UTOPIA (II) In questi tempi di globalizzazione, alcuni vedrebbero bene l'esperanto per rimpiazzare l'inglese come lingua internazionale. Utopia? Oggi sei milioni di persone parlano la lingua internazionale, nata più di cento anni fa dal sogno di un giovane lituano. Dal 23 al 30 luglio, Vilnius ospita il 90° Congresso mondiale di Esperanto.
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Una lingua è anche un modo di vedere il mondo. Provate a lanciare la discussione sull'esperanto, e otterrete subito delle reazioni contrastanti. Alcuni ci vedono solo l'utopia di languidi sognatori ed esprimono il loro scetticismo con un educato sorriso. Per altri, l'esperanto potrebbe essere la lingua del nostro mondo globalizzato, che metterebbe i popoli su un piano di eguaglianza. Gli esperantofoni lo apprezzano come strumento per comunicare facilmente con il mondo intero e lodano con entusiasmo la sua semplicità e la sua logica.
L'esperanto è effettivamente nato da una utopia. Più di cent'anni fa, tormentato dai conflitti che dividevano la sua città, il giovane Ludovico Lazzaro Zamenhof sogna di vedere gli uomini uniti e riconciliati. Convinto che tutti gli esseri umani sono uguali e che solo la lingua e la nazionalità li dividono, vede nell'idea di una lingua internazionale - quindi neutrale e universale - un mezzo per creare relazioni armoniose fra gli individui. Da un sogno, l'esperanto diviene rapidamente una realtà per migliaia di persone.
Oggi sono alcuni milioni in tutto il mondo, suddivisi in più di 100 paesi, a incontrarsi, leggere e comunicare attraverso la lingua internazionale. Duemila di loro sono attesi a Vilnius dal 23 al 30 luglio, per il 90° Congresso Mondiale di Esperanto, sotto l'alto patronato del Presidente della Lituania, Waldas Adamkus.
UNA CITTÀ, QUATTRO LINGUE
Zamenhof nacque nel 1859 a Bialystok, città che oggi si trova in Polonia ma che a quell'epoca faceva parte della provincia baltica di Lituania, parte integrante dell'Impero russo. Quattro comunità coabitavano in questo agglomerato di 30 000 abitanti: Polacchi, Russi, Tedeschi e una maggioranza di Ebrei. La lingua ufficiale è la russa, ma le classi intellettuali parlano soprattutto polacco, mentre il tedesco domina nei quartieri operai e l'ebraico nel commercio. I conflitti fra le varie comunità sono frequenti e violenti.
Il giovane Zamenhof viene da un ambiente ebraico colto, che condivide con i filosofi dei Lumi un "razionalismo illuminato" e una visione umanista e atea del mondo. Sconvolto da queste manifestazioni di odio, un giorno confida a sua madre il desiderio di dare una lingua comune all'umanità per riavvicinare tutti gli uomini.
Da bambino e da adolescente, Zamenhof si familiarizza con parecchie lingue – alla fine ne conosce una dozzina. Nel 1874, a 15 anni, comincia un lavoro che lo condurrà quattro anni più tardi a un primo progetto che presenta ai suoi compagni di liceo. Poco soddisfatto di questo primo tentativo, elabora un secondo progetto, completato nel 1881, che gli pare ancora insufficiente. Nel 1882, mentre studia medicina – farà in seguito l'oculista –, con alcuni compagni crea a Varsavia il primo gruppo sionista, in reazione ai pogrom antiebraici in Russia e in Polonia. Nel 1883, essi fondano l'associazione sionista «ibat-Cion» (gli amanti di Sion). Inizialmente molto impegnato in questa organizzazione clandestina e illegale, Zamenhof presto se ne allontana. Lascia il movimento nel 1901, perchè «la manifestazione di un patriottismo nazionale, fra gli Ebrei, può essere nefasta a loro stessi e alla unificazione dell'umanità » (lettera del 21 febbraio 1905 a Alfred Michaux, Leteroj de Zamenhof, ed. SAT, 1948). Da allora si consacra totalmente al suo sogno di linguaggio universale. (dal sito Internet dell'associazione SAT-Amikaro)
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Tredici anni dopo l'inizio del suo lavoro, il 26 luglio 1887, pubblica Lingvo Internacia de Doktoro Esperanto (Lingua Internazionale del Dottor Esperanto). Ha allora 28 anni. Nella lingua internazionale, lo pseudonimo che ha scelto significa «colui che spera»: l'esperanto incarna la speranza umanista di un giovane uomo che rifiuta il cinismo e l'odio.
Nella stessa lettera del 1905, Zamenhof spiega: «Se non fossi un ebreo del ghetto, l'idea di unire oppure no l'umanità non mi avrebbe sfiorato, o almeno non mi avrebbe così costantemente ossessionato durante tutta la mia vita. Nessuno può risentire quanto un ebreo del ghetto della maledizione delle divisione fra gli uomini. Nessuno può sentire la necessità di una lingua umanamente neutrale e non-nazionale quanto un ebreo, che è obbligato a pregare Dio in una lingua morta da molto tempo, che riceve la sua educazione e la sua istruzione da un popolo che lo rifiuta, e che ha compagni di sofferenza su tutta la terra, con i quali non si può capire.»
E poichè l'esperanto deve appartenere a tutti, Zamenhof si considera come il suo iniziatore, e non come il suo creatore.
TRADUZIONE DI CAPOLAVORI
Pone anche le basi di una lingua vivente, che non ha cessato di evolversi dal momento della sua creazione. Invece di elaborare una grammatica dettagliata, Zamenhof ha preferito tradurre, sulla base della sua grammatica fondamentale, dei capolavori della letteratura – Amleto di Shakespeare (1894), Il Revisore di Gogol (1907), brani della Bibbia e l'Antico Testamento, Ifigenia in Tauride di Goethe (1908), George Dandin di Molière (1908) e I Briganti di Schiller (1908). Ed è per mezzo della traduzione e della letteratura che l'esperanto si perfeziona, si addolcisce, si arricchisce e si adatta, per riuscire poco a poco a esprimere tutte le sfumature e le emozioni necessarie al linguaggio.
Specialmente a causa della semplicità della sua struttura, l'esperanto fu rapidamente adottato – rimpiazzando il volapük, lingua inventata nel 1879 dal sacerdote tedesco Johann Martin Schleyer, che all'epoca ebbe un certo successo. Nell'agosto del 1905, il primo Congresso universale di Boulogne-sur-Mer, presieduto dallo stesso Zamenhof, riunì 688 partecipanti di venti paesi. In quella occasione furono gettate le basi dello sviluppo dell'esperanto: adozione della Grammatica fondamentale dell'esperanto e della Dichiarazione sull'esperantismo, creazione del Comitato linguistico che poi diverrà l'Accademia di esperanto nel 1908. I congressi universali si sono succeduti fino ai nostri giorni, interrotti soltanto dalle due guerre mondiali.
Quando Zamenhof muore nel 1917 a Varsavia, l'esperanto è sufficientemente radicato per sopravvivere alla sua scomparsa e alle due guerre che devastano l'Europa. Oggi la letteratura in esperanto rappresenta circa 30 000 opere, di cui circa un terzo di traduzioni. Ogni settimana appaiono parecchi nuovi titoli.
COME FUNZIONA?
L'esperanto si fonda sulle radici e le strutture delle lingue viventi indo-europee. E, sul modello del cinese, è composto esclusivamente di elementi invariabili, che si combinano all'infinito con l'aggiunta di prefissi e suffissi alle radici. Un esempio, fornito da Claude Piron in "La sfida delle lingue: dalla confusione al buon senso": la radice «san» esprime il concetto di salute: se le si aggiunge -a, suffisso che esprime l'aggettivo, diviene «sana», che significa perciò «in buona salute»; con -o, che indica il sostantivo, sano vuol dire salute; -i esprime l'infinito, re- l'idea del ritorno, e -ig- quella di causare: resanigi vuol dire guarire ( di nuovo - far diventare - sano), resanigo, guarigione, ecc.
Chi impara l'esperanto arriva a esprimersi liberamente dopo qualche mese di studio, mentre sono necessari anni per conversare in qualsiasi altra lingua straniera, spiega Claude Piron. Perchè l'esperanto segue una tendenza naturale dell'essere umano, quella che Jean Piaget ha chiamato l'«assimilazione generalizzatrice»: nel processo di apprendimento delle lingue, l'individuo generalizza quel che sente più frequentemente. In francese, i bambini o gli stranieri dicono, secondo logica, «plus bon» (come «plus grand», «plus fort»), «vous faisez», «vous disez», ecc. «Nella grande maggioranza delle lingue straniere, non ci si esprime con facilità perchè occorre acquisire un gran numero di riflessi che sono innaturali (si tratta di inibire le forme spontanee a cui condurrebbe la assimilazione generalizzatrice)», aggiunge Claude Piron. Dato che al contrario l'esperanto gioca sul riflesso naturale della assimilazione generalizzatrice, l'esperantofono «praticamente non ha bisogno di riflessi condizionati da opporre ai suoi riflessi innati ».
C'è anche un'altra ragione che spiega questa facilità di apprendimento: le lingue nazionali si acquisiscono in modo additivo, l'esperanto in modo moltiplicativo. Dunque non occorre fare molti sforzi di memoria: una volta che si è capito il senso dei suffissi e prefissi, conoscere la radice di una parola significa che nello stesso tempo si conoscono tutte le sue derivazioni, aggettivi, nomi, verbi, ecc.
Infine, questa semplicità di struttura contiene un grande potenziale creativo: «Quel che fa la ricchezza, non è il numero iniziale di elementi, ma le possibilità di combinazioni », analizza Claude Piron. L'esperanto permette anche facilmente di immaginare delle sfumature intraducibili in altre lingue. Esempio: «mi amas lin» vuol dire «io lo amo». Se si aggiunge l'elemento -et- fra la radice
-am- («amare», «amore») e la terminazione -as-, che indica l'indicativo presente, si ottiene «mi ametas lin», che produce la stessa sfumatura che in italiano si renderebbe con "un amoretto", o "canticchiare" invece di cantare, o "piovigginare" invece di piovere, spiega Piron. Una ricchezza di cui i poeti e gli scrittori esperantofoni hanno saputo fare buon uso.
Biografia di L.L. Zamenhof: L'Homme qui a défié Babel, éd. L'Harmattan, 2002, de René Centassi (1922-1998)
L'associazione SAT ha svolto un importante lavoro di editoria in esperanto, specie fra le due guerre.
Claude Piron, Le Défi des langues – Du gâchis au bon sens, éd. L'Harmattan, 1994.
Corsi:
Corsi di esperanto sono proposti dalla Université populaire de Genève (23 rue du Vuache, www.upcge.ch, 022 339 05 00, ).
La Societa di Esperanto di Losanna offre dieci lezioni gratuite (www.alawa.ch) e propone corsi estivi per ragazzi nel quadro di 'Passaporto Vacanze (contattare: Direction des écoles de la ville de Lausanne).
Corso su Internet: www.lernu.net
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E se l'esperanto sostituisse l'inglese
Fare dell'esperanto la lingua degli scambi internazionali ... l'idea sembra un po' stravagante.
Eppure "nessuna altra alternativa garantisce un tale grado di equità fra i cittadini europei", conclude François Grin nel suo studio 'Costi e giustizia linguistica nell'allargamento dell'Unione Europea'. Professore di economia alla scuola di traduzione e interpretazione (ETI) dell'Université de Genève e direttore aggiunto del Servizio di Ricerca sull'Educazione (SRED) del Dipartimento ginevrino della Pubblica Istruzione, François Grin valuta i meriti relativi dei differenti modelli linguistici, attraverso una «analisi economica delle politiche linguistiche». Una prima assoluta.
Bisogna scegliere una sola lingua dominante, o una troïka di lingue ufficiali, il plurilinguismo, la traduzione attraverso una lingua ponte come il latino o l'esperanto? La questione si pone in modo acuto nel momento in cui la mondializzazione parla inglese, e l'Unione europea (UE) si è allargata a 21 stati membri. L'autore arriva a tre conclusioni.
LINGUA E POTERE
A prima vista, nessun regime linguistico si impone evidentemente come preferibile agli altri, e tutto dipende dai criteri di valutazione adottati. La scelta delle lingue di lavoro dell'UE è perciò « il prodotto di una mediazione fra le priorità, e quindi di giochi di potere, piuttosto che di una fatalità o di una qualche legge fisica». In secondo luogo, non c'è nulla di «economico» che privilegia l'inglese. Infine, il «tutto inglese» «è in effetti una soluzione straordinariamente sbilanciata, che provoca dei trasferimenti valutabili in miliardi di euro all'anno ». Nessuna ragione tecnica, economica o altro giustifica una simile ingiustizia, secondo François Grin. «In qualsiasi altro campo della politica pubblica, questo sarebbe considerato del tutto inammissibile.»
In un rapporto che apparirà questa estate, il professore cita delle cifre. Il Regno Unito guadagna come minimo 10 miliardi di euro netti all'anno a causa della dominanza dell'inglese. «Se si tiene conto dell'effetto moltiplicatore di certe componenti di questa somma, e del rendimento dei fondi che i paesi anglofoni possono, a causa della posizione privilegiata della loro lingua, investire altrimenti, questo totale è di 17 o 18 miliardi di euro all'anno.»
I paesi anglofoni traggono profitto dall'immenso mercato della formazione – corsi, libri, manuali, traduzioni, ecc. – e allo stesso tempo risparmiano i costi di formazione. Secondo François Grin, gli Stati Uniti risparmierebbero dunque «circa 16 miliardi di dollari all'anno per il semplice fatto che l'insegnamento delle lingue straniere nella scuola obbligatoria è ridotto al minimo ».
Una somma colossale, dato che rappresenta più del triplo del bilancio annuale della National Science Foundation americana, organo centrale di sostegno federale alla ricerca e sviluppo: questa economia si traduce in tassi di crescita più elevati, che in qualche maniera sono « cofinanziati dai paesi non anglofoni che accettano di fare dell'inglese «la» lingua internazionale». Infine gli studenti stranieri apportano circa 13 miliardi di dollari ogni anno alle casse delle Università americane, dell'economia e dello Stato.
NON CRIMINALIZZARE L'INGLESE
Da parte loro, i paesi non anglofoni spendono somme considerevoli nella formazione, senza che gli studenti raggiungano mai lo stesso livello di padronanza che hanno gli anglofoni: non sono uguali «riguardo alla comprensione, (...) riguardo al prendere la parola in un pubblico dibattito » e si trovano indeboliti nelle situazioni di conflitto o di negoziazione. Una posizione di inferiorità e di insicurezza difficile da tradurre in cifre, ma che dà un vantaggio evidente agli anglofoni negli affari del mondo. Altra conseguenza: i parlanti nativi della lingua dominante sono avvantaggiati fin dalla nascita.
Ma non si tratta affatto di incriminare l'inglese. Il problema sarebbe lo stesso, qualsiasi sia la lingua nazionale dominante. Lingua unica, pensiero unico, potere unico? In ''La Manipolazione mentale attraverso la distruzione delle lingue", Charles Xavier Durand osserva che «Poichè lingua e cultura sono non dissociabili, la lingua (...) serve de facto gli interessi dei paesi per i quali è anche la lingua nazionale ».
L'ESPERANTO PER UN MONDO PLURILINGUE
E dunque la soluzione è altrove.. François Grin dimostra che esistono dei modelli linguistici meno ineguali in termini di costi finanziari e umani. Procedendo per eliminazione, egli constata che «al giorno d'oggi, l'esperanto è senza dubbio il pretendente più serio ». E occorre superare le reticenze: «Certo, il ricorso a questa lingua è spesso rigettato d'ufficio, sulla base di argomenti di una sonora ignoranza. E nondimeno l'esperanto possiede tutte le caratteristiche come elemento chiave di una soluzione a lungo termine per l'Unione europea.» Il professore rileva che il costo di apprendimento dell'esperanto è «incomparabilmente basso, qualsiasi sia la lingua materna dello studente ». E che, anche se la soluzione plurilingue sembra politicamente più accettabile, l'esperanto sarebbe la soluzione migliore nel quadro di una strategia «da mettere in opera durante una generazione», e da utilizzare in un contesto plurilingue, nel quale esso sarebbe, in fin dei conti, «il migliore alleato».
François Grin, Coûts et justice linguistique dans l'élargissement de l'Union européenne, 2004.
Si può leggere su www.satamikarohm.free.fr
Di prossima pubblicazione: L'Enseignement des langues vivantes étrangères comme politique publique.
Charles Xavier Durand, La Manipulation mentale par la destruction des langues, éd. François-Xavier de Guibert, 2002.
Da "Le Courrier", quotidiano di Ginevra
Articolo di Anne Pitteloud apparso sabato 23 luglio 2005
traduzione dal francese di Sandro De Riu