- UNIONE EUROPEA 25 Stati-membri 21 lingue ufficiali, che ne dice, signor Sindaco? Come faremo a comprenderci?
-L’allargamento della Comunità Europea va salutato molto positivamente: prefigura il realizzarsi di un ideale di unità dei popoli nel segno della pace e del reciproco rispetto. Valori per i quali è importante la salvaguardia delle singole culture e delle lingue nazionali. Ciò comporta un rischio, quello di cadere in una comunità-babele; una via per evitarlo potrebbe essere l’adozione di una lingua sovranazionale che faciliti la comprensione reciproca.
-Qual’è il suo pensiero riguardo il problema linguistico in generale, destinato a crescere sempre più con l’aumento degli scambi e dei contatti tra lingue e culture diverse?
-La lingua è, oltre che un fattore di comunicazione, l’essenza stessa della nostra individualità. Noi siamo ciò che pensiamo, e per trasmettere il pensiero usiamo le parole. Iosif Brodskij, poeta russo premio Nobel per la letteratura, aveva invitato i giovani a curare particolarmente il linguaggio, non perché conoscendo molte parole si fa bella figura, ma perché per esprimere chiaramente ciò che sentiamo dobbiamo usare con esattezza espressioni appropriate. Perciò in un mondo globalizzato, dove gli scambi tra culture diverse sono così frequenti, va preservata la ricchezza delle lingue madri. Capirsi diventerà allora un problema? L’evoluzione naturale ci porta a rispondere di no, dal momento che già oggi assistiamo all’emergere di una lingua, l’inglese, che è divenuta, per motivi certamente economici (ma anche di economia linguistica, visto che l’inglese è una lingua dalla struttura semplificata) la lingua franca del pianeta.
-Muggia è una cittadina situata - ancora per poco – su un confine che è stato definito “caldo” per molti versi. Come ha vissuto Muggia il problema della comunicazione e della convivenza tra genti diverse per lingua e cultura ed inoltre amministrate da sistemi politici non omogenei?
-Muggia è stata coinvolta direttamente dalle conseguenze del trattato di pace della seconda guerra mondiale, che ha comportato la perdita di una parte del suo territorio. Il confine italo-jugoslavo (e ora quello con la Slovenia) è stato però sempre molto permeabile, tanto che il costante flusso di uomini nelle due direzioni ha fatto della frontiera della Provincia di Trieste, anche in tempi di guerra fredda, uno dei confini più aperti d’Europa. Per quanto riguarda le amministrazioni pubbliche, va ricordato che da alcuni anni è stata istituita la manifestazione ‘Confini aperti - Odprta meja’, che prevede l’apertura per una giornata all’anno dei valichi confinari dei comuni contermini italiano e jugoslavo (e poi sloveno). Le prospettive appaiono ora in rapida evoluzione per l’avvio di cambiamenti politici radicali nel campo delle relazioni internazionali. L’ingresso della Slovenia nell’Ue, con una conseguente modifica della natura delle relazioni fra gli spazi e le popolazioni confinanti, rimuoverà molti dei vincoli ereditati dal dopoguerra.
-Da poco tempo Lei guida anche l’Assessorato alla cultura. In quale direzione intende muoversi, quali sono i suoi progetti, che cosa ritiene di privilegiare in campo culturale?
-In un comune come Muggia, di antica storia e tradizione, l’opera di promozione culturale della pubblica amministrazione deve indirizzarsi verso il mantenimento di quelle peculiarità locali necessarie ad alimentare il senso di appartenenza della popolazione al suo territorio. Senza dimenticare naturalmente le ‘finestre’ verso la contemporaneità in un equilibrio di valori e proposte forse difficile ma certamente affascinante.
-Nell’era della globalizzazione, la lingua italiana palesa sintomi di crisi.
In pubblicità, in politica, nel commercio ed in tanti altri campi, vediamo usare molte parole straniere, entrate a far parte anche dell’informazione mediatica e persino del parlato quotidiano, a discapito della chiarezza e comprensibilità.
Come amministratore pubblico, non ritiene che sarebbe doveroso usare sempre e comunque termini della lingua italiana, per capire ed essere capiti al di fuori di ogni ragionevole dubbio? Come ritiene di poter tutelare, nel Suo Comune, coloro che non padroneggiano le lingue straniere?
-L’uso corrente di parole straniere nella lingua italiana stimola da tempo un dibattito tra coloro che sono a favore di una rigida difesa dell’idioma e quelli che viceversa pensano che la lingua sia un corpo vivo, che si modifica naturalmente con il modificarsi dei parlanti. Del resto l’italiano di oggi non è quello di Dante; giocoforza le vicende storiche influenzano le lingue, e basta dare una scorsa a un vocabolario della lingua italiana per rendersi conto di come gli apporti stranieri non siano pochi. Va però detto che, senza arrivare agli eccessi di un purismo di stato, la nostra lingua deve essere tutelata evitando gli inutili usi di parole straniere. Nella sua azione la pubblica amministrazione persegue, anche grazie a recenti norme emesse dal Ministero per la funzione pubblica, una strategia di semplificazione del linguaggio per consentire a tutti i cittadini una facile comprensione della comunicazione istituzionale.
-Ritiene che l’impiego di una lingua neutrale e sovranazionale possa mitigare il problema linguistico per favorire il dialogo tra le singole persone e migliorare l’intercomprensione tra le genti, portando un significativo contributo alla cultura della pace?
-Per facilitare la comunicazione tra le genti sarebbe auspicabile giungere ad una lingua sovranazionale che venisse adottata liberamente da tutti i popoli e non imposta da motivi economici e commerciali. E’ una aspirazione, per molti un’utopia, che nel corso della storia dell’uomo è stata espressa e teorizzata più volte, fino al recente modello dell’esperanto. Finora le difficoltà che comporta l’adozione di una lingua artificiale non sono state superate. Può darsi che i tempi siano maturi e che l’accelerazione imposta da un mondo dove le distanze sono sempre più ridotte induca ad accordarsi intorno a una lingua paritaria che sia diffusa a livello mondiale, ma che al contempo non prevarichi e sopprima che le tante identità linguistiche.
Per Disvastigo Edvige Ackermann