MR: Ci può spiegare il valore della letteratura nella cultura esperantista?
MN: Dal 24 luglio 2008, l'EVA non esiste più, e dopo un plebiscito pressoché unanime si è trasformata nella Akademio Literatura de Esperanto. In questo modo abbiamo voluto sottolineare che per l'Esperanto la letteratura non è solo una occupazione laterale di alcuni suoi aderenti (come la passione per i gatti, per gli scacchi o per le biciclette), ma appartiene agli aspetti fondativi del movimento stesso: non va dimenticato infatti che Zamenhof ha creato la lingua *per mezzo* della letteratura, come documentano gli stadi precedenti all'Unua Libro. Del praesperanto, in effetti, possiedamo solo un frammento in poesia ("Jam temp' està"). Per questo motivo, chi all'interno del movimento esperantista si occupa di letteratura - come scrittore, editore, critico, storico - doveva trovare qualcosa di più di una semplice fakasocio [associazione di settore]; con l'Akademio abbiamo cominciato a creare un *luogo* culturale moderno, radicato soprattutto nella rete e quindi in grado di funzionare tutti i giorni, grazie al quale è possibile parlare di letteratura, filologia esperantista, teoria della letteratura, e anche pubblicare online la propria produzione. Naturalmente tutto questo non può realizzarsi in breve tempo: non mi stanco di dire che il prestigio di una istituzione si crea con i decenni. Tuttavia abbiamo posto i fondamenti di qualcosa che, con l'impegno di tutti, potrà durare nel tempo.
MR: La letteratura in esperanto: ci spiega il ruolo delle "scuole" di riferimento?
MN: Le scuole letterarie in esperanto sono oggi un fenomeno meno riconoscibile che in passato, anche per l'aumento vertiginoso delle possibilità di comunicazione offerte dalla rete. Esistono singoli autori come Camacho, la cui cerchia di amici-scrittori ha indotto qualcuno a parlare di "ibera skolo": ma a differenza delle scuole del passato, quale ad esempio l'ungherese, non è riconoscibile un'unità tematica o stilistica, e ciò che conta è soprattutto la singola individualità artistica. Ci avviamo a vivere in un mondo infinitamente più complesso e intercorrelato di quello in cui vivevano Kalocsay e Waringhien.
MR: Cosa vuol dire scrivere in esperanto oggi?
MN: Scrivere in esperanto significa oggi in primo luogo sfuggire a un doppio ghetto: quello della propria lingua nazionale, quando questa - come per l'italiano - non sia di area anglosassone, e quello dell'inglese, ormai appiattito e privato delle originali connotazioni semantiche quando viene utilizzato a livello planetario. Siginifica inoltre scrivere per un pubblico che oltre ad essere piuttosto vasto (spece se raggiunto attraverso la rete) è soprattutto sparso su tutto il pianeta, il che consente di incrociare la propria esperienza letteraria, inevitabilmente cresciuta su un retroterra nazionale, con quella internazionale dei propri lettori, sul piano comune ed egualitario di una lingua che tutti i parlanti riconoscono come *propria*.
MR: La letteratura e' soltanto svago oppure può anche avere valore sociale? Sto pensando per esempio ai libri di denuncia.
MN: La letteratura, in esperanto o in qualunque lingua, non è mai veramente "svago", neppure quando si definisce tale da sé. Nel caso poi dell'esperanto, le motivazioni umanistiche che costituivano per Zamenhof la "interna ideo" dell'Esperanto fanno sì che praticamente tutti i maggiori poeti e prosatori della nostra letteratura si siano posti con forza il problema sociale, da Kalocsay e Baghy fino a Auld e, infine, Ragnarsson e Camacho. Il vantaggio dell'Esperanto è che scrivere in questa lingua consente di evitare la contraddizione fra una denuncia sociale e l'invasività linguistica di una lingua nazionale, magari portatrice di interessi economici forti, che sia usata per quella denuncia stessa. L'Esperanto è una lingua senza potere, e questa è, paradossalmente, la sua forza. Decidere di scrivere in Esperanto è di per sé un atto di denuncia, contro l'ammutolimento della debolezza operato dalle grandi lingue nazionali; è inevitabile che anche le tematiche della nostra letteratura siano attente alla minorità culturale, e ai modi in cui essa può venire superata.