Circa due decenni fa uno spiritoso partecipante ad un congresso sulle minoranze in Quebec inalberò un cartello su cui era scritto in francese: "Bretone, francese: stessa lotta!". In effetti non aveva tutti i torti, perché voleva segnalare che il francese, lingua padrona in Francia rispetto al povero bretone, si trovava in Canada nella stessa posizione del bretone nei confronti dell'inglese, lingua dominante nell'intero Canada.


Sono passati due decenni. È cambiato qualcosa? Sì, molto, ma purtroppo in peggio.

In Europa, dove erano nati negli anni settanta i movimenti per le lingue minoritarie, le cosiddette "lingue tagliate" la situazione è peggiorata a tal punto che adesso le lingue nazionali dei paesi europei incominciano a trovarsi in situazione minoritaria nel contesto di questo nuovo Paese, l'Europa Comunitaria, che tutti ci dicono cadente e bisognosa di
amorevoli cure, ma che, nel campo linguistico, sta producendo disastri notevoli.

E vero che le lingue minoritarie all'interno dei singoli stati hanno trovato più o meno spazio in questi ultimi tempi.

È vero che adesso in Sardegna c'è una legge regionale per l'insegnamento del sardo e lo stesso succede in altre regioni italiane.

È vero che in Spagna le varie comunità linguistiche-amministrative di cui è costituito quel paese hanno trovato equilibri più avanzati e le loro lingue più riconoscimenti, che quasi toccano l'ambito europeo.

È anche vero che nel frattempo altre lingue minoritarie si sono presentate sulla scena, le lingue delle numerose comunità di immigrati extraeuropei, che si sono trasferiti per motivi economici in Europa. Il che, ovviamente, complica ancora di più la situazione da gestire.

E però ancora più vero che l'inglese, lingua del grande fratello di oltre Atlantico, ha acquistato posizioni sempre più dominanti, tali da incominciare a ridurre gli ambiti d'uso delle lingue nazionali europee.

Nei paesi dell'Europa del Nord lo svedese e le altre lingue ormai non vengono più usate per redigere tesi di dottorato o altri lavori scientifici. In molti Paesi a livello di società commerciali l'uso dell'inglese viene semplicemente imposto tutte le volte che ci siano operazioni congiunte multinazionali (vedi l'ultimo accordo, proprio di questi giorni tra la Air France e la KLM olandese).

Di fronte a questo rullo compressore anche l'italiano incomincia a traballare. Vediamo di seguito la situazione teorica e quella pratica ed infine una proposta di possibile soluzione.

Lo scopo principale di questa introduzione, comunque, è quello di dire che il contributo principale di Andrea Chiti Barelli, che segue, è sempre più attuale.



1. Pesci in barile e cortine fumogene.

La Commissione Europea ha in questo campo una liturgia fissa. Ogni volta che si affronta il problema delle lingue e delle culture, qualcuno si alza e fa un solenne discorso sull'impegno dell'Unione Europea per il multilinguismo. Questa è la specificità europea e questa la Commissione intende tutelare con tutti i mezzi possibili, anche invitando gli europei a studiare due o tre lingue.

La frase inziale con cui si apre la pagina sulle lingue del Commissario Europeo al multilinguismo è: "In un'Europa che sarà sempre multilingue, l'apprendimento delle lingue apre le porte."(l)

Tuttavia molti accusano il Commissario competente, Jan Figel, di dire una cosa e farne un'altra. Ad esempio ha creato un gruppo di esperti per il multilinguismo del tutto inaffidabile.

Non si può, infatti, non notare tra questi "esperti di multilinguismo" la massiccia presenza di professori di inglese e di filosofi politici, il cui unico merito sembra essere l'appoggio ad una anglicizzazione immediata dell'umanità.

Parimenti non si può non notare l'assenza di organizzazioni di difesa delle lingue europee,presenti in quasi tutti i Paesi dell'Europa comunitaria, le quali rappresentano quei cittadini, nel cui nome la Commissione dovrebbe operare. Assenti sono anche tutti gli esperti che in qualche misura criticano l'azione della Commissione Europea, la quale dichiara di operare per il multilinguismo allorché, nei fatti, favorisce l'anglicizzazione progressiva dell'Europa e la scomparsa delle culture locali a vantaggio della sola cultura degli Stati Uniti, che sembrano essere il Paese di riferimento dell'attuale Commissione.

D'altronde a Bruxelles nessuno sembra darsi conto della necessità che la Comunità Europea resti multilingue per evitare il rischio che finisca come altri regimi che hanno provato a uniformare e cancellare gruppi nazionali anche in un passato non molto lontano.



2. L'itangliano.

Prendiamo due esempi da organismi pubblici italiani, quelli, per intenderci, contro i quali ancora poco tempo fa si è dovuta ingaggiare una lotta affinché abbandonassero il burocratese zeppo di latinismi e di grecismi e si facessero capire dalla gente.

2.1. L'atteggiamento delle Poste viene descritto bene da questo comunicato dell'Agenzia di stampa Disvastigo(2):

"Continuano gli attentati alla lingua italiana: Le Poste tra le più creative di italenglish".

Se le Poste devono eseguire dei lavori affiggono il cartello "Realizzazione nuovi LAYOUT' usando un termine non comune, sconosciuto ai più, che significa "distribuzione delle superfici, modello" e che ormai a sentire i postali sta per "nuovo ufficio", imbastardendo in tal modo non solo l'italiano ma anche l'inglese. Se poi si entra in un ufficio postale ti saltano agli occhi le scritte "BUSINNESS" per indicare il settore per clienti privilegiati, POSTEPAY per le carte di credito, POSTESHOP per acquisti secondo un ricco catalogo in cui troviamo con "Was it das" invece di vasistas (lo sportello a ribalta di certe finestre e cassette per le lettere) un altro incredibile attentato linguistico, POSTEDAYS che indica, come si è appreso, un periodo in cui gli impiegati cercano di fare marketing spingendo i clienti allo shopping postale. Ma non finisce qua l'espropriazione della lingua italiana da parte degli illuminati attuali dirigenti postali.

Con l'ordine di servizio n.34/06 Prot. 51/2006 con oggetto "Struttura organizzativa" infatti Poste Italiane ha provveduto, al fine «di favorire la diffusione di una cultura organizzativa orientata all'adozione di terminologie universalmente condivise nei contesti di business, e garantire una piena intelligibilità del modello organizzativo a tutti gli stakeholders di riferimento», a «ridefinire la denominazione delle funzioni organizzative aziendali e ad attribuire i seguenti job title» (sembra una barzelletta!) e le connesse responsabilità. Segue l'elenco delle funzioni con a fianco i vari job title: Vice President, Executive Vice President e Senior Vice President, Strategic Planning, Chief Financial Office & Operational Planning, Human Resources Organization, Chief Information Office, Internai Auditing, Legai Affairs, Corporate Affairs, Communication & Advertising, Security & Safety, Purchasing, Businness Unit BancoPosta. Businness Unit Mail, Businness Unit Express and Parcels, Businness Unit Philately, Chief Network and Sales Office, Chief Operating Office.

Il job title di chi ha disposto l'ordine di servizio (volgarmente noto come amministratore delegato) è naturalmente il Chief Executive Officer. L'inglese è una bella lingua ma perché usarla fuori luogo e per inquinare l'italiano?

Purtroppo ci sono esempi come question time, welfare, legge della privacy che vengono

dall'alto e non sono certo di buon esempio e rendono vani gli appelli al rispetto della lingua della Dante Alighieri e di altre associazioni come Allarme Lingua.

2.2. Ma non sono solo le Poste. Anche organismi legislativi di più alto livello, come già si accennava nel paragrafo precedente, agiscono allo stesso modo(3).

Vediamo ad esempio che l'art. 20, comma 7 del decreto legislativo in corso di emanazione

(di recepimento di varie direttive europee) per disciplinare la libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea,

http://www.governo.it/GovernoInforma/Dossier/circolazione_ue/decreto.pdf prevede che l'eventuale provvedimento di allontanamento sia "tradotto in una lingua comprensibile al destinatario, ovvero in inglese".

In parole povere diventa obbligatorio conoscere l'inglese, tenuto conto che la traduzione in inglese non rappresenta un'ipotesi residuale (da attivare solo nel caso che non sia possibile tradurre il testo del provvedimento in una lingua comprensibile al destinatario), ma ben può costituire l'ipotesi ordinaria: il tutto, con buona pace del diritto di agire in giudizio e del diritto di difesa, garantiti solennemente a tutti (non solo ai cittadini) dall'art. 24 della Costituzione:

http://www.quirinale.it/costituzione/costituzione.htm.

"Tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi.

La difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento".

È ovvio, infatti, che presupposto fondamentale per agire efficacemente in giudizio e

difendersi adeguatamente è la piena comprensione del contenuto (e, in particolare, delle

motivazioni) del provvedimento di allontanamento.

E poi da sottolineare che (ove, come si presume, il decreto legislativo recepisca pedissequamente le direttive europee) quanto segnalato non riguarda soltanto i cittadini di altri Paesi che intendano soggiornare in Italia; infatti, un provvedimento di allontanamento potrebbe colpire anche un cittadino italiano che intenda soggiornare in altro Stato dell'Unione; anche in quel caso, sarebbe sufficiente ed idonea la versione in inglese.



3. Prima non si imparavano le lingue straniere a scuola, adesso non si insegnano nemmeno.

Ormai da Capo Nord a Pantelleria nessun genitore vuol più sentire parlare di insegnamento di una lingua straniera che non sia l'inglese. Tutti i buoni propositi dell'Unione Europea sull'insegnamento delle lingue del vicino si rivelano per quello che sono: una cortina fumogena per nascondere la realtà.

Esemplifichiamo questo stato di cose con la dichiarazione dell'Associazione Internazionale degli Insegnanti di Lingua Francese (che pure in Europa era la lingua più insegnata fino a pochi decenni fa).

3.1. La Dichiarazione di Vienna dell'Associazione Internazionale degli Insegnanti di

Francese

- Facendo riferimento alla convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, in cui è specificato che la diversità linguistica costituisce un elemento fondamentale della diversità culturale

- Considerando che le lingue appartengono al patrimonio dell'umanità

- Ricordando che le lingue non sono solo strumenti per il commercio ma anche veicoli "d'identità, di valori e di senso"

- Constatando che i processi di mondializzazione rappresentano una sfida alla tutela della diversità linguistica

- Considerando che ogni stato ha il diritto di promuovere la propria cultura e la propria lingua

- Sottolineando che l'insegnamento di una sola lingua straniera privilegia, nei fatti, l'insegnamento dei soli modelli culturali veicolati da questa lingua e che la possibilità di scelta di un'espressione culturale fa parte delle libertà fondamentali dell'individuo

- Ricordando che la conoscenza delle lingue vicine facilita la collaborazione e l'integrazione regionale

- E convinta, peraltro, che l'apprendimento delle lingue sia un elemento fondamentale della formazione e dello sviluppo delle funzioni cognitive come pure dell'individuo in quanto cittadino del mondo

La Federazione Internazionale dei Professori di francese, che riunisce 180 associazioni di professori di tutte le nazionalità (160 Paesi di tutto il mondo), col consenso delle associazioni europee che ne fanno parte e che constatano un regresso del plurilinguismo nei sistemi educativi europei,

lancia un solenne appello a tutti gli organismi che si adoperano per la diversità culturale e a tutti i governi, affinché, l'insegnamento di più lingue, come voluto dal principio di diversità culturale, sia effettivo. A tale scopo chiede espressamente ai governi che hanno approvato la convenzione dell'Unesco sulla diversità culturale di prendere le misure necessarie e di attivare adeguati provvedimenti.

Gli Stati devono sollecitare le autorità educative:

- a promuovere presso i genitori l'apprendimento di più lingue e non di una sola lingua

- a consentire un accesso equo, cioè gratuito, al maggior numero possibile di lingue e, in ogni caso, ad almeno due lingue vive oltre la lingua materna e ciò in tutte le scuole, ivi compresi i licei e gli istituti ad orientamento tecnico o scientifico

- a valorizzare le lingue, in quanto discipline, nelle valutazioni e nei curricula, alla stessa stregua delle altre materie

- a stabilire un meccanismo interno di vigilanza sul plurilinguismo, per controllare l'accessibilità a queste lingue

- a trovare delle valide soluzioni per salvaguardare, anche in situazioni di effettivo inferiore al normale, le classi in cui vengono insegnate le lingue per le quali la domanda attualmente diminuisce, così come le cattedre degli insegnanti

- ad avviare corsi di formazione per ampliare la gamma delle lingue proposte

- ad assicurare, imperativamente, la formazione continua degli insegnanti di lingua e, a tale scopo, rendere accessibili i corsi all'estero grazie, ad esempio, ad accordi di cooperazione educativa tra i diversi paesi

- a facilitare la mobilità dei professori e degli studenti

- ad organizzare scambi professionali internazionali e la condivisione delle pratiche

- a rinforzare le relazioni internazionali a tutti i livelli di insegnamento

Gli Stati debbono prendere accordi urgenti per applicare, in tutti i paesi europei, una politica comune per la promozione delle lingue:

- sollecitando, all'occorrenza misure finanziarie o provvedimenti legali obbligando le imprese a rispettare la lingua nazionale nel mondo del lavoro e ad esigere due lingue straniere per le assunzioni

- sviluppando gli scambi culturali, le importazioni di prodotti culturali, le traduzioni e le sottotitolazioni

- stabilendo rapporti tra azioni culturali e mondo della scuola

- creando un ambiente culturale e, in particolare, mediatico multilingue, con un facile accesso alle reti televisive e ai programmi radiofonici in lingua straniera

- facilitando, sul piano delle formalità alle frontiere, la mobilità degli universitari e degli insegnanti

- sviluppando sempre di più per i giovani, meccanismi di borse di studio e di lavoro temporaneo all'estero, nella grande Europa.

Proposta La FIPF si propone di avviare la creazione di un osservatorio di vigilanza del plurilinguismo con l'eventuale collaborazione di altri OING e di altri organismi. Questo osservatorio produrrà un rapporto annuale che sarà valutato dagli organismi coinvolti, rappresentati al congresso europeo del 2 novembre 2006. Approvato all'unanimità a Vienna il 4 novembre 2006.

4. È possibile una soluzione.

La dichiarazione della Associazione Internazionale degli Insegnanti di Francese è solo una delle tante prove che ormai in Europa c'è da una parte una sola lingua padrona, l'inglese, e dall'altra parte tutte le altre lingue, minoritarie o nazionali. In fondo anche questa stessa protesta riconosce che "l'inglese non si tocca", si tratta solo di aggiungere qualcosa. Eppure

essa stessa in un altro punto parla dell'imposizione di modelli culturali che vanno di pari passo con l'imposizione di una lingua straniera.

Se, comunque, il multilinguismo portato avanti dall'Unione Europea è solo di facciata, per meglio nascondere quello che sta succedendo effettivamente, sarebbe ora che tutti capissero, che l'unica possibilità di resistere al rullo compressore dell'inglese (leggi: americano), è fare fronte comune.

O si salvano tutte le lingue: minoritarie, nazionali ed anche l'esperanto ed il latino, lingue internazionali per definizione, o non si salva nessuno.

Solo l'unione di tutti potrebbe permettere di resistere. Chi pensa di salvarsi da sé (ed i francesi finora lo pensavano) sbaglia. Chi pensa di assimilarsi al forte di turno, e gli scandinavi lo pensano, sbaglia e fa una cosa moralmente criticabile. L'unica soluzione è l'uso di una lingua neutrale (latino o esperanto) a livello internazionale e l'accanita difesa di tutte le lingue e di tutte le varietà di lingue, piccole o grandi, minoritarie, di immigrati, ecc. A questa, che per me è l'unica proposta equa, si collega bene il filo conduttore dell'articolo di Andrea Chiti Batelli, che segue. L'articolo si impegna a dimostrare da una parte che un multilinguismo di massa nelle condizioni europee non è possibile, e quindi, il favorirlo è solo un artificio per nascondere la realtà. L'articolo cerca, poi, partendo da una ipotizzata soluzione neutrale tramite l'esperanto, di far comprendere ai parlanti di esperanto stessi, la complessità delle variabili politiche in gioco. In ogni caso la sua denuncia della situazione è ancor più valida oggi di quanto non lo fosse ieri. La situazione è peggiorata negli ultimi tempi e di molto.


Renato Corsetti (1941), si interessa da decenni di fenomeni sociolinguistici ed interlinguistici. È autore di numerosi articoli e di alcuni libri sui problemi di politica delle lingue. Attualmente è docente di Psicopedagogia del linguaggio e della comunicazione nella Facoltà di Psicologia 1 dell' Università' di Roma "La Sapienza" ed è presidente dell'Associazione Esperantista Mondiale.

Tra i suoi libri su questi argomenti ricordiamo "Lingua e politica" del 1976, che contribuì ad approfondire il dibattito su un tema che si è imposto alla attenzione internazionale solo decenni dopo, l'imperialismo linguistico. È autore di alcune grammatiche di esperanto per italiani e revisore del classico manuale di Bruno Migliorini.



1 ) - http://ec.europa.eu/education/policies/lang/languages_en.html

2) - http://www.disvastigo.it. Disvastigo, Agenzia di stampa per la diffusione di notizie, articoli e documenti sui problemi della comunicazione, Servizio gratuito Registrazione al Tribunale di Chieti n.1/02 del 5.2.02, Viale A.Moro 37 66013 Chieti tei. 0871561301, Direttore responsabile: Mario D'Alessandro, Direttore editoriale: Giorgio Bronzetti. Il comunicato qui citato è firmato dal direttore dellAgenzia: Giorgio Bronzetti.

3) - Questo esempio è stato fornito dal dott. Antonio De Salvo.