderno, la formazione di lessici specialistici e settoriali, la preparazione di materiali didattici, le campagne di sostegno alla lingua, l'organizzazione, il coordinamento e lo svolgimento di corsi di formazione, nonché molte altre iniziative. A fronte dell'impegno richiesto e degli ambiziosi obiettivi dichiarati dalla legge, corrisponde un finanziamento per l'attività diretta di appena seicento milioni nel 1999 (art. 16), una cifra che espone l'Osservatorio a continue critiche, magari anche giuste, da parte di quanti si aspettano interventi che, a causa anche dell'esiguità di bilancio, non possono essere realizzati. Supponiamo poi, come capita, che siano disapprovati anche i modi e i tempi con cui vengono realizzate determinate attività, ad esempio la recente campagna di promozione della lingua basata sullo slogan Parcè no par furlan?: le foto non sono belle, la frase è infelice, i cartelloni sono troppo piccoli, ce ne sono troppo pochi, dura solo qualche giorno, il destinatario è troppo generico, sarebbe più opportuno l'uso di altri mezzi di comunicazione. Per ottenere l'effetto desiderato, ovvero il cambiamento dell'atteggiamento dei parlanti nei confronti della lingua, non si tratta però, a ben vedere, di cambiare strategia o tecnica di comunicazione, almeno non solo, ma piuttosto sarebbe opportuno moltiplicare le strategie e le tecniche: più campagne di promozione che durino tutto l'anno, e non una sola di due settimane; che siano realizzate con messaggi e mezzi diversi, e non solo con l'affissione stradale; che coprano tutto il territorio friulano, e non soltanto alcune zone.
Critiche ancora più severe, se possibile, sono poi mosse all'Osservatorio per le indicazioni che fornisce ai competenti uffici regionali per il finanziamento di iniziative sempre a favore della lingua e della cultura friulana, alcune di ottimo livello e senz'altro interessanti, proposte da Enti pubblici (Comuni, Comunità Montane, Direzioni didattiche, Province etc.) e Associazioni culturali (Compagnie teatrali, Editori, Cori, Radio, Gruppi musicali etc.). I progetti e le proposte presentati sono centinaia e richiederebbero finanziamenti per svariati mo iliardi, ma l'articolo 19 della legge mette a disposizione per il 1999 soltanto settecento milioni. Inevitabile che il riparto delle risorse scontenti la maggior parte dei richiedenti, aumenti il risentimento verso le Istituzioni e diminuisca alla fine il desiderio di operare nel campo della lingua e della cultura friulane, risultato questo che è palesemente l'opposto rispetto a quanto ci si propone di ottenere. Stesso discorso si può fare anche per i capitoli di bilancio previsti per le trasmissioni radio-televisive, per gli interventi nella scuola, per manifestazioni teatrali, musicali e così via.
Se passiamo dall'Osservatorio regionale ad altri Enti che si occupano per statuto della promozione del friulano, la situazione sostanzialmente non cambia. La Società Filologica Friulana ad esempio, operante da ottant'anni su tutto il territorio regionale e riconosciuto ente di primaria importanza in questo settore anche dalla legge regionale di cui sopra, attira su di sé tanto sentimenti di apprezzamento e di riconoscenza, quanto malumori e insoddisfazioni. I suoi sostenitori elencano gli undicimila titoli pubblicati, le svariate manifestazioni e concorsi, i corsi pratici di friulano e i corsi di aggiornamento per insegnanti; i suoi detrattori rimarcano la scarsa incisività della sua azione, la sua insufficiente presenza nella società, il suo aver privilegiato la ricerca scientifica a scapito della divulgazione. Tanto gli uni che gli altri hanno indubbiamente più di una ragione, dal momento che la Filologica ha sì pubblicato tanti libri, ma tanti non li ha pubblicati; ha sostenuto tante valide iniziative, ma tante non le ha sostenute; ha partecipato a importanti battaglie, ma in altre è stata del tutto assente. Il caso della Filologica non è comunque isolato, lo stesso discorso vale per cento altre associazioni culturali che operano sulla base del volontariato: occorre misurare il giudizio sull'azione di un soggetto in rapporto alle sue reali possibilità di operare, senza che ciò diventi naturalmente un comodo alibi per giustificare mancanze e carenze, ma tenendo tuttavia nella giusta considerazione i limiti strutturali e finanziari dei soggetti stessi.
Un altro aspetto della questione, determinante a mio avviso non meno di quello più strettamente economico, consiste nella preparazione di operatori che siano in grado di gestire le complesse necessità legate all'eventuale introduzione della lingua, nelle forme e nei tempi giudicati più opportuni, anche in ambienti o settori lontani dai suoi tradizionali àmbiti d'uso, per esempio la scuola, le Istituzioni, i media, l'editoria. L'Università di Udine ha promosso quest'anno, con il sostegno dell'Osservatorio, corsi do i formazione e di perfezionamento su temi inerenti la lingua friulana per lessicologi, traduttori, insegnanti e giornalisti: si tratta di azioni di indubbio rilievo, che hanno raccolto in genere buoni consensi e che meritano senz'altro di essere riprese. La creazione di specifiche competenze e professionalità è la via maestra, forse l'unica, per mettere gli operatori culturali nelle condizioni di affrontare e risolvere i problemi che un domani si presenteranno loro, problemi anche radicalmente diversi da quelli del passato. Proprio in questo quadro si inserisce un'ulteriore importante iniziativa dell'Università di Udine, l'istituzio-ne di un Consorzio, con finalità di studio ma anche di servizio, che possa raccogliere e utilizzare al meglio le competenze di quanti sono disponibili a operare nei settori do ella lessicologia e della didattica.
Per concludere, è netta l'impressione che in questo momento la "questione friulana" si trovi al centro di un accresciuto interesse generale e sia forse giunta ad un punto di svolta. Il motivo di questo nuovo interesse è senza dubbio dovuto a più fattori, soggetti e circostanze, che in varia misura concorrono a delineare un quadro di azioni e di proposte molto ricco e articolato. Da una parte si segnala l'attività delle associazioni culturali e o degli enti territoriali, nei vari settori della ricerca, dello spettacolo, del teatro e della musica; dall'altra la maggiore attenzione delle Istituzioni civili e religiose, che ha prodotto le leggi do i tutela, regionale e nazionale, ha favorito la comparsa del friulano negli statuti degli enti locali, ha permesso la monumentale edizione della Bibbia in friulano. Considerando questo quadro nel suo insieme si avverte però anche la necessità, forse proprio per l'improvviso fiorire di tante diverse iniziative, di definire con maggiore precisione un progetto o un obiettivo che possa valorizzare adeguatamente il lavoro che da più parti viene svolto, una sorta di sforzo di coordinamento che consenta di moltiplicare l'effetto dei singoli interventi adottati. Centrale a questo proposito sarà ancora una volta il ruolo delle Istituzioni, che sono chiamate ad accordare il giusto rilievo e sostegno finanziario ad una questione come quella della tutela delle minoranze linguistiche che vede il nostro paese ancora molto in ritardo, da numerosi punti di vista, rispetto agli altri partner europei.
A068 Lingue regionali in Italia:osservazioni sul caso Friuli
Federico Vicario (1965) si laurea in Lettere all'Università di Padova, frequenta il corso di dottorato di ricerca in Linguistica all'Università di Pavia e il perfezionamento postdottorato ancora presso l'Universita di Padova. Si occupa di linguistica romanza e generale; ha pubblicato la tesi di dottorato I verbi analitici in friulano con l'editore Franco Angeli di Milano (1997) e il volume Il quaderno di Odorlico da Cividale. Contributo allo studio del friul ano antico con l'editrice universitaria Forum di Udine (1998). Segretario della Società Filologica Friulana dal 1995, dal 1998 è collaboratore scientifico dell'Osservatorio Regionale della Lingua e della Cultura Friulane.
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- Scritto da Federico Vicario
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