L'esperantista è, secondo la definizione adottata nel primo Congresso Universale di Esperanto, chiunque parli la lingua internazionale ausiliaria Esperanto, senza distinzione di razza, sesso e religione. L'appartenenza al movimento esperantista non equivale, quindi, a una tessera di partito oppure a un credo/confessione religiosa.
Esistono, tuttavia, associazioni che si occupano di esperanto e ne curano la diffusione, nell'ambito degli scopi delineati dai singoli statuti, nei propri ambiti. In Italia possiamo citare come esempio l'Unione Esperantista Cattolica Italiana (www.ueci.it) o anche l'Associazione Radicale Esperanto (www.democrazialinguistica.it). Recentemente, a queste si è affiancata Nitobe (www.nitobe.it), un’associazione senza fini di lucro che mira a sensibilizzare il mondo politico, imprenditoriale, accademico sui temi della democrazia linguistica.
Il nome dell’associazione vuole rendere omaggio a Inacio Nitobe (1862-1933), diplomatico giapponese che nel 1921 consegnò alla Società delle Nazioni un celebre rapporto in cui sollevò apertamente la questione della giustizia linguistica nella comunicazione internazionale, dopo aver osservato la funzionalità e l’utilità della lingua Esperanto al tredicesimo Congresso esperantista universale di Praga.
L’apprendimento di un codice linguistico nuovo implica solitamente dei costi di varia natura, anzitutto economici ma anche psicologici (si tratta di costi dovuti all’abbassamento di status delle altre lingue e all’insicurezza di esprimersi in una lingua straniera). È per questo che nei casi in cui in un dato contesto sia introdotta una limitazione nell’uso delle lingue (ufficialmente o di fatto, si pensi all'Unione Europea), devono essere necessariamente valutate le misure di compensazione sono da mettere in atto a favore degli esclusi. Un regime linguistico equo, infatti, non è solo una questione di giustizia linguistica, ma anche di tutela della libertà di impresa e della libera concorrenza.