Robert Phillipson, LINGUE INTERNAZIONALI E DIRITTI UMANI INTERNAZIONALI, originariamente International Languages and International Human Rights, in Kontra, M., Phillipson, R., Skutnabb-Kangas, T. e Varady, T. (1999), Language: A Right and a Resource, Budapest: Central European University Press, tradotto da Giuseppe Castelli

Non sono molti i linguisti professionisti, e per di più di madre lingua inglese, che hanno interesse per i cosiddetti "diritti linguistici dell´uomo". Robert Phillipson, inglese e docente presso una delle università della Danimarca, è, forse, il più conosciuto a livello mondiale. Uno dei suoi altri libri, Linguistic Imperialism, 1992, Oxford: Oxford University Press, è la bandiera agitata da tutti coloro che credono che anche nel campo linguistico e culturale sia non solo possibile ma anche necessario proteggere i diritti dell´uomo di tutti. Questo secondo libro, scritto in collaborazione con altri linguisti interessati alle stesse tematiche, ha due scopi. Da una parte esso prova a concretizzare una definizione del concetto stesso di "diritti linguistici dell´uomo", riassumibile rozzamente nel "diritto di parlare la propria lingua e non quella dei gruppi più forti". Dall´altra parte illustra una serie di casi concreti di situazioni di oppressione linguistico-culturale a vari livelli: da quello delle minoranze zingare nei paesi dell´Europa dell´Est a quello delle maggioranze nazionali sempre più strette tra la globalizzazione economico-culturale e la preservazione delle specificita´ nazionali. Phillipson aggiunge un altro livello, quello delle organizzazioni internazionali. Il suo contributo si occupa principalmente degli organismi delle Nazioni Unite e del Parlamento Europeo, ma il discorso è facilmente ampliabile a tutti gli organismi intergovernativi internazionali. In queste organizzazioni viene, in un certo senso, sancita la superiorita´ di alcune lingue (e dei loro parlanti) mediante vari meccanismi, in genere mediante la decisione sulle lingue di lavoro, ossia sulle lingue effettivamente usabili in quegli organismi. In alcuni casi, organismi della famiglia delle Nazioni Unite, nonstante le lingue di lavoro siano almeno alcune, di fatto si tende a considerarle un ornamento utile in situazioni solenni, l´ Assemblea Generale, mentre a livello del funzionamento normale si tende a privilegiare solo l´inglese, la lingua dei forti. Similmente si comportano le Agenzie europee, con conseguenze immediate sui cittadini di paesi come l´Italia, che trovano difficoltà spesso insuperabili per trovare impieghi a Bruxelles. L´articolo di Phillipson mostra anche come l´unico momento nella storia di questo tipo di istituzioni, in cui si cercò di risolvere il problema in altra maniera, fu alla Società delle Nazioni nel 1924, quando si discusse dell´introduzione della lingua internazionale pianificata Esperanto. La discussione purtroppo fu interrotta dal veto della Francia, che temette per la sua lingua, che allora aveva una parte dello status dell´inglese oggi. Non a caso la sezione dell´articolo di Phillipson, che tratta di questo episodio porta un titolo molto evocativo: "A Utopian Intermezzo...". Negli ultimi decenni anche se non sono mancati riconoscimenti "platonici" sul valore dell´esperanto principalmente da parte dell´Unesco, nessun passo più concreto è stato fatto. Eppure la comunità delle persone che parlano esperanto si è andata allargando e motivi di equità e di riconoscimento di quei diritti linguistici dell´uomo, di cui si diceva sopra, militano a favore della soluzione esperanto. L´esperanto, in fondo, è una questione di democrazia internazionale nel campo della lingua e della cultura.