Disvastigo

 

Delle molte riserve mentali di chi fa opinione sulla stampa, che si esprime in modo apodittico senza concedere repliche, ma anche delle obiezioni provenienti da settori da cui ci si aspetterebbe una maggiore attenzione, come il mondo accademico e politico. E i luoghi comuni di largo consumo. Comprese le riserve al contrario degli esperantisti. Ed anche obiezioni che possano avere una loro validità. Nel confutare si chiariscono anche delle caratteristiche della lingua che appaiono degne di nota. Le considerazioni che seguono formano “La catena di Disvastigo”, una catena aperta a cui ognuno può contribuire con uno o più anelli. Inviateci i vostri commenti anche se non in linea con le nostre posizioni che volentieri pubblicheremo.

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  1. Gli opinionisti non sono amici dell’esperanto. Conviene tenerne conto. Ogni tanto sulla stampa nazionale si accenna al problema della comunicazione e all’esperanto, ma solo per affermare che si tratta di una lingua “artificiale” o di una lingua “costruita a tavolino” senza voler minimamente approfondire l’argomento. Ci si aspetterebbe un maggior impegno da parte di chi ha la responsabilità di informare e soprattutto di formare opinione come punto di riferimento dei lettori. Da noi a differenza di altri paesi europei in cui appaiono splendidi articoli sull’offerta e sul mondo dell’esperanto a parlarne sono solo alcune lettere di lettori che rischiano di passare per fanatici rompiscatole e creare antipatia verso una giusta causa. (gb)

  1. La lingua fatta a tavolino. Le vecchie accuse di lingua fatta a tavolino sembrano oggigiorno esser state superate dall’opinione della gente, che presumibilmente si rende conto che di una lingua che è diventata mezzo di espressione (e per taluni anche di creazione artistica) per milioni di persone da più di cento anni non se ne può sminuire il valore tacciandola di artificialità. Qualcuno sa poi che vi sono delle lingue nazionali (come il Neonorvegese e l’attuale Ebraico) che devono il loro sviluppo ad operazioni di pianificazione linguistica e che ciononostante non vengono definite artificiali, come se fossero dei fiori di plastica. L’esperanto va definito lingua d’origine pianificata o lingua non territoriale o lingua ponte o lingua internazionale, lingua non etnica (da taluni anche lingua alternativa). (gb)

  1. In esperanto si può scegliere tra l’uso (che comanda nelle lingue etniche) e la logica. Una delle caratteristiche più rilevanti dell’esperanto- e che rende questa lingua particolarmente idonea al suo ruolo di lingua internazionale- è la possibilità che si ha di uscire dagli schemi rigidi imposti dall’uso, che comanda nelle lingue etniche, e scegliere una forma dettata dalla logica. In italiano si dice “intascare” ma se si volesse dire “detascare” per indicare l’azione inversa si farebbe ridere, mentre in esperanto si può dire sia “enposhigi” che “elposhigi”. Sedersi si dovrebbe dire “sidigi sin”- come in tedesco “setzen sich” ma l’uso ha introdotto una forma non molto corretta “sidighi” (con un suffisso che si usa per indicare un divenire –come l’inglese “to get + participio passato-ubriacarsi =ebriighi=to get drunk) che viene regolarmente impiegata ma non esclude l’altra. (gb)

  1. Libera scelta tra forme analitiche e sintetiche In esperanto ci si può esprimere, secondo la propria indole e formazione linguistica, usando un linguaggio analitico (con largo uso di preposizioni) o sintetico (parole composte e avverbi) senza che venga meno la chiarezza del testo. Posso dire, come in molte lingue soprattutto occidentali, “Mi iras al Parizo” o un po’ più sinteticamente “Mi iras Parizen” o con una sola parola “Mi alparizas” in cui si è reso verbo il nome e si è usata una preposizione come prefisso indicante la direzione.. Il singolo partecipa in tal modo alla formazione della lingua senza la sudditanza che si creerebbe nel caso si scegliesse come comune una lingua nazionale, come l’inglese. (gb)

  1. Le frasi idiomatiche In inglese “piove cani e gatti” (it is raining cats and dogs) significa “piove a dirotto”. In esperanto in questo caso si usa un suffisso che ingrandisce al massimo l’idea espressa dalla radice: “eg”, quindi si dice “ pluvegas”. Le frasi idiomatiche, che rendono tanto belle e interessanti le lingue etniche, non hanno ragione di esistere, se non in misura molto ridotta,in una lingua internazionale senza che questa ne venga a soffrire per espressività. (gb)

  1. Apprendimento stimolante per i bambini Per un bambino l’apprendimento dell’esperanto è estremamente stimolante perché soddisfa la sua creatività. Una volta che il bambino ha associato la paroletta “ema” alla “tendenza a fare qualcosa” partono “manghema” “ridema”, “ludema”, ”plorema” ,”parolema” e così via. Se conosce un po’ di suffissi da “shafo” (pecora) forma “shafisto” (pastore), “shafejo”(ovile), “shafaro” (gregge), “shafido” (agnello) ed altri senza grande sforzo di memoria. Cose impensabili in inglese, lingua che costituisce un vero tormento per gli stessi figli di Albione fin dalla tenera età! (gb)

  1. Esperanto parlato solo da un pugno di appassionati Paolo Granzotto, invitato da un sostenitore irrequieto dell’esperanto ad aprire un dibattito sul problema della comunicazione in Europa, rispondeva su Il Giornale del 10-2-200 :”ben venga il dibattito a meno che non lo si invochi per proporre l’esperanto. Se dopo più di un secolo dalla sua creazione la “lingua universale” è parlata solo da un pugno di appassionati, una ragione ci sarà. Ed è quella che sconsiglia di imporla con la forza a duecento milioni e passa di individui”. Se Granzotto sapesse che le rubriche letterarie dei numerosi periodici in esperanto sono fitte di recensioni di opere in originale o tradotte (e non solo narrativa ma anche scienza e tecnica), e qualcuno le acquisterà pure, il calendario degli incontri e manifestazioni (dall’informatica al compostaggio) comprende tutti i giorni dell’anno, e qualcuno ci andrà pure, e che nella rete i siti che usano l’esperanto non si contano più, capirebbe che parlare di “ un pugno di appassionati” è del tutto riduttivo e disinformante. (gb)

  1. L’esperanto ha superato brillantemente il secolo di vita Ci si dovrebbe meravigliare -rispondendo ancora a Granzotto- che dopo più di cento anni dalla sua nascita (cento anni tra l’altro con due guerre mondiali e dittature varie non certo favorevoli verso una lingua di pace e democrazia) l’esperanto esista ancora e sia così diffuso. E’ la prima volta nella storia dell’umanità che un disegno linguistico lanciato da un solo uomo si è diffuso in tutto il mondo divenendo in tal modo lingua viva di una comunità che l’ha fatta propria , spinta dal desiderio di comprendersi attraverso una lingua comune, cioè di tutti. I tempi di propagazione di una lingua, specie con gli ostacoli detti ed in assenza di volontà politica, c’è da aggiungere, non sono quelli di un elettrodomestico, altrimenti l’esperanto non mancherebbe in nessuna famiglia. Il suo sviluppo è del tutto fisiologico. E la sua offerta è sempre valida avendo superato brillantemente da più di cento anni lo stadio di lingua di “un pugno di appassionati”. (gb)

  1. E’ necessaria la volontà politica per l’adozione dell’esperanto nell’Ue L’esperanto come lingua è viva e vitale e sentita naturale da chi l’ha imparata nei gruppi esperantisti, nei seminari linguistici, a scuola, a l’università ma per diffondersi come La Lingua Internazionale, come seconda lingua per tutti e, nel caso nostro, della comunità europea, è necessaria la volontà politica di risolvere il problema della comunicazione in modo semplice, giusto, cioè senza discriminazione, e senza pericolo di degrado delle lingue etniche. Forse con l’entrata dei nuovi Stati nell’U.E. alcuni dei quali, come l’Ungheria, hanno sempre favorito lo studio dell’esperanto, il problema sarà affrontato in modo diverso. E’ certo comunque che il problema linguistico sta per esplodere da un momento all’altro in modo non molto pacifico. (gb)

  1. L’esperanto non ha attecchito Umberto Cecchi, altro lungimirante giornalista, scriveva su La Nazione dell’11-2-001, in risposta ad un altro imprudente approccio di un appassionato, che l’esperanto, nonostante se ne parlasse da anni ed anni non aveva attecchito. Presumibilmente Umberto Cecchi ignora che anche per un semplice prato inglese bisogna tagliare l’erba ed annaffiare tutti i giorni.. per almeno 100 anni. Noi l’abbiamo fatto ed il prato è perfetto. Ma non è esteso perché non bastano le nostre forze per estenderlo per tutti. Non bastano le forze dal basso. Lui che poteva dare un buon contributo ha versato almeno un po’ d’acqua? (gb)

  1. Non ha attecchito (2) Da una ricerca effettuata qualche anno fa tra i passanti nel centro di Trieste (città in cui a dire il vero c’è sempre stato un attivo gruppo esperantista) è risultato, con grande sorpresa degli organizzatori,che più del 95% degli interpellati non solo conosceva cosa era l’esperanto, ma auspicava che fosse insegnato nelle elementari ed adottato come seconda lingua dell’U.E. Eppure la stampa italiana liquida la cosa con espressioni come “ non ha attecchito”. (gb)

  1. Esperanto lingua franca e non lingua unica Allo stesso Umberto Cecchi che aveva parlato del pericolo, in quest’Europa unita, della perdita delle identità, Umberto Broccatelli, presidente dell’Europa Esperanto-Unio rispondeva: “Mi consenta di rilevare che sarebbe più giusto parlare di esperanto come “lingua franca europea”, cioè come lingua di comunicazione fra parlanti di lingue diverse. Parlare di “lingua unica” potrebbe far pensare che qualcuno voglia mettere l’esperanto al posto delle lingue nazionali, che è cosa che nessuno vuole e nessuno propone. La Sua preoccupazione sulla “perdita d’identità” è giustissima. Ma questo è proprio ciò a cui si andrà incontro se non si fa nulla contro l’attuale tendenza (in italiano moderno si direbbe “trend”!) ad accettare l’inglese come lingua comune degli europei. La conseguenza sarà, nel giro di alcune generazioni, la dialettizzazione delle lingue nazionali. Vediamo già oggi come è ridotto l’italiano, in cui non si riesce a leggere una pagina di giornale senza imbattersi in inglesismi, o pseudo-inglesismi, spesso assolutamente inutili” (gb)

  1. L’esperanto “un hobby delizioso” (come la pesca) Bebbe Severgnini in risposta al solito ardimentoso ha voluto farci un complimento dicendo “ L’esperanto è un hobby delizioso (come la pesca) ma ha aggiunto “ma da qui a farne la lingua del mondo, ne passa “, assumendo quel poco simpatico atteggiamento di chi ti guarda dall’alto dandoti un buffetto sulla guancia col sorrisino tra le labbra tirate, atteggiamento preso dal suo maestro Indro Montanelli ,sommo giornalista ma evidentemente con delle preclusioni, a cui analogo lettore aveva dato occasione di dire che l’esperanto era “ solo un gioco intellettuale, più costruttivo del gioco a piattello”.(gb)

  1. Il linguaggio moderno è l’inglese Sergio Romano, a cui un fervido sostenitore dell’esperanto aveva in un messaggio imprudentemente chiesto cosa ne pensasse dell’adozione di tale lingua come internazionale, ha sostenuto in Panorama del 14-4-001 che “ una lingua comune non serve” perché “il linguaggio moderno delle comunicazioni, della gestione aziendale…è l’inglese” e “cercare parole nuove in laboratorio allo scopo di esprimere un concetto per il quale esiste già una parola originale, che molti conoscono, diverrebbe un esercizio astratto”. Ebbene noi siamo ben disposti ad usare la parola computer ed anche desktop ed altre ancora ( come usiamo in barca termini marinareschi che non usiamo però sulla terra ferma), ma molto di meno ad usare sleepingbag per sacco a pelo e proprio per niente ad usare bread per pane e wine per vino. Perché di questo si tratta purtroppo anche se l’ ex-ambasciatore che fa opinione sorvola.(gb)

  1. La dislessia Da un punto di vista scientifico 1) si è scoperto che per esprimersi in inglese il cervello impegna entrambi gli emisferi: quindi maggiore dispendio energetico a livello neuronico e difficoltà maggiori per i dislessici. Come può una lingua, i cui difetti peculiari 2) sono nella pronuncia (molteplicità di parole omofone), nella scrittura (uno stesso suono può essere descritto con un insieme di caratteri diversi), nell’accentuato idiomatismo (uso di locuzioni non corrispondenti alla somma delle componenti), assurgere al ruolo di lingua franca internazionale? La quale dovrebbe essere improntata a semplicità grammaticale, corrispondenza del suono ad una struttura univoca, complesso di radici verbali già patrimonio comune dell’umanità. In una parola: l’Esperanto.

1) Vd. Art. di Alberto Oliverio su “Corriere della sera” pag. 27 del 5.03.2000

2)G.B.Shaw, prossimo alla fine, espresse il desiderio di donare una cospicua parte della sua non irrilevante eredità a chi avesse semplificato la scrittura inglese. (Giuseppe Lalli)

  1. Come definire l’esperanto Una docente universitaria di lingue ha afffermato tempo fa in una intervista radiofonica “poiché l’esperanto non si parla in nessuna parte del mondo in particolare noi non la consideramo lingua”. Come detto al punto II, ci sono vari modi di definire l’esperanto tra cui quello di lingua pianificata (Plansprache, planned language) (o almeno di origine pianificata perché l’esperanto si è sviluppato ed evolve con l’uso come tutte le lingue), o di lingua non territoriale, come la definiscono gli interlinguisti russi, ma la definizione più appropriata è quella di lingua internazionale- e come tale è stata pensata e si è diffusa- mentre l’inglese ( si dovrebbe meglio parlare di lingue inglesi) è lingua etnica, anche se di largo uso internazionale. (gb)

  1. Si può fare l’amore in esperanto ? Si racconta che Umberto Eco, prima che decidesse di sostenere l’esperanto in “Alla ricerca della lingua perfetta”, disse in classe che l’esperanto non era una vera lingua perché non si poteva fare l’amore in esperanto. E che una sua allieva lo contraddisse dicendo “Mi dispiace, professore, ma le assicuro che si può. Io l’ho fatto”.

18. L’artificialità

Secondo Mario Pei in “La meravigliosa storia del linguaggio” questa accusa “ naturalmente, non è affatto un'ac­cusa. Ammettere l'artificialità di una lingua come l'Esperanto di fronte alle qualità naturali di idiomi come il francese o l'inglese equivale ad ammettere l'artificialità di un'automobile in contrasto con la naturalità di un cavallo. L'artificialità può essere, e general­mente è, un'espressione dell'umana intelligenza, che conduce, per lo scopo che si vuol conseguire, a un miglioramento rispetto alle condi­zioni naturali.” Tuttavia l’esperanto, una volta accolto dalla comunità che l’ha fatto proprio si è sviluppato come ogni altra lingua e il termine “artificiale2, 70 anni almeno dopo la pubblicazione dell’opera di Pei, è scomparso o è stato sostituito da “pianificato” (Plansprache, planned language) (gb)

19. La mancanza di neutralità (o lingua troppo occidentale) (1)

Secondo Mario Pei in “La meravigliosa storia del linguaggio”: “« Neutralità » è un'altra abusata espressione. Come ha ben rile­vato Hogben nella sua Interglossa, che vantaggio deriverebbe agli zulù dal trovare in un idioma costruito su base veramente neutrale due o tre parole della loro lingua, massima percentuale cui avreb­bero diritto per numero ed importanza ? Il fatto che le lingue co­struite siano di solito decisamente orientate verso le grandi lingue di cultura, anziché verso una rappresentanza proporzionale di tutti i gruppi linguistici della terra, è un pregio anziché un difetto.” (gb)

20. La dialettizzazione

Secondo Mario Pei in “La meravigliosa storia del linguaggio”all’accusa che le lingue pianificate, “se venissero adottate, ciascun popolo tenderebbe a pronunziarle con l'accento che gli è proprio, di modo che in breve volgere di tempo si ramificherebbero in tutta una gamma di lingue nuove, si può facilmente far fronte con un po' di co­gnizione della storia linguistica. Le lingue tendono a disintegrarsi in dialetti locali a séguito di isolamento e di assenza di comuni­cazioni. Quando forti sono i fattori che portano all'unità politica, culturale e commerciale, si verifica piuttosto il fenomeno opposto, ossia sono i dialetti che tendono a sparire. Quelli che sottolineano lo smembramento del latino nelle diverse lingue romanze dopo la ca­duta dell'impero romano dovrebbero tener d'occhio anche il più antico fenomeno della diffusione e dell'unificazione del latino su un'area vasta e multilingue, allorché determinate circostanze fa­vorirono tale processo.” (gb)

21. Effetto glottofagico

Secondo Mario Pei, che questa volta accusa, “una lingua internazionale, una volta adottata, soppianterebbe rapidamente gli idiomi esistenti, forse fino al punto di condurre, in ultima analisi, alla loro totale estinzione. Che una tale minaccia sia veramente seria è dimostrato dal fatto che i pro­pugnatori di una qualsiasi lingua internazionale, tutti senza ecce­zione, si danno un gran daffare per convincere che la loro creatura non intende affatto sostituirsi alle lingue nazionali, bensì affian­carsi ad esse ai soli fini della comunicazione internazionale.” A questa obiezione, che ha una sua validità, si può rispondere che l’esperanto è stato creato per i rapporti internazionali e pertanto manca completamente delle espressioni idiomatiche che costituiscono la particolarità delle lingue etniche, di cui, si immagina, nessuno possa fare a meno per esprimere i rapporti con il proprio mondo. E che, comunque, mentre l’effetto distruttivo, glottofagico, dell’esperanto è solo ipotetico, quello di una lingua etnica, nella fattispecie dell’angloamericano, come è facile constatare già oggigiorno, è del tutto certo. (gb)

22. La facilità di apprendimento ai danni della logica

Altra singolare accusa di Mario Pei che può interessare “riguarda l'essenza della filosofia e della metodologia interlinguistica. I più antichi interlinguisti, compresi tutti gli eruditi del diciassettesimo secolo menzionati al principio di questo capitolo, e i più moderni giù giù fino allo Schleyer, erano enormemente preoccupati di raggiungere la perfezione logica; nella loro qualità di filosofi e di logici, essi non potevano concepire un pro­dotto artificiale che non fosse completamente logico e in piena ar­monia con ciò che gli scienziati dell'epoca consideravano sistema linguistico universale di emanazione divina. Gli interlinguisti mo­derni, dallo Zamenhof in poi, cadendo nell'eccesso opposto, non cercano la logica ma la facilità dell'apprendimento. La loro princi­pale preoccupazione consiste nel rendere le loro creazioni pronta­mente assimilabili da parte delle masse, mediante una semplifica­zione della struttura grammaticale che arriva all'estrema nudità della sintassi cinese e mediante la selezione di vocaboli che riescano più immediatamente accettabili al maggior numero di persone. Si potrebbe onestamente concludere che siamo passati da un estremo all'altro, dal concetto di un idioma aristocratico e filosofico per l'élite intellettuale del mondo a quello di un idioma democratico e universale che si conquisti il favore delle masse. Siamo sempre alla ricerca della perfezione, è vero, ma di una perfezione diversa, più moderna.” (gb)

23. L’esperanto troppo europeo (2)

L’obiezione che l’esperanto sia una lingua troppo europea appare abbastanza ingenua in quanto se si fossero scelte le parole oltre che dalle lingue europee anche da quelle africane, asiatiche e mediorientali, che vantaggio avrebbe un giapponese un esperanto con solo qualche parola nella sua lingua? La facilità con cui anche un asiatico apprende l’esperanto, una volta superato l’ostocolo della diversa scrittura, non è data da una certa famigliarità con il lessico ma dalla semplicità strutturale della lingua e dell’uso di numerosi affissi che ne estendono notevolmente il vocabolario con notevole risparmio di energie. (gb)

24.Troppo europeo (3)

L’altra sera ho cenato qui a detroit con Koralo Chen, un cinese di vicino Hong Kong, che parla esperanto. Gli ho presentato la questione e lui mi ha detto di aver sentito più volte questa obiezione ma di averla sempre considerata una sciocchezza in quanto nella parte del mondo a lui vicino le lingue maggiori sono del tutto diverse l’una dall’altra. Conoscere il cinese, ad esempio, non aiuta affatto per apprendere il coreano o il giapponese.

(Sylvan Zaft ripartato da FAQ di Bellefeuille)(trad.dall’inglese) (gb)

25.Troppo europeo (4)

La International Auxiliary Language Association (IALA) ha studiato questo punto (lessico troppo europeo) scientificamente concludendo che una lingua costituita da una parola per ogni lingua delle 6170 esistenti al mondo non sarenne più popolare. Sarebbe solo un guazzabuglio ingestibile.(Manuel M.Campagna in FAQ di Bellefeuille) (trad.dall’inglese) (gb)

26.Troppo europeo (5)

Questa obiezione (lessico troppo europeo) è stata trattata dal prof. Pierre Janton secondo il quale vi sono due considerazioni da tenere presenti. Anzitutto vi sono migliaia di lingue nel mondo e se l’esperanto avesse cercato di formare il suo vocabolario dal 10 % di esse si sarebbe avuta una lingua difficile da apprendere per tutti invece dell’esperanto esistente, che è relativamente facile per tutti. In secondo luogo con la diffusione mondiale delle scienze, tecnologie, commerci ecc. euroamericani molti termini tecnici occidentali sono entrati nel vocabolario di molte altre lingue, tanto che la base europea dell’esperanto è ora molto più internazionale di quanto appare a prima vista. Comunque la questione è del tutto irrilevante perchè l’internazionalità dell’esperanto –o di una qualunque altra lingua pianificata- non può esser data dal vocabolario per le ragioni dette. Infatti ciò che rende l’esperanto una vera lingua “internazionale” (da non confondere con lingua “mondiale” come l’inglese) è la sua straordinaria flessibilità semantica che permette a persone di famiglie linguistiche differenti di tradurre i loro pensieri direttamente in esperanto e produrre qualcosa perfettamente intelligibile e grammaticalmente corretto. (David Poulson in FAQ di Bellefeuille).(trad.dall’inglese) (gb)

27.Ognuno traduce dalla propria lingua e non ci si capisce

Altra obiezione, avanzata anche dalla stampa, è che con l’esperanto non sia facile capirsi perché ognuno traduce dalla propria lingua e, in un settimanale popolare, si affermava addirittura che fosse difficile persino chiedere “come stai” che- secondo il giornalista- sarebbe stato tradotto “come ti porti” da un francese, “come fai” da un inglese, “come stai in piedi” da un italiano e così via senza sapere che in esperanto esiste un’espressione inequivocabile che significa solo come stai di salute “kiel vi fartas ?”. Il desiderio di capirsi che anima gli esperantiisti fa sì che si evitano le forme che possano dare luogo ad equivoci e si va sempre più verso uno Standard Esperanto dall’immediata lettura, come l’italiano moderno di Milano frutto dell’incontro tra settentrionali e gente del sud desiderosi di capirsi bene. (gb)

28.L’esperanto unisce in modo ottimale rigore e libertà

Per confutare l’obiezione che l’esperanto sia una lingua rigida, quasi

meccanica, ci soccorrono le originali considerazioni di Claude Piron, che

oltre ad essere linguista è anche psicologo, espresse nel suo intervento in

occasione della celebrazione del centenario del I° congresso di esperanto di

Boulogne-sur-Mer, per il quale l’esperanto unisce in modo ottimale rigore e Libertà. Partendo dalla considerazione che il cervello umano si divide in tre zone: quella inferiore, sede degli istinti, quella superiore sinistra, della razionalità e rigore e quella superiore destra della fantasia e libertà, afferma di aver trovato in Zamenhof queste due parti in perfetto equilibrio. Tale armonia si troverebbe anche nella creazione di Zamenhof. Infatti l’esperanto unirebbe al rigore (accusativo, valore preciso delle preposizioni, distinzione tra verbi transitivi e intransitivi ad esempio) una grande libertà di espressione. Piron elenca quindi tutte le possibilità di dire “sono venuto a Boulogne col treno”

-Mi venis al Boulonjo per trajno (come in italiano)

-Al Boulonjo mi trajnis (si è reso verbo la parola trajno = treno)

-Mi venis trajne Boulonjon (si è reso avverbio la parola trajno e si è apposta

la n dell’accusativo di direzione al nome della città)

-Boulonjen trajnis mi (si è aggiunta la n dell’accusativo a B. reso avverbio)

-Pertrajne mi al B. venis (pertrajne = per trajno)

-Trajne mi alboulonjis (si è reso verbo il nome della città e si è usata la

preposizione di direzione “al” come prefisso)

e si potrebbe continuare cambiando l’ordine delle parole.

Il fatto che l’esperanto presenti tanta ricchezza e flessibilità per uno scrittore –secondo quanto sostiene Piron- si deve a questa rarissimo combinazione di rigore e libertà, all’armonia dei due emisferi cerebrali, in perfetto equilibrio in Zamenhof. “Da questo punto di vista l’esperanto è unico. Le lingue accentuano ora l’uno ora l’altro di questi tratti. Il francese e il tedesco sono rigorosi ma lasciano poca libertà nel modo di esprimersi. L’inglese e il cinese sono più liberi ma mancano di rigore e quindi di precisione. Sì, l’esperanto è unico nel panorama delle lingue. Con esso la mente può funzionare finemente, con precisione e chiarezza ma anche il cuore trova lo strumento per esprimere tutta la sua ampiezza, la sua fantasia, i suoi sentimenti ed emozioni più intimi e intensi.”(gb)

29.La grande ricchezza dell’esperanto- riserva mentale all’incontrario

Piron, gran conoscitore di lingue, è innamorato dell’esperanto come nessuno mai. Una sua opera , “La buona lingua”, è dedicata appunto alla magnificazione della sua bontà in tutti i sensi. Ottimamente. Ma per il mondo esterno, secondo me, sentire, come detto sopra, che l’esperanto presenta per uno scrittore tanta ricchezza e flessibilità risulta senz’altro scioccante, specie se si è appena sentito che si tratta di sole 16 regole o che Tolstoj aveva appreso la lingua in sole due ore, come imprudentemente molti affermano. In effetti, sempre secondo il mio modesto parere, bisognerebbe essere più cauti nell’esaltare l’esperanto per essere credibili: d’accordo con la flessibilità, ma in quanto a ricchezza l’esperanto, la più giovane delle lingue, non può, né lo pretende, competere con lingue come l’italiano di cui esistono dizionari come il Battaglia in 24 grossi volumi.

Nell’esempio riportato dal Piron si vede bene che, anche se maneggiato in più maniere, si tratta sempre di un solo termine, “trajno” e quando si usano gli utilissimi affissi, ad esempio “ej” nelle parole preĝejo, lernejo, dormejo ecc, non si tratta di arricchimento ma di semplificazione (invece di dire chiesa diciamo luogo in cui si prega, scuola luogo in cui si impara, dormitorio luogo in cui si dorme). E poi, estremamente importante, l’esperanto va diffuso come seconda lingua, per i rapporti internazionali, e non come una lingua prodigiosa capace di esprimere ogni sfumatura del pensiero umano e ogni rapporto con la realtà . Cosa non vera del resto perché le carenze terminologiche sono tante anche nelle lingue moderne (nello stesso italiano e nelle lingue dei nuovi membri Ue che devono ricorrere ad operazioni di pianificazione linguistica per adeguarsi alla terminologia delle normative europee) figuriamoci in esperanto ! E con un esperanto, la più ricca ed appagante delle lingue, come facciamo a sostenere che se si diffondesse planetariamente non distruggerebbe tutte le altre lingue, il pericolo paventato da Pei ? L’opzione esperanto noi la proponiamo nell’Ue a difesa delle lingue e non per distruggerle, mi pare. (gb)

30.Il lessico dell’esperanto : un orribile miscuglio

Anche dal mondo esperantista vengono talvolta affermazioni fuorvianti, come rileva André Cherpillod in un intervento in HdE n.5 di aprile 05 p.4 dal titolo Statistikaj Aferoj, riferendosi al computo delle parole dell’esperanto secondo la loro origine riportato in molti opuscoli e locandine di “propaganda” distribuiti nelle diverse manifestazioni di presentazione della lingua, secondo cui il 75% del lessico è di origine greco-latina, il 20% germanica e il 5% russa, dando l’impressione a chi non conosce l’esperanto di un orribile miscuglio.

In effetti la questione sarebbe malposta perché non vi sono il 75% di parole solo latine, il 20% solo germaniche e il 5 russe. Cherpillod cita per esempio la parola aprikoto. E’ una parola latina ? germanica ? russa? Guardiamo: francese: abricot, tedesco: Aprikose, olandese: abrikoos, inglese: apricot, scandinavo: aprikos, islandese: aprikosa, russo: abrikos, giapponese: aburiko. L’origine sarebbe araba “albarquq” da cui più riconoscibile l’italiano “albicocca”. La statistica riportata avvalora la riserva mentale di chi ritiene l’esperanto un misto di più lingue scelte un po’ a caso secondo i gusti dell’autore e non per la loro internazionalità, per la loro appartenenza cioè a più lingue. Cherpillod propone invece di presentare il lessico di esperanto secondo questa divisione frutto di suoi calcoli:

-parole immediatamente comprensibili da persone di lingue neolatine : circa 93%, es.: akcento, ananaso, anĝelo

-parole immediatamente compresibili da persone di lingue germaniche:

circa 90 % , es. akcento, ananaso, anĝelo

-parole immediatamente compresibili da persone di lingue slave: circa 43 % es.: akcento, ananaso, anĝelo

Cherpillod conclude riportando quanto affermato da Giulio Verne nel suo ultimo romanzo tradotto in esperanto da Ertl col titolo Esplorvojaĝo: “L’esperanto è la lingua internazionale ideale. Il principio che ha guidato la sua crazione è stato quello di scegliere le radici in proporzione alla loro internazionalità, quasi con votazione universale.” (gb)