Claude Piron

 

E’ un progetto o una realtà? Un codice o una lingua ?



E’ interessante vedere come questi professionisti rispondono a domande sull’esperanto.

(Il testo inglese originale delle domande e delle risposte è consultabile nella pagina “allegati”). Chiunque conosca il sito e i suoi utenti, nota subito che le risposte non trattano mai la lingua quale è praticamente usata. Eppure l’esperanto è utilizzato intensamente da una rete mondiale di utenti che lo usano in viaggi, visite, corrispondenze, in rete (il programma Skype è diffuso in questo ambiente), leggendo o scrivendo o parlando o ascoltando programmi radio (le radio di Pechino e di Varsavia offrono programmi in esperanto quotidiani, radio Vaticano e molte altre diverse volte a settimana). I motivi che spingono a imparare l’esperanto sono molteplici e intrecciati: l’interesse per ambienti pluriculturali, il desiderio di partecipare a un’azione politica mondiale tendente ad

accelerare la giustizia fra i popoli, il piacere di avviare contatti con tutto il mondo per scambiare idee ed esperienze senza il fastidio della diversità linguistica ecc. Ma qualunque sia il motivo iniziale, gli utenti dell’esperanto si incontrano e comunicano fra di loro abbondantemente. Dal 1986 in poi non vi è stato un solo giorno privo di qualche evento svoltosi in esperanto in qualche località del mondo. Per darne un’idea al lettore, ecco qualche esempio relativo al mese di maggio 2006, quando è stato scritto questo articolo:



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(1) Claude Piron – svizzero, psicologo e linguista. Docente di psicologia nell’Università di Ginevra, autore

di numerosi testi di psicologia e di linguistica (fra cui “Le défi des langues: du gâchis au bon sens”

ed. L’Harmattan, Paris 1994); a lungo traduttore dall’inglese, cinese, spagnolo e russo presso l’Oms e

l’Onu; attualmente uno dei maggiori esperti di comunicazione internazionale; collaboratore

dell’associazione abruzzese “Allarme Lingua”.

(2) titolo originale: “ Miskone sed memfide – ok lingvistoj pritraktas Esperanton”









6/13 maggio 2006: 58° Congresso della Federazione Internazionale Esperantista dei Ferrovieri, Shangaj, Cina;

12/14: Fine settimana SATEB (Associazione Mondiale Anazionale), Barlaston, Inghilterra;

13: Inaugurazione dell’Ufficio Centrale dell’UEA (Universala Esperanto-Asocio),

Rotterdam, Olanda;

13/14: Incontro di maggio della sezione ceka della IKUE (Unione Internazionale Cattolica

esperantista);

13/17: Postcongresso della IFEF (Federazione Internazionale dei Ferrovieri Esperantisti),

Pekino;

18/20: Tavola di discussione politika a Alsoors, presso il lago Balaton, Ungheria;

19/20: Seminario sull’applicazione dell’esperanto nella scienza e nella tecnica, L’Avana,

Cuba;

19/21: “Coppa Kostrena 2006” (concorso fra studenti di esperanto, Kostrena, Croazia);

19/21: Incontro giovanile internazionale a Kostrena, Croazia;

20: Convegno primaverile della Federazione Esperantista Nordoccidentale dell’

Associazione esperantista britannica, Preston, Inghilterra;

20/21: Incontro esperantista di Rio de Janejro (Rio de Janejro, Brasile);

20/21: Passeggiata esperantista ai piedi del monte Yatugatake (Giappone):

20/21: Incontro esperantista del Canada centrale (Ottawa, Canada);

22maggio/1giugno: “Escursione nei Carpazi del sud con tuffo fra Valacchia e Transilvania”

(10 giorni in Romania).



Sono inoltre da citare i periodici seminari in cui giovani coreani e giapponesi raccontano ciò che pensano gli uni degli altri e confrontano che cosa è stato loro insegnato nei rispettivi corsi di storia: tutto ciò in un quadro che permette loro di scoprire le fonti dei pregiudizi e di capire che cosa è realmente avvenuto fra i due Paesi (cfr. Goro Kimura,

Università di Kejo, “The metacommunicative ideology of Esperanto” in “Language

Problems & Language Planning” 2003, vol.27, 1, 73-85). Incontri di questo tipo

richiedono un’ effettivo possesso dello strumento linguistico per poter esprimere agevolmente, fluentemente le proprie emozioni: in questa parte dell’Asia difficilmente potrebbero svolgersi in altra lingua.



Chiunque assista a simili eventi si rende subito conto che l’esperanto è qualcosa di completamente diverso da un’astrazione o un progetto. E’ un’autentica lingua, come qualsiasi altra lingua usata in analoghe occasioni. E’ una lingua usata in ogni campo:

c’è chi la parla per convincere un avversario politico, per scambiare ricette culinarie,

per discutere di temi filosofici o religiosi, per confrontare situazioni sociali, per

trattare problemi tecnici, per esprimere il proprio amore, per trovare un partner commerciale, per dare espressione poetica ai propri sentimenti, per far conoscere ad altri popoli le proprie canzoni (l’esperanto è probabilmente la lingua in cui è stato tradotto il maggior numero di canzoni). E’ una lingua completa, perfettamente funzionante.

Alcuni linguisti rifiutano di crederlo. In una comunicazione privata in rete, uno degli specialisti di “Ask-A-Linguist” mi scrive: “L’esperanto non è una lingua, è solo un codice”. Naturalmente si tratta di stabilire una definizione di “lingua”. Se adottiamo la nota

definizione del linguista francese André Martinet (in “La considerazione funzionale del linguaggio”, 1962), l’esperanto è senz’altro una lingua; ma altre definizioni possono essere enunciate e accettate dai linguisti. Tuttavia è difficile vedere nell’esperanto un codice nel leggere questi quattro versi di Henri Vatré:









Nu, Ariadna, ĉu la modomastron

ni fadenfine pinglos en Panamo?

Siren-logite li ĵus en Havano

edzecon fuĝis kiel fidel-kastron. (1)



Dare tutte le spiegazioni necessarie per capire il contesto di questi versi ricchi di riferimenti evocativi richiederebbe troppo spazio. Diciamo solo che si tratta di un poeta panamense di lingua esperanto, che sembra abbia lavorato nell’ambiente dell’alta moda e del quale è difficile trovare l’indirizzo. Ecco una possibile traduzione in prosa dei versi:



“Ora, Arianna, alla fine del filo appenderemo dunque con uno spillo il padrone della moda

a Panama? Sedotto da una sirena egli ad Avana è appena fuggito dallo stato maritale, castrazione per fedeltà”.



(In esperanto “Fidel-Kastro” casualmente significa “castrazione per fedeltà” o “fedeltà coniugale sentita come forma di castrazione”)



Può un codice offrire simili giochi di parole e associazoni d’idee? Può presentare una tale capacità allusiva? Potrebbe una comunità mondiale di parlanti dotati di humor e di cultura trarre godimento da simili versi se si trattasse di un semplice codice? Giudichi il lettore.





Caratteristiche riscontrabili nella risposte di “Ask-A-Linguist”





Chiunque abbia famigliarità con il mondo esperantista si accorge subito che le risposte linguistiche qui analizzate presentano alcune caratteristiche costanti:



1. Non collocano mai l’esperanto nel quadro del problema generale della comunicazione

linguistica mondiale. Vale a dire, non considerano mai l’esperanto come una

possibile soluzione di un problema che causa gravi difficoltà a una considerevole parte

dell’umanità.

2. Svelano un’ ignoranza pressocché totale di che cos’ è l’ esperanto, dal punto

di vista sia linguistico, sia sociologico.

3. Mancano totalmente di prospettiva storica.



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(1) pronuncia delle lettere esp. diverse dall’italiano:

c = ozio ĉ = Lucio g = gatto ĝ = giara h (aspirata) = hotel j (i breve) = Sonja

ĵ = (j francese in “je”) s (s dura) = sale ŝ = sciocco ŭ (breve) = tuono z (s sonora) = rosa



Accento sempre sulla penultima vocale (ĵetòno, skrìbi, bèla, rapìde). Ŭ e J sono semivocali e non influiscono sull’accento: hòmo, hòmoj, tràjno, tràjnoj, ànkaŭ, hièraŭ, mòrgaŭ .









4. Le loro asserzioni sono puramente teoriche; consistono in deduzioni non controllate

sul campo.

5. Evitano sempre di confrontare nella pratica il funzionamento dell’esperanto rispetto

al funzionamento dei sistemi che esso si propone di sostituire.

6. Si collocano in una posizione di presuntuosa superiorità rispetto a inferiori: elargiscono

ammonimenti e consigli con supponente degnazione.



Tali caratteristiche – soprattutto i punti 2, 4 e 6 – possono destare stupore se si tiene conto del contenuto delle domande rivolte al sito. Il testo che ha ricevuto il maggior numero di risposte contiene questa frase: “Ho viaggiato in molti Paesi come Ungheria, Finlandia, Danimarca, Russia, Islanda, e dovunque le mie permanenze sono state gradevoli grazie a persone che parlavano in esperanto”. Altre domande includono l’opinione di giapponesi esperantofoni. E’ strano che questi esperti, che evidentemente non hanno alcuna esperienza dell’ambiente esperantista – dalle risposte si capisce che alcuni di essi ne ignorano l’esistenza – non esitino a proferire giudizi sulla lingua e a proclamare che essa non è utilizzabile per questo o quel difetto, senza rendersi conto che stanno rispondendo a persone che conoscono il problema dall’interno e che potrebbero insegnare loro molte cose sul tema.

Esaminiamo ora, una per una, le caratteristiche elencate.





1. Noncuranza del contesto generale.



In un’epoca nella quale l’economia è divenuta globale e le relazioni internazionali si intensificano, sono sempre più frequenti le situazioni che richiedono la comunicazione fra individui con diverse lingue materne. Gli uomini usano a questo fine svariati mezzi: dai gesti che accompagnano parole in una lingua appena orecchiata, al rudimentale “pidging english”, all’ ottimo inglese dei diplomati delle “business schools”, alla traduzione simultanea, all’esperanto. Quest’ultimo è dunque un mezzo, fra molti altri, per superare le barriere linguistiche. Criticarlo senza mai alludere al problema generale è altrettanto assurdo quanto criticare un medicinale per la sua composizione, senza considerare la malattia cui è destinato, senza confrontarlo con altri metodi usati per trattare casi simili.



Chi favorisce l’esperanto parte dalla constatazione che la mancanza di un mezzo adeguato e democratico di comunicazione oltre le barriere linguistiche provoca serie difficoltà in situazioni di ogni genere, così numerose che riesce difficile enumerarle.

Si pensi solo ai malintesi durante un viaggio in un paese di cui si ignora la lingua; alle difficoltà di imprenditori di piccole e medie aziende nel trattare con partner di paesi lontani; ai problemi di un capocantiere per farsi capire da lavoratori immigrati; alla tensione cui è sottoposto un delegato costretto a parlare a un’assemblea internazionale in una lingua diversa dalla propria, ecc.



Si verificano costantemente frustrazioni, tensioni, sofferenze, ingiustizie collegate all’impossibilità di esprimere con chiarezza quel che si vorrebbe comunicare. Non è raro che simili situazioni sfocino in drammi. Recentemente in un commissariato di Ginevra

un africano ha firmato una dichiarazione falsa in cui ammetteva di aver partecipato a un furto: semplicemente non aveva ben capito il testo francese presentatogli. In Germania

diversi pazienti turchi sono morti dopo un trapianto: non avevano ben capito le istruzioni fornite dagli infermieri all’uscita dall’ospedale. Se a simili difficoltà psicologiche e concrete

si aggiunge la gigantesca quantità di energia nervosa spesa per anni da milioni e milioni di giovani di tutto il mondo per imparare l’inglese, con risultati insoddisfacenti (1), così come le enormi somme assorbite dalla traduzione simultanea e dall’interpretariato nelle istituzioni interstatali, nei congressi professionali e nel commercio, è facile concludere che le barriere linguistiche non sono problema da poco per la società mondiale.

Se si comparano obiettivamente i diversi sistemi per superarle, si constata che il sistema meno costoso è anche quello che presenta la migliore efficacia rispetto alle energie investite: l’esperanto. (2, 3). Un economista incaricato dal governo francese, il Prof.

Francois Grin, ha concluso, in un suo studio, che se l’Europa adottasse l’esperanto, risparmierebbe 25 miliardi di euro all’anno. (4)

E’ interessante osservare che nessuna delle risposte pubblicate da “Ask-A-Linguist”

considerano l’esperanto in questo contesto, nel quale soltanto esso acquisisce un senso.

Le risposte danno l’impressione che tutto funzioni perfettamente nel campo della comunicazione linguistica internazionale, e che cercare un mezzo per migliorare la situazione sia assolutamente privo di senso. Suggeriscono che l’azione in favore dell’esperanto è cosa priva di rapporti con la realtà politica, economica, sociale del pianeta: non serve a nulla, e coloro che vi si dedicano si collocano, per ciò stesso, fuori dal mondo reale. Il messaggio celato nelle risposte è: non esiste nel mondo un problema di comunicazione o, se esiste, è risolto dall’inglese. Non si fa cenno di quanto ingiusta e assurda sia tale soluzione per il 95% degli abitanti del pianeta non nativi anglofoni.



Soluzione ingiusta

L’inglese è una lingua molto difficile. All’inizio sembra semplice perché non presenta

molte forme grammaticali da memorizzare. Ma quanto più si progredisce, tanto più ci si rende conto che questa iniziale facilità è un inganno, fino a che si accetta di rinunciare al possesso completo della lingua: quel possesso che permetterebbe di sentirsi allo stesso livello di un parlante di madrelingua inglese. “So much that is being said is correct, so little

right” (“Quanto più le frasi appaiono grammaticalmente corrette, tanto meno suonano giuste”) osserva lo scrittore George Steiner a proposito degli studenti stranieri che teoricamente hanno raggiunto un alto livello nello studio della lingua. (5) In realtà un livello

linguistico comparabile a quello di un nativo è raggiungibile soltanto se si vive abbastanza a lungo in un ambiente nel quale tutti parlano inglese. I nativi di lingua tedesca raggiungono un livello migliore degli altri perché l’inglese appartiene alla stessa famiglia linguistica del tedesco, e tuttavia la differenza rispetto ai nativi anglofoni rimane notevole anche per loro. A causa di questa difficoltà ogni rapporto fra un nativo di lingua inglese e un nativo di altra lingua mantiene sempre qualcosa di sbagliato: il primo è superiore, l’altro



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(1) Un esempio: “Cinque ore settimanali di inglese nelle scuole degli Emirati Arabi Uniti non bastano per

dotare gli studenti di una competenza linguistica sufficiente ad affrontare studi superiori per cui è

indispensabile una buona conoscenza della lingua” (Wafa Issa, “Experts discuss problems in the

teaching of English”, Gulfnews, 19 maggio 2006).

(2) Claude Piron, “Communication internationale – Etude comparative faite sur le terrain”. Language

Problems & Language Planning, vol.26, 1, 23-50

(3) Claude Piron, “ Observi, kompari, elekti “.

(4) Francois Grin, L’enseignement des langues étrangères comme politique publique (Paris: Haut

Conseil de l’évaluation de l’école, 2005, p.7 http://cisad.adc.education.fr/hcee/documents/rapport_Grin.pdf

(5) After Babel, Oxford: Oxford University Press, 1975, p.470







inferiore; il primo possiede l’assoluta padronanza dello strumento linguistico, il secondo dispone di un’arma assai più debole per sostenere le proprie opinioni.



L’ ingiustizia riguarda anche un altro aspetto: il tempo che i non nativi devono dedicare allo studio dell’ inglese. In media occorrono da 2.000 a 6.000 ore di studio per raggiungere un livello decente nell’ uso della lingua. Questo tempo è del tutto risparmiato ai nativi, i quali acquisiscono la lingua senza fare nient’ altro che vivere nella propria famiglia e frequentare la normale scuola della propria località. Recentemente, in un’inchiesta della BBC, lo scienziato coreano Kim Hiongun ha fatto un’osservazione che ben coglie la gravità del problema: “Noi coreani investiamo somme enormi e anni di fatica per insegnare e apprendere l’inglese. Se avessi potuto usare liberamente tutto il tempo che ho dovuto dedicare allo studio dell’inglese, avrei potuto ottenere diverse lauree ...” Ecco il punto. I britannici, gli statunitensi, gli australiani e gli altri nativi anglofoni possono dedicare questo tempo e questa energia al perfezionamento nella propria professione o a qualsiasi altra attività preferita; al resto del mondo ciò è precluso. E’ giusto?



Soluzione assurda

La grande difficoltà dell’inglese dipende da una straordinaria quantità di incongruenze che non contruibuiscono per niente allo scopo della comprensione reciproca.

Nella grande maggioranza delle lingue con scrittura alfabetica è sufficiente conoscere alcune regole ortografiche per poter scrivere senza errori una parola che si è in grado di pronunciare, o viceversa. In inglese scrivere e pronunciare correttamente una parola non è per nulla facile. Occorre imparare separatamente la pronuncia e l’ortografia di ogni singola parola, con speciale attenzione a dove porre l’accento. La lettera a non si pronuncia nella stessa maniera in nation e in national, così come la i in wild e wilderness, benché in ambedue i casi la seconda parola derivi dalla prima. Le tre lettere ict si pronunciano “ict” in depict , “ajt” in indict. Molti europei continentali sbagliano nel pronunciare sweatshirt e Reagan , dato che niente indica la giusta pronuncia del dittongo ea. Memorizzare la pronuncia e l’ortografia di ogni nuova parola impone a ogni studente un considerevole spreco di tempo e di energia. Questa costante distanza fra ortografia e pronuncia giustifica il giudizio di “soluzione assurda”: infatti questa difficoltà è assente dalla grande maggioranza delle lingue e non ha niente a che fare con la facilità di comunicazione e di espressione.



Ma si tratta solo di una fra mille incongruenze. Una regola prescrive che il plurale di un sostantivo si forma aggiungendo una “s” al singolare. Ma la parola “woman” (donna) si scrive al plurale “women” (la a diventa e ), ma si pronuncia “uìmin” (il suono u, scritto o,

si è trasformato nel suono i ugualmente scritto o !) “Foot” (piede) al plurale diventa “feet”, ma nel significato di “sedimento” fa “foots”. “Child” (bambino) diventa “children”.

“Man” (uomo) diventa “men” (pronunciato “men” e non “min” come in “women”). ecc.

Oppure vediamo la negazione. In quasi tutte le lingue la frase negativa segue un modello regolare, valido per tutti i verbi. Nello spagnolo, sapendo come si dice “io non so”, “no sé”, si può applicare la stessa struttura agli altri verbi e quindi si dirà “no tengo” (io non ho), “no puedo” (io non posso), “no soy” (io non sono) ecc. Ma in inglese il modello “I do not know” non è applicabile a molti altri verbi. Non si può dire “I do not be” ma si deve dire “I am not”. Inoltre anche qui la scrittura è incoerente: se si tratta di “dovere”, la forma negativa si compone di tre parole “I must not”, se si tratta di “potere” di due “I cannot”.

Per quanto riguarda il contrario di aggettivi e sostantivi, nella maggior parte delle lingue esso viene espresso con un prefisso stabile: in francese “in”, in russo “ne”, in tedesco “un”, in cinese “bu” ecc. In inglese a volte si usa “in“: “injustice, invisible”, a volte “un“ : “unjust, unpleasant” . Occorre ricordare che mentre “incapace” è “unable”, “incapacità” è “inability” ; e tuttavia nel caso di “unpleasant” il prefisso “un” non diventa “in” per formare il sostantivo: si dice infatti “unpleasantness” ... Tutte queste bizzarre incongruenze devono essere memorizzate una ad una: lavoro pesante, non necessario in quasi tutte le altre lingue.



Un altro aspetto dell’inglese che aggrava la difficoltà dell’apprendimento è la sua gigantesca provvista di parole. L’inglese possiede un’enorme quantità di sinonimi che mancano – senza causare alcun problema – nella maggioranza delle altre lingue. Non si può dire di possedere appieno l’inglese se non si sa che “leggere” è non solo “read” ma anche

“peruse”; che parallelamente a “inevitable” esiste con lo stesso significato “unavoidable”;

che insieme a “menace” (minaccia) esiste “threat” ... D’altra parte spesso non esiste alcuna relazione formale fra una parola e una sua derivata: si confronti la coppia inglese

tooth / dentist con l’italiana dente / dentista, con la francese dent / dentist, con la tedesca

Zahn / Zahnarzt, con l’araba asnan / tubib al-asnan, con la persiana dandan / dandansaz,

con la giapponese ha / haisha, con la cinese ya / yayi, con la malese gigi / doktorgigi.

Si confronti la coppia inglese weapon / disarmament con la francese arme / désarmement,

con l’italiana arma / disarmo, con la tedesca Waffe / Entwaffnung, con la russa

oruzie / razoruzenie, ecc. Non esiste alcuna relazione formale fra year (anno) e annual

(annuale), fra city (città) e urban (cittadino), fra moon (luna) e lunar (lunare) ecc. (si confronti in esperanto: dento/dentisto, armilo/malarmigo, jaro/jara, urbo/urba, luno/luna).

Conservare in memoria tutte queste forme slegate richiede uno sforzo tanto più frustrante

in quanto lo studente non può evitare il confronto con le forme fra loro collegate della propria lingua: egli si rende conto che tali bizzarrie sono del tutto inutili per lo scopo essenziale delle lingue: stabilire una buona comprensione reciproca. Inoltre la mancanza di qualsiasi percettibile analogia fra le diverse forme rende più difficile il compito della memoria profonda. Memorizzare forme incoerenti postula l’acquisizione di riflessi condizionati di secondo grado che, per stabilizzarsi, richiedono una pratica costante. Uno o due anni di lontananza dall’ambiente anglofono causano la dissoluzione delle forme slegate, prive delle analogie foniche e grafiche che aiutano la memoria: così si perde gran parte delle acquisizioni linguistiche, e la fluidità e facilità di parola svaniscono.

E’ davvero strano che nella nostra epoca, mentre si esaltano i vantaggi offerti dalla razionalizzazione dei processi produttivi, per comunicare si scelga fra tutte le possibili

lingue proprio quella che presenta il peggiore rapporto fra investimento ed efficacia.



I linguisti di “Ask-A-Linguist” non prendono mai in considerazione questo aspetto del problema, quasi non esistesse alcun rapporto fra regolarità e fluidità, fra coerenza e

facilità d’uso. Nessuno affermerebbe che tutti i sistemi numerici si equivalgono. Nessuno dubita della superiore efficacia delle cifre indiane/arabe rispetto alle cifre romane, e tutti riconoscono che ciò dipende dalla loro diversa concezione di base. Ma alla mente dei nostri linguisti mai si affaccia l’idea che una lingua colma di incongruenze, di eccezioni, di bizzarrie, sia meno adatta alla comunicazione mondiale di una lingua essenzialmente regolare come l’esperanto. La facilità e la gradevolezza di un programma informatico dipendono da come è stato strutturato. Lo stesso vale per una lingua. E’ strano che ciò sfugga ai nostri linguisti professionisti.



2. Non conoscenza dell’esperanto



2.1 Aspetto linguistico



Come ogni lingua l’esperanto ha un proprio spirito, una propria fisionomia che dipendono da tratti caratteristici. Ecco i principali:



a) L’assoluta invariabilità dei morfemi, che possono combinarsi fra di loro senza

limiti;

b) possibilità di usare ogni concetto secondo qualsiasi funzione grammaticale grazie

a un preciso marchio (la vocale finale);

c) diritto di generalizzare qualsiasi struttura linguistica:

d) libertà nel mettere in relazione una parola con il suo complemento;

e) possibilità di esprimere il proprio pensiero sia in forma “analitica” (come in

inglese), sia in forma sintetica (come in latino).



a) In francese i morfemi che esprimono il concetto “vid ” (vedere) sono diversi: v (vu),

voy (voyez), vis (invisible, visuel), ver (verrai). Analogamente nell’inglese in cui la stessa idea viene espressa ora da una “s” + vocali varie (see, saw, sight), ora da vis (visual, invisible). In esperanto vid resta sempre vid, come si può constatare nella traduzione delle parole francesi succitate: vidita, vidas, nevidebla, vida, vidos (visto, vedo, invisibile, visuale, vedrò). Ugualmente il morfema “mi” resta sempre lo stesso in mia,

miaj, mian, min, diversamente dall’inglese dove “I ” (io) diventa, come aggettivo “my “

(mio) e come accusativo “me” (me). In italiano per il verbo “essere “ abbiamo: sono, sei, é, siamo, siete, ero, fui, fosti, fummo, furono, sarei, sia, stato, essendo ... In esperanto “est” resta sempre tale: estas, estis, estos, estus, estu, estinta, estante .... Questa invariabilità dei morfemi è un tratto che l’esperanto condivide con il cinese.



b) In molte lingue le parole appartengono a una categoria definita: verbi, sostantivi, aggettivi, avverbi ecc. In esperanto anziché categorie abbiamo funzioni : ogni

radice può funzionare come verbo, come sostantivo, come aggettivo, come avverbio: -i

indica il verbo all’infinito, -o il sostantivo, -a l’aggettivo, -e l’avverbio. In pratica la funzione aggettivale (-a) spesso corrisponde a ciò che in altre lingue si chiama “genitivo” (la serpenta nesto = il covo del serpente) e la funzione avverbiale (-e) ai “complementi di modo” (li parolas pastre = egli parla come un prete). Chi ha appreso il morfema vid non dovrà ulteriormente caricare la propria memoria per esprimere i concetti vidi, vido, vida, vide (vedere, vista, visuale, visualmente o a vista). E così dal morfema ebl discendono ebli, eblo, ebla, eble (essere possibile, possibilità, possibile, possibilmente). E la combinazione dei due morfemi produrrà regolarmente videbli, videblo, videbla, videble (essere visibile, visibilità, visibile, visibilmente).



c) Chi ha imparato che “egli non vede” è “li ne vidas”, saprà con certezza che “egli non è” sarà “li ne estas”, “egli non può” sarà “li ne povas”, “egli non sa” sarà “li ne scias” ecc. Chi ha appreso che il concetto “cieco” si può esprimere con “senvidulo” (sen = senza, vid’= vista, ulo = individuo) - omonimo di “blindulo” (blind’ = cieco, ulo = individuo) - sa che potrà usare la stessa struttura con qualsiasi altra radice: senreligiulo = privo di religione, irreligioso (sen = senza, religi’’ = religione, ulo = individuo). E così senmonulo (individuo senza denaro, squattrinato), senpovulo (individuo privo di potere, inerme), senkompatulo (persona priva di compassione, spietato), senlaborulo (privo di lavoro, disoccupato), sencerbulo (privo di cervello, scervellato), ecc.



d) In esperanto la successione delle parole è molto libera. “Egli mi guarda” può essere

“li rigardas min” così come “li min rigardas” (= egli guarda proprio me). “Uno sguardo ironico” può essere “ironia rigardo” (con accentuazione di “sguardo”) o “rigardo ironia”

(con accentuazione di “ironico”). Inoltre il collegamento del verbo con il complemento è molto più libero che nelle lingue occidentali. “Li rigardas al mi” (egli volge lo sguardo a me), è ugualmente corretto come “Li rigardas min” (egli mi guarda).



e) Dagli esempi citati risulta che l’esperanto offre una gamma di espressioni molto più vasta rispetto alla maggioranza delle lingue nazionali. L’idea “egli suona la chitarra con entusiasmo” può essere espressa con una struttura analitica: “li ludas gitaron kun entuziasmo”, o sintetica “li entuziasme gitaras”. Analogamente l’idea “tradurre in francese” può essere espressa analiticamente con “traduki en la francan lingvon” , oppure con “traduki francen”, o semplicemente con “francigi” (rendere francese).



In nessuna delle loro risposte i linguisti di “Ask-A-Linguist” prendono in considerazione queste caratteristiche dell’esperanto, delle quali evidentemente sanno poco o nulla. E tuttavia esse comportano conseguenze della massima importanza.



2.2 Aspetto neuropsicologico; relazione fra struttura linguistica e facilità-fluidità d’espressione.



Il professore e ricercatore di psicologia Jean Piaget chiamò assimilazione generale

l’inclinazione naturale della mente umana a generalizzare uno schema d’azione, appreso in precedenza, a qualsiasi situazione analoga. E’ per questo che non ci riesce difficile guidare un’auto Tojota se già abbiamo imparato a guidare una Ford; per questo impariamo più facilmente a suonare l’organo se già sappiamo suonare il pianoforte. Tale tendenza a

generalizzare assume una grande importanza nello studio delle lingue. Lo si osserva

con evidenza nei bambini e in chi cerca di esprimersi in una lingua diversa dalla propria.

In moltissime lingue occorre rimuovere (1) le forme suggerite da questa tendenza, che ha indotto nella mente riflessi condizionati di primo grado. In francese per dire “vous dites” (voi dite) o “des chevaux” (dei cavalli) occorre rimuovere le forme che la generalizzazione spontaneamente suggerisce: vous disez e des cheval. Analogamente in inglese: per dire “feet ” (piedi) e “he came” (egli venne) occorre rimuovere le forme foots e he comed. Un po’ d’alcol o una forte emozione possono far ritornare le forme “sbagliate” dalla nicchia dove le abbiamo esiliate: la rimozione non funziona mai al cento per cento.



Le irregolarità linguistiche contrastano il flusso nervoso naturale. In realtà esse vengono assimilate, e diventano automatiche, solo se ripetute continuamente per lunghi periodi. Quando parliamo la nostra lingua materna – se questa non è una lingua perfettamente regolare come il turco o l’indonesiano – siamo come acrobati che eseguono movimenti innaturali con facilità semplicemente perché, avendoli eseguiti ogni giorno

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(1) rimozione: concetto specialistico della psicologia; in inglese repress, in francese refouler, in

tedesco verdrängen ecc.

per anni, sono diventati per noi una seconda natura. Ma il bambino che comincia a parlare e lo studente che affronta una lingua straniera sono ancora ben lontani da questo livello di addestramento. Ecco perché cadono spesso nelle trappole poste dalle irregolarità.

L’esperanto, privo di trappole, viene perciò appreso più rapidamente e usato più agevolmente di qualsiasi lingua occidentale. In esso la tendenza a generalizzare viene

rigorosamente rispettata. Si impara in breve tempo non solo la sua grammatica ma anche la sua provvista di vocaboli, data la loro perfetta regolarità. Domandate a un francese come si chiama, nella sua lingua, il cucciolo di un cammello. Probabilmente vi risponderà “non lo so” (la parola è chamelon ); se lo domandate a un italiano vi risponderà “non esiste una parola italiana per questo concetto”. Se fate la stessa domanda a un bambino che studia l’esperanto solo da qualche mese, vi risponderà senza esitazione, per riflesso condizionato di primo grado, “kamelido”. Semplicemente perché, avendo già imparato “katido” (micio), “bovido” (vitello), “ŝafido” (agnello), “kaprido” (capretto), “kokido “ (pulcino), “ĉevalido” (puledro) ... sa che può generalizzare lo stesso modello (“ido” = piccolo figlio, cucciolo, discendente) a qualsiasi animale.

Similmente il passaggio da un verbo al corrispondente sostantivo è, in esperanto, assolutamente coerente. A questo riguardo il francese è molto più difficile. Si può sapere che “amare” è “aimer ”; non perciò si saprà che “amore” è “amour ”. Né da “tomber ” (cadere) si può dedurre “chute ” (caduta). Le due parole devono essere memorizzate separatamente. Altrettanto in inglese, anche se all’inizio può sfuggire. Quando lo studente ha imparato le coppie “he loves / his love” (egli ama / il suo amore), “he falls / his fall “ (egli cade / la sua caduta) rischia di credere che la cosa sia semplicissima. Ma è un’illusione, perché non può generalizzare e dire “he lives / his live “ (egli vive / la sua vita), “he sells / his sell “ (egli vende / la sua vendita), “he suggests / his suggest “ (egli

suggerisce / il suo suggerimento). Dovrà imparare separatamente le parole “life” (vita), “sale” (vendita), “suggestion “ (suggerimento). In esperanto non c’è problema: li amas / lia amo ; li falas / lia falo ; li vivas / lia vivo ; li vendas / lia vendo ; li sugestas / lia sugesto.

Ciò che costituisce un guadagno per la memoria quando si studia la lingua, diventa

un risparmio di energia nervosa quando ci si esprime in forma orale o scritta. Parlare fluentemente significa parlare per riflessi di primo grado. Se si deve continuamente cercare nella memoria per trovare una parola o una regola grammaticale, certamente la fluidità sparisce. Una lingua nella quale non esistono riflessi di secondo grado – immagazzinati nella memoria per inibire quelli di primo grado – è una lingua in cui

si parla più comodamente, più fluentemente, rispetto a una lingua in cui questo vantaggio non esiste.



2.3 L’aspetto sociale



Nessuno degli otto linguisti sembra rendersi conto che le persone che hanno imparato

l’esperanto sono state motivate dal desiderio di contribuire alla parità di diritti fra i popoli e al benessere dei meno favoriti del nostro pianeta. E’ chiaro che essi non hanno alcuna cognizione della storia politica-sociale di questa lingua, dei suoi legami con i movimenti sindacali e progressisti, delle persecuzioni subite dai suoi praticanti per opera dei dittatori del XX secolo.(1)



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(1) Si veda: Ulrich Lins “Lingua pericolosa – storia delle persecuzioni contro l’esperanto sotto Hitler e Stalin”,

TraccEdizioni, 1990.





Una delle risposte afferma che l’esperanto non può funzionare come lingua mondiale perché “è una lingua indoeuropea, perciò mentalmente associata al colonialismo e

all’imperialismo”. L’attuale rapido progresso dell’esperanto nell’Africa subsahariana, e il suo successo in Paesi come la Corea, il Giappone, il Vietnam, la Cina, l’Iran, dimostrano che questa critica è del tutto priva di fondamento. Niente permette di dire che nelle menti

si forma un legame fra le qualità di una lingua e la sua provenienza politica. Inoltre, come abbiamo visto, la struttura dell’esperanto non è indoeuropea ma piuttosto asiatica. L’aspetto europeo riguarda soltanto il suo lessico di base. La provvista lessicale della lingua creola di Haiti è molto più “occidentale” di quella dell’esperanto. Forse che, per questo, gli haitiani hanno l’impressione di essere alleati dell’ imperialismo? Il solo porre la domanda ne dimostra l’assurdità.



Si può aggiungere che le persone che studiano l’esperanto sanno, o apprendono ben presto, che la lingua è nata in un Paese oppresso da un vicino imperialista (la Russia zarista), e che in tutta la sua storia è stata l’alleata dei piccoli, degli inermi, degli sfruttati.

Infine questa critica appare tanto più sospetta in quanto avanzata da chi non propone alcuna soluzione, se non l’inglese, al problema della comunicazione mondiale. Solo chi sia estremamente ingenuo e completamente ignaro dell’attuale realtà mondiale può ritenere che l’inglese sia esente da connotazioni colonialiste e imperialiste ...





3. Importanza della prospettiva storica





Le risposte dei linguisti rivelano un’idea del passato e del futuro assai lontana da

un’accettabile obiettività. :



- “La vera ragione per cui l’esperanto non si è diffuso è la sua artificialità”.

- “Dato che non è collegato ad alcun importante movimento politico, non può

avere successo”.

- “Una lingua internazionale viene necessariamente influenzata dalla lingua

materna di coloro che la parlano; perciò essa si frammenterà in dialetti, così

come è accaduto al latino che ha dato origine alle lingue neolatine, fra di loro

incomprensibili. (...) Impedire a una lingua di trasformarsi è altrettanto difficile

quanto rimettere insieme un gruppo di gatti sparpagliati”.



3.1 Il ritmo della storia



Queste affermazioni trattano l’esperanto come un fenomeno del passato, o comunque destinato a una prossima estinzione, non come una realtà presente e vivente. Certo, nessuno può affermare con certezza che l’esperanto vivrà ancora fra un secolo, ma nessuno può affermare con altrettanta certezza che esso è fallito, o che ha perso per sempre ogni possibilità di successo, o che la sua diffusione ha raggiunto un livello invalicabile. L’ ipotesi che il progresso dell’esperanto segua il lento ritmo dei fenomeni storici culturali e socio-politici, ha la stessa validità delle affermazioni citate, le quali

sono anch’esse ipotesi, anche se presentate come fatti certi.



Se si confronta la diffusione dell’esperanto con quella delle cifre indiane/arabe, o con

l’eliminazione della schiavitù, o con l’avanzata delle donne nella vita politica-sociale-economica, si può constatare che la storia progredisce molto lentamente negli ambiti nei quali gli uomini devono sostituire interi sistemi di pensiero per poter godere dei vantaggi

offerti da sistemi del tutto nuovi. Le proposte innovative, tendenti a instaurare una maggiore giustizia, provocano sempre forti opposizioni. Esse minacciano gli interessi di

gruppi potenti che mobilitano tutte le proprie forze in difesa dei propri privilegi. Probabilmente la resistenza alle rivoluzioni profonde di sistema dipende anche dal timore di doversi adattare, di dover rinunciare ad abitudini profondamente radicate in favore di novità semplici, pratiche, frutto di creatività mentale, potenzialmente atte a facilitare la vita quotidiana di tutta l’umanità.

Un esempio tipico è offerto dal sistema metrico decimale. Esso fu proposto da Gilbert

Mouton nel 1647. Nel 1767, centovent’anni dopo la proposta, non era usato in nessun Paese del pianeta. Solo alcuni “spiriti bizzarri” lo sostenevano. Al confronto, il successo dell’esperanto è notevole: oggi (2006), meno di 120 anni dopo la sua presentazione al mondo, si trovano persone che lo praticano quotidianamente, in forma orale e scritta, in tutte le metropoli di oltre cento Paesi e in una quantità innumerevole di insediamenti minori. Se tale è la situazione, possiamo ipotizzare di trovarci nello stadio iniziale, quando la curva esponenziale della diffusione si trova nella fase quasi orizzontale. Una risposta drasticamente negativa, come quella dei nostri otto linguisti, non è oggettivamente scientifica. Non lo sarebbe nemmeno una risposta drasticamente positiva. La storia ci insegna che è troppo presto per decidere.



3.2 L’artificialità

Il linguista che attribuisce la limitata diffusione dell’esperanto alla sua artificialità

non chiarisce la relazione causale fra i due fatti. Le cifre arabe con il loro zero, e il sistema metrico decimale, con la sua bella coerenza che ricorda la formazione del lessico

dell’esperanto, non sono meno artificiali. Come l’esperanto, sono frutti della creatività umana.

Del resto che cosa significa la parola “artificiale” riferita a una lingua? Per un bambino francese dire “plus bon “, “vous disez ”, “des cheval “ è più naturale che usare le forme

corrette “meilleur “, “vous dites “, “des chevaux “. E un bambino inglese all’inizio preferirà dire “foots “, “ it’s mines “, “ he falled “ anziché le forme ufficiali “feet “,

“it’s mine “, “he fell “. Le forme imposte dalla norma ufficiale si fissano nella mente

soltanto dopo una lunga azione dell’ambiente, e dunque attraverso un condizionamento

artificiale esercitato dall’esterno: nessuna di queste forme è spontaneamente prodotta dalla mente del bambino. Chi scrive questo articolo ha avuto occasione di osservare il linguaggio di un bambino di cinque anni bilingue dalla nascita (francese-esperanto). Ebbene, il suo esperanto era del tutto corretto, mentre il suo francese era ancora ben lontano dalla norma. Se ne potrebbe dedurre che l’esperanto è più naturale del francese!



3.3 Evoluzione futura



Nessuno può dire con certezza cosa accadrà in futuro. Forse dopo X decenni o secoli

l’esperanto si frammenterà in dialetti. Ma non è per nulla sicuro. L’esempio del latino

non è probante. Per molti secoli il latino rimase una lingua unitaria, benché usata su un territorio che si estendeva dall’ isola britannica all’ Asia occidentale. Ciò che causa la frammentazione linguistica in idiomi reciprocamente incomprensibili non è la distanza né la durata, ma la cessazione della comunicazione. Il latino si differenziò nelle lingue neolatine in seguito al crollo dell’ amministrazione romana centrale, quando le diverse comunità locali rimasero isolate.

Del resto la scomparsa del latino avvenne solo a livello popolare, non per le élite colte: queste conservarono un latino unitario, diverso per alcuni tratti da quello classico, ma comunque capace di assicurare una comunicazione perfetta da un’estremità all’altra dell’Europa. Nel XIV secolo docenti delle università di Colonia, Praga, Cambridge insegnavano in latino a Parigi senza alcun problema. In ogni caso, quando le relazioni fra i popoli si intensificano, quando viaggiano sempre più spesso e leggono gli stessi testi, le versioni locali si avvicinano reciprocamente. Se ne ha un esempio nel francese: le differenze fra le sue varianti locali, parlate in Francia, Belgio, Canada, Svizzera, sono oggi molto minori di quanto lo fossero un secolo fa.

Una ricerca diacronica condotta sull’esperanto attesta lo stesso fenomeno. All’inizio era facile indovinare il paese d’origine di un autore. Oggi non più. La lingua si è unificata.

Lo scambio dei messaggi in rete, oggi di uso frequentissimo nell’ambiente esperantofono,

ha un forte effetto unificante. Si osserva la stessa evoluzione riguardo alla pronuncia. Negli anni ’50 del secolo scorso i programmi radiofonici in esperanto dalla Francia e dalla

Svezia si differenziavano sensibilmente per l’influsso delle rispettive lingue nazionali. Oggi in grande maggioranza i giovani francesi esperantofoni pronunciano le “erre” con la lingua e pongono regolarmente l’accento sulla penultima sillaba – cosa rara appena vent’anni fa. Non si sentono più gli svedesi pronunciare la “e” finale degli avverbi come “shwa” (1), cioè come una confusa, indefinita vocale sbiadita – come faceva il presentatore di radio

Stoccolma verso il 1950 (ciò che, del resto, non impediva affatto una perfetta comprensibilità). La comune volontà di reciproca comprensione mette in azione meccanismi linguistici spontanei che gradualmente diminuiscono ed eliminano le differenze. Questo fenomeno risulta evidente a chiunque esplori la storia dell’esperanto sulla base di documenti scritti e registrati.



Proprio la storia dell’esperanto dimostra che una lingua convenzionale può evolversi senza perdere la propria unitarietà. E’ sufficiente, per questo, che la volontà di capirsi reciprocamente sia abbastanza forte; ciò induce un’evoluzione concorde e impedisce che eventuali temporanee varianti si consolidino, per il semplice fatto che queste ultime vengono sentite dalla comunità – sia pure in maniera inconscia – come incompatibili con lo spirito della lingua.



4. Deduzioni non controllate sul campo



Le risposte degli otto linguisti contengono una ricca serie di asserzioni apodittiche non controllate sul campo. Per esempio:



a - “Per un non europeo l’esperanto non è più facile di qualsiasi altra lingua europea”.

b- “L’esperanto non è una lingua vivente, dato che non esiste una comunità di parlanti”.

c- “Manca in esso la ricchezza espressiva e la capacità di far vibrare l’animo, tipiche di

una lingua vivente”.



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(1) i linguisti chiamano “shwa” o “schwa” (dall’ebraico, in esp.“svao”) quella vocale di suono incerto, indeterminato, vago, che i francesi chiamano “e muta” e che corrisponde pressappoco alla “e” dell’ articolo francese “le ” e alla “e” della parola inglese “quiet ”.



d- “La sua provvista lessicale è monotona, perché intere famiglie di parole derivano

da una sola radice”.

e- “Imparare l’esperanto è un’assoluta perdita di tempo”.

f- “Dato che non esistono nativi esperantofoni, ognuno pronuncia la lingua secondo la

struttura fonica della propria lingua materna, per cui risulta difficile capirsi

reciprocamente”.



Ognuna di tali asserzioni è una deduzione teorica non verificata sul campo. Gli autori le proclamano come evidenze indiscutibili. In effetti basta confrontarle con i semplici fatti concreti per constatare che nessuna di esse si accorda con la realtà.



a) “Per un non europeo l’esperanto non è più facile di qualsiasi altra lingua europea”

Affermare questo significa ignorare che cosa rende una lingua facile o difficile da apprendere. In Svizzera gli scolari di lingua italiana scrivono senza errori dopo due o tre anni di scuola elementare, mentre i giovani dodicenni o tredicenni di lingua francese ancora non scrivono correttamente. La ragione è chiara: l’italiano ha un’ortografia più semplice e regolare di quella francese che non possiede una regolare corrispondenza fra pronuncia e ortografia. Quanto minori sono i dettagli da memorizzare, tanto più rapido è il progresso dell’apprendimento. L’esperanto si impara più velocemente di qualsiasi lingua europea semplicemente perché è più coerente. Nell’ interessante articolo in francese “Asie: anglais ou esperanto – Quelques témoignage” (“Asia: inglese o esperanto? – Qualche testimonianza”) ricco di citazioni ed esempi, si leggono una ventina di interviste ad asiatici che hanno studiato ambedue le lingue e confrontano le rispettive difficoltà. Solo una persona che ignora qualsiasi verifica sul campo può affermare che le due lingue

sono altrettanto difficili per un asiatico. Certo, l’esperanto può essere tre o quattro volte

più difficile per un cinese che per un francese, ma ciò non esclude il fatto ampiamente accertato che per un cinese l’esperanto è trenta volte più facile dell’inglese, lingua con un lessico gigantesco e una grammatica, un’ortografia, un sistema di formazione delle parole gremiti di irregolarità, eccezioni, incongruenze.



b) “L’esperanto non è una lingua vivente, dato che non esiste una comunità di parlanti”

Affermazione possibile solo se si ignora qualsiasi controllo documentale. Basta una breve verifica nei numerosissimi siti Internet in questa lingua per scoprire che esistono da decenni in molti paesi comunità stabili di lingua quotidiana esperanto. Si veda anche l’articolo di Richard E. Wood “A voluntary non-ethnic, non-territorial speech community” (in Mackey, William Francis, Jakob Ornstein “Sociolinguistic Studies in Language Contact - Hagen, Paris, New-York: Mouton, 1979, p.433-450).

Del resto quali sono i criteri per definire “vivente” una lingua? Questo punto è vastamente trattato nel libro “Le défi des langues – Du gàchis au bon sens” ( C.Piron, Parigi, ed. L’Harmattan, 1994). Eccone una citazione:



In Svizzera nessuno dubita che il romancio - dal 1938 quarta lingua nazionale svizzera, parlata in alcune valli dei Grigioni – sia una lingua vivente. Eppure, confrontandola con la diffusione e la vivacità dell’esperanto, è una lingua che appena sopravvive. L’esperanto è parlato da molte più persone del romancio, produce più libri, più poesia, più canzoni, è più usata nelle radio, viene normalmente usata in convegni e congressi, dimostra una volontà di vivere incomparabilmente superiore, soprattutto per opera delle generazioni più giovani, tese tenacemente alla sua ulteriore diffusione. Tutti gli esperantofoni sono bilingui, ma lo sono anche tutti i parlanti in romancio.

Inoltre l’esperanto risponde a tutti i criteri di lingua vivente per il solo fatto che è in piena evoluzione. Niente di strano in ciò, se si considera che esso è usato ogni giorno da migliaia di uomini in decine di paesi del mondo. L’uso trasforma sempre le lingue, tranne nel caso che potenti forze conservatrici premano artificialmente dall’esterno. A questa evoluzione dell’esperanto concorrono tre fattori: l’influenza reciproca di culture diverse, la necessità di adattare la lingua a un mondo in rapida trasformazione, l’utilizzo del potenziale linguistico latente, dapprima trascurato data l’iniziale influenza delle abitudini linguistiche nazionali. Chi impara l’esperanto lo fa nell’intento di comunicare con persone di ogni paese. Di conseguenza ha luogo una continua interazione fra diverse maniere di pensare, sentire, esprimersi. Anche le referenze culturali sono molteplici. Si verifica così un continuo interscambio di azioni e reazioni, che rendono l’esperanto una lingua altrettanto viva che, per esempio, la giovane lingua francese dell’epoca di Rabelais.



c) “Manca in esso la ricchezza espressiva e la capacità di far vibrare l’animo, tipiche di

una lingua vivente”.

Una semplice analisi di testi letterari in esperanto basta per dimostrare l’infondatezza di questa asserzione. L’esperanto è una lingua ricca perché niente pone limiti alla creatività linguistica di chi la parla e la scrive. Consideriamo le seguenti frasi, raccolte dal

testo di un esperantista del Bengala (1):



“Ĉu kun la aliloĝiĝo oni alipsikiĝas? ” (cap.4, p.6) : “Forse che quando si cambia di abitazione si cambia anche la propria psiche (personalità) ?”



“ Ŝi senŝvitigadis la frunton per la rando de sia sario” (cap.5, p.5) : “Ella si asciugava continuamente il sudore della fronte con il bordo del suo sari”.



“La subita ekkolero iom malordas ŝin, belen” (cap.6, p.2) : “Il fatto di incollerirsi improvvisamente scombina i suoi lineamenti in maniera tale da renderla bella”, oppure: “L’improvvisa collera muta i suoi lineamenti, ed èccola diventata bella”.



“Ŝi iel senpeze lanĉas la vortojn el malantaŭ la dentoj – kaj ili disvojas nebulen” (cap.6,

p.5) : “In qualche maniera, con leggerezza, ella lancia le parole da dietro i denti – ed esse divergono in diverse direzioni disperdendosi in una nebbia”.



“Se bati la propran edzinon kaj devigi servon estis la feŭdismo, ĉu batminace perterori la servon de aliulaj edzinoj do nomiĝu la socialismo? ” (cap.5, p8) : “Se picchiare la propria moglie e obbligarla a servire era il feudalesimo, forse che obbligare le mogli di altri a servire, minacciando di picchiarle, deve chiamarsi socialismo?”



E difficile far percepire al lettore che non conosce l’esperanto la forza evocativa di molte parole intraducibili usate in queste frasi. Non solo è impossibile tradurle esattamente, ma è anche difficile farne capire il senso – evidente per chiunque conosca la lingua. Nella prima frase “aliloĝiĝo” (mutamento di abitazione) si analizza: ali (altro), loĝ

(abitazione, alloggio), iĝ (diventare, farsi), o (marca che il concetto è usato come sostantivo). La parola “alipsikiĝi” (mutare la propria psiche, personalità) si analizza in



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(1) Manashi Dasgupta, “Dormanta Heimaro” (“Famigliari dormienti ”), edito dalla FEL (Lega esperamtista

belga, Antverpen).



maniera analoga: la “i” finale indica che si tratta di un verbo all’infinito (alipsikiĝo vorrebbe dire “mutamento della propria psiche, personalità).

Ciò che chi non conosce la lingua difficilmente può cogliere è l’impressione, la risonanza

prodotta da queste parole: la vibrancy, per citare l’espressione usata dal nostro linguista.

La parola sintetica (densa, compatta) desta nell’animo un’ eco del tutto diversa da quella che possono destare le traduzioni analitiche (descrittive): “cambiare la propria psiche”, o “passare a un’altra psiche”, o “cambiare la propria personalità”.

Nella seconda frase, la parola “senŝvitigadis” si analizza: sen (senza), ŝvit (sudore),

ig (rendere, fare), ad (suffisso indicante la durata o la ripetizione di un’azione nel tempo), is (passato del verbo). La traduzione analitica letterale sarebbe: “ripetutamente rendeva

(la propria fronte) priva di sudore”.

Una parola come senŝvitigadis puòsembrare lunga e barbara a chi non conosce la lingua.

In realtà un’ esperienza secolare dimostra che basta un minimo di pratica perché l’occhio e la mente si abituino a cogliere i diversi frammenti della parola e ne facciano subito la sintesi che rivela il significato complessivo. Così come chi conosca l’italiano non ha alcuna difficoltà a capire la parola “innegabilmente”, analizzabile come: in (prefisso indicante negazione),neg (radice del verbo negare),abil (adatto,idoneo), mente (suffisso avverbiale).

Del resto “senŝvitigi” appartiene a una ben nota serie, cui appartengono, per esempio,

“senarbigo ” (deforestazione), “senvestigo ” (svestizione), “senkulpigi ” (discolpare), “senheredigi ” (diseredare), “senŝuigi ” (togliere le scarpe), “senrajtigi ” (privare del

diritto), “senpovigi ” (togliere il potere), “sendomigi ” (togliere la casa), “senorientigi ”

(disorientare) ecc.

Chi conosce bene le due lingue e confronta ogni volta la parola esperanto e la sua

traduzione, si rende conto che l’italiano spesso non riesce a trasmettere l’impressione, l’eco emotiva suscitati dalla parola esperanto. Forse questo significa che l’italiano è meno evocativo, meno ricco dell’esperanto? Per niente! Semplicemente significa che l’italiano è diverso dall’esperanto e usa altri mezzi (a volte più efficaci a volte meno) per trasmettere gli stessi concetti. La difficoltà di esprimere alcuni contenuti in italiano (o in inglese) dimostra soltanto che è obiettivamente irragionevole addebitare all’esperanto una carenza di ricchezza espressiva o di “capacità di far vibrare l’animo”!



d) La sua provvista lessicale è monotona, perché intere famiglie di parole derivano da una sola radice”.

Su cosa si basa l’autore di questa frase per dimostrare tale certezza? Certo non su un’esame di testi e registrazioni, come sarebbe doveroso per un linguista professionista.

Se il fatto che molte parole derivano da una sola radice fosse fonte di monotonia, l’arabo e l’ebraico sarebbero lingue estremamente monotone. L’ultima edizione del “PIV” (“Plena Ilustrita Vortaro” = Vocabolario completo illustrato di esperanto, Parigi, ediz.SAT, 2005) contiene 16.780 radici; il vocabolario arabo-francese di Daniel Reig (Parigi, ediz. Larousse, 1999), considerato un vocabolario completo, ne contiene 6.089. Tutta la Bibbia è scritta con 2.055 radici. Soltanto una persona che non la conosce bene può considerarla “monotona”: chi la giudicasse tale dimostrerebbe solo la propria incompetenza. Del resto il latino nel momento del suo massimo splendore, all’epoca di Cicerone, possedeva 2.500 radici.

L’esperanto non è affatto monotono: è una lingua che abbonda di sinonimi. Un linguista che voglia esplorare questo aspetto della lingua se ne convincerà ben presto, se solo esaminerà come la dizione “tradotto da ...” viene espressa nei testi pubblicati. La varietà è maggiore che in qualsiasi altra lingua. Naturalmente troverà, per esempio,

“tradukita de la angla” (= tradotto dall’inglese), ma spesso troverà espressioni come “elangligis ...” seguito dal nome dell’autore (= ha “tratto fuori dall’inglese ...”) oppure

“esperantigis ...” (= “ha trasformato in lingua esperanto ...”) ecc. Oppure anziché “tradukis” troverà “translingvigis” (= “ha fatto transitare da una lingua a un’altra”) o “alilingvigis” ( = “ha trasformato in un’altra lingua”) ecc.

In un romanzo in esperanto la provvista di parole è tanto meno monotona in quanto l’autore utilizza le innumerevoli sfumature con cui può modulare ogni radice. Il fatto che

per dire “senza fiamma” può scegliere fra sen flamo, sen flami, senflama, senflame, già

evita la monotonia riguardo al suono. Inoltre la parola “bruli ” (bruciare) ha più sinonimi in esperanto che in molte altre lingue: si può dire “flami ” (fiammeggiare), “fajri ” (da “fajro” = fuoco), “bruliĝi “ (= diventare bruciante), “flamiĝi “ (= infiammarsi), “fajriĝi “

(= infuocarsi), “ekbruli “ (= accendersi), “incendiiĝi” (= incendiarsi) ecc.



Molti altri tratti rendono l’esperanto una lingua particolarmente gradevole per uno scrittore che aborrisca la monotonia.

1) il morfema “ul ” (“individuo”, spesso usato come suffisso) rende possibile caratterizzare un individuo attraverso un dettaglio caratteristico: “pipulo” (= l’uomo con la

pipa”), “anserpiedulo” ( = “piédipapera” ), “kisemulo “ (= l’uomo che vuol sempre baciare), “dikpugulo” (= l’uomo dal grosso culo, il “culone”), “zigzagnazulo” (= l’uomo con il naso a zig zag), “malemulo” (= lo svogliato), “karobmanĝulino” (= la mangiatrice di carrube),

“ĉiesulino “ (= la donna di tutti)... ecc.

2) il morfema “em “ che significa tendenza, inclinazione, desiderio: “li rigardis vin

foteme “ (= ti ha guardato “come desiderasse farti una fotografia”); “li vojaĝemis sed senmonis “ (= aveva voglia di viaggiare ma era senza soldi); “ ha, kiom mi trinkemus bieron! “ ( = ah, quanto volentieri berrei una birra! ) ecc.

3) i sei participi presenti, passati e futuri (tre attivi e tre passivi) spesso usati come sostantivi: “la sekvoto “ ( = colui che sarà seguito), “ la celatino “ ( = quella cui si aspira),

“la minacinto ” (= quello che ha minacciato), “ridinte “ ( = dopo aver riso), “batote li forkuris “ (= sul punto di essere picchiato, scappò via), “forironte, li ĉiujn salutis “

(= essendo pronto per andarsene, salutò tutti), “batate li ploris “ ( = mentre lo picchiavano piangeva) ecc.

La sorprendente accusa di “monotonia”, che il nostro linguista rivolge all’esperanto con il tono perentorio del competente, è evidentemente una deduzione basata su una premessa falsa, che non si è preoccupato di controllare. E’ caduto nella trappola, come i suoi colleghi per altri particolari.



e) “Imparare l’esperanto è un’assoluta perdita di tempo”

Si potrebbe osservare che innumerevoli attività umane da un certo punto di vista (utilitarismo) sono “assolute perdite di tempo”: giocare a scacchi, comporre o ascoltare una sonata per corno inglese, guardare o dipingere una natura morta, leggere o scrivere un sonetto, escogitare o risolvere una crittografia mnemonica, chiacchierare con gli amici sotto la pergola, ecc. Ma restiamo pure sul piano dell’utilitarismo.

Il citato giudizio – drastico come tutti gli altri – ignora i molti vantaggi (pratici) che risultano dall’apprendimento dell’esperanto, e il significato socio-politico che spinge molte donne e uomini a impegnarsi per la sua diffusione. Inoltre ignora che la conoscenza dell’esperanto è un’ottima propedeutica per imparare altre lingue – come ampiamente dimostrato dal fatto che gli esperantofoni, in particolare quelli nativi, apprendono spesso diverse altre lingue con particolare facilità.

La comunità esperantofona è abbastanza vasta e diffusa da poter offrire in svariate circostanze il contatto diretto con abitanti di qualsiasi paese senza problemi di comprensione. La possibilità di comunicare fluentemente senza sentirsi“straniero”, senza mai trovarsi in posizione di inferiorità o superiorità, è un fattore molto gratificante. L’esperanto imprime all’interscambio una sfumatura speciale, diversa da quella creata da qualsiasi altra lingua usata come mero mezzo di comunicazione. Uno svedese e un cinese parlanti fra di loro in inglese non si sentono “anglosassoni”; se parlano in esperanto si sentono “esperantisti”. Questo si spiega perché l’esperanto non è solo una lingua ma anche un’idea, un sentimento umanitario di comunanza, fraternità, parità di diritti. Inoltre la letteratura originale in esperanto non è meno interessante di qualsiasi altra letteratura e offre una particolare chiave di lettura dei fenomeni socio-politici e culturali. Anche la letteratura tradotta è considerevole, sia perché la lingua si presta particolarmente bene alla traduzione,(1) sia perché apre le porte alla conoscenza di voci elevate ma quasi ignote perché, provenendo da piccoli popoli, sono trascurate dalla grande editoria mondiale, dèdita in maniera sproporzionata alle letterature dei paesi grandi e potenti.



f) Dato che non esistono nativi esperantofoni, ognuno pronuncia la lingua secondo la struttura fonica della propria lingua materna, per cui risulta difficile capirsi reciprocamente.

Ecco un’altra affermazione dovuta a un mancato controllo dei fatti. Basta visitare un congresso di esperanto per incontrare i “denàskaj” (di lingua materna esperanto): figli di coppie miste che usano l’esperanto come lingua comune quotidiana. Un migliaio di tali nuclei famigliari sono noti, ma certamente ce ne sono molti di più, dato che solo in parte si annunciano. Esiste anche una loro associazione.

A parte questa realtà, che non poco contribuisce a rafforzare l’unità della lingua e ad arricchirla con una particolare creatività autonoma, (2) è da dire che effettivamente alcuni esperantofoni pronunciano secondo il modello fonetico della propria lingua materna. Tuttavia la maggioranza parla senza un particolare accento. Comunque quel che importa è che queste differenze non impediscono in alcun modo la perfetta comprensione reciproca. E’ uno dei tratti per i quali l’esperanto si dimostra nettamente superiore all’inglese.



Se si osserva come l’esperanto viene parlato nei convegni e nelle conversazioni, ci si rende conto che le inflessioni regionali non hanno alcuna importanza. Sono sfumature che, se possono svelare l’origine etnica del parlante, non ne compromettono la chiarezza. Non diversamente avviene in qualsiasi lingua nazionale (in Italia è spesso facile capire se un parlante è nativo di Napoli, Venezia, Milano o Firenze: non per questo il suo eloquio è meno corretto e comprensibile).

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(1) Ciò dipende dalla flessibilità e ricchezza della lingua, ma anche dal fatto che ogni traduttore traduce

dalla lingua materna, della quale è in grado di percepire le sottigliezze meglio di uno straniero, per quanto

abile. Si veda: William Auld, “The international Language as a medium for literary

translation” ”, in Rudiger e Vilma Eichholz “Esperanto in the Modern World” (Bailieboro: Esperanto

Press, II ediz. 1982), p.111-158, e : C.Piron, “Poésie et espéranto”.

(2) si vedano:

G. Saunders “Bilingal Children: From Birth to Teens”, Clevedon: Multilingual Matters, 1988;

K. Vesteegh “Esperanto as first language – Acquisition vith a restricted input”, in Linguistics, 31, p.539-555, 1993;

R. Corsetti “L’esperanto dalla nascita: tra creatività e creolizzazione”, Università “La Sapienza”, Facoltà di Psicologia 1, Roma 2005.



Il nostro linguista critica l’esperanto perché alcuni pronunciano la “K”, la “P” e la “T”

con una lieve aspirazione prima della vocale che segue, come in inglese e in tedesco, mentre altri le pronunciano senza tale aspirazione, come in italiano e in francese. Effettivamente nei notiziari quotidiani in esperanto di Radio Pechino si può notare questa

leggera aspirazione, che manca invece nei notiziari di Radio Vaticano. Ma non è possibile citare un solo caso in cui questa differenza incida sulla chiarezza.

Chiunque assiste a convegni internazionali in esperanto si rende conto che in essi la comprensione è incomparabilmente migliore di quelli in inglese. Tale superiorità è dovuta a precisi motivi:



- il piccolo numero dei fonemi vocalici, ognuno dei quali offre una larga gamma di possibili concretizzazioni, rimanendo nettamente riconoscibile: in tutto 5 vocali - a, e, i, o, u - in confronto ai 24 fonemi dell’inglese - secondo l’Alfabeto Fonetico Internazionale. Distinguere fra socks/sucks, sucks/sacks, sacks/sex, sex/six, six/seeks

presenta senza dubbio qualche difficoltà per la maggioranza dei terrestri ...



- il posto invariabile dell’accento (penultima vocale, escludendo J e Ŭ , considerate semivocali , per cui non incidono sull’accento: dòmo, dòmoj, ànkaŭ, hièraŭ).

- la lunghezza un po’ maggiore delle parole, che offre alla mente migliori possibilità

di analizzare quanto ascoltato. Questa maggiore lunghezza delle singole parole è compensata dalla struttura della lingua. Si confronti “system / systematic / systematically” con “sistemo / sistema / sisteme “, o “translated into English” con “angligis”.



- il fatto che in esperanto quasi tutte le parole finiscono con una vocale, o una semivocale,

o “s “o “n” rende la pronuncia chiaramente più facile per la grande maggioranza dei popoli, mentre i gruppi pluriconsonantici come rst, rd, cts, ndz, pt , con cui terminano spesso le parole inglesi, sono pronunciabili con fatica da molti non anglofoni, soprattutto i non europei.



Certo la logica è un ottimo strumento, ma non può sostituire il controllo dei fatti.

Trascurare di controllare nella realtà se la deduzione ne riceve conferma, è un sistema di procedere che poco ha a che fare con la linguistica scientifica. E’ spiacevole che, certamente con intenzioni oneste, i nostri otto linguisti abbiano adottato questo sistema con bella unanimità.



5 – Assenza di confronto



5.1 I diversi mezzi applicati per superare le barriere linguistiche non vengono comparati.



I soli confronti fatti dai linguisti riguardano particolari interni della lingua, mai la lingua considerata come ponte interculturale. Omettono così un aspetto essenziale del problema,

e cioè che l’esperanto ha una precisa funzione, permettere la reciproca comprensione a

persone di diverse etnie e lingue materne. Valutare la lingua ignorando tale funzione non è più sensato che valutare uno strumento di lavoro senza interessarsi al lavoro per cui è stato fabbricato.

Come già detto, in tale funzione l’esperanto è un mezzo fra molti, così come il “pidging english”, l’interpretazione simultanea ecc. Questi mezzi si differenziano sia per l’investimento - in tempo, denaro, strumentazione, personale, energia nervosa - sia per i risultati ottenuti - che variano da minimi (con i gesti) a eccellenti (con un ottimo inglese).

Gli otto linguisti non mettono mai a confronto l’esperanto, in situazioni reali, con altri sistemi di comunicazione interculturale. Si esprimono come bastasse attribuire alla lingua

questa o quella mancanza o imperfezione per liquidare il problema. Ma dopo aver rigettato l’esperanto non propongono nient’altro se non l’inglese, tacendo che l’inglese presenta gli stessi difetti rimproverati all’esperanto in misura enormemente maggiore. Ammettiamo pure che l’esperanto non sia la lingua mondiale ideale per il fatto che ognuno lo parla con la propria inflessione nazionale. Ma che dire dell’inglese? Non è forse anch’esso distorto dalle pronuncie caratteristiche delle diverse lingue materne? E non è forse un fatto oggettivo che gli equivoci dovuti alle differenze di pronuncia sono molto più facili e frequenti in inglese che in esperanto?

Una semplice analisi comparativa dei tratti fonetici mostra che l’esperanto, rispetto all’inglese, ha molti più tratti comuni con la maggioranza delle altre lingue. Che senso ha

rigettare uno strumento, evitando accuratamente di proporre uno strumento migliore o almeno altrettanto buono?



5.2 Mancanza di comparazione rispetto a importanti elementi linguistici.



L’ abitudine di evitare i confronti si ritrova nelle considerazioni relative a elementi

linguistici isolati. Per esempio uno dei linguisti ritiene l’esperanto inservibile perché i suoi parlanti, seguendo le abitudini delle proprie lingue materne, pronunceranno confusamente – come “shwa” (vedi nota p.13) – le vocali non più accentate, quando il regolare sistema di derivazione sposta l’accento su un’altra sillaba. Strano! non si accorge che esattamente lo stesso fenomeno accade normalmente in inglese (e in molte altre lingue) : passare da economy a economic o da product a production fa perdere alla prima “o ” , nella seconda parola di ambedue le coppie, il suono chiaro che ha nella prima. Se questo fenomeno non rende l’inglese inutilizzabile come lingua mondiale, perché mai dovrebbe avere questo disastroso effetto nell’esperanto?

Ancora una volta il linguista non ha controllato la propria asserzione. Un osservatore che ascolti attentamente l’esperanto come viene praticamente parlato, si accorgerà che effettivamente gli inglesi, i portoghesi e i bulgari talvolta pronunciano in maniera sfumata

(come “shwa”) vocali che dovrebbero essere più chiare. Ma constaterà anche che nella pratica ciò non impedisce minimamente la perfetta comprensibilità.



6 – Inclinazione a giudicare “dall’alto al basso”



6.1 Consigli



E’ del tutto normale che un professore, consultato da uno studente o da un profano,

assuma un tono da competente, da “sapiente”: certo, è uno specialista nella sua materia!

Purtroppo in questo caso la competenza rispetto all’esperanto è del tutto assente nei nostri otto linguisti. Uno solo di loro in passato aveva teoricamente imparato la lingua, ma non l’aveva mai attivamente usata rendendosi conto del suo effettivo funzionamento.

Chiunque abbia un minimo di famigliarità con l’ambiente esperantista rimane scioccato dal fatto che questi esperti di lingue, ma non di esperanto, diano consigli come questo: “Dica al suo amico giapponese che dimentichi l’esperanto e piuttosto studi l’inglese, il francese o il cinese”.

E’ deplorevole che simili consigli provengano da persone che non hanno la minima

idea dei vantaggi offerti dalla conoscenza dell’esperanto, e che di questa lingua hanno solo conoscenze sbagliate. Se proprio si sentono obbligati a dare un consiglio, sarebbe forse preferibile che dicessero: “ Vede signora, essere un linguista non comporta necessariamente una competenza riguardo all’esperanto. Le consiglio di rivolgersi a persone competenti. Attraverso Internet non avrà difficoltà a trovarne”.

Un altro degli otto ripete la stessa canzone: “A quale scopo desidera studiare una lingua estera? Se vuole viaggiare, impari la lingua della regione che intende visitare. Se le piace

il suono di una lingua particolare, impari quella. Se desidera leggere una letteratura originale, studi la lingua dei suoi autori preferiti”. Questo “consigliere” sembra incapace di concepire che si può desiderare viaggiare in tutto il mondo avvicinando dappertutto abitanti locali senza problemi di comprensione linguistica - per esempio grazie alla rete

mondiale di ospitalità in famiglie esperantofone.(1) Né può concepire che si possa essere

attirati dal particolare suono dell’esperanto, o dalla sua struttura. Né che tramite l’esperanto si possano conoscere opere di grande valore non rintracciabili in altre lingue, e sempre tradotte da persone di lingua materna uguale a quella degli autori, con un alto livello di fedeltà e di ricchezza espressiva. Non è strano che un intellettuale sia incapace di concepire i motivi per cui le persone imparano l’esperanto?



6.2 Il tono



Alcune risposte si distinguono per un tono altezzoso, sprezzante, di sovrana degnazione,

spesso contrassegnato da un’ironia e da un sarcasmo del tutto ingiustificabili.



Cosa significa parlare di “alti sacerdoti ed evangelisti del movimento esperantista”

(“High Priests and Evangelists of the Esperanto Movement”)? A chi si allude? Certo, esistono fra gli esperantofoni persone che dànno l’impressione di un certo fanatismo,

così come ne esistono in qualsiasi gruppo umano. Forse il linguista che così si esprime

ne ha incontrate alcune. Ma è giusto considerarli modelli della comunità che pratica la lingua? Il sociologo Peter G. Foster ha condotto una ricerca sugli esperantisti inglesi (2). Ne ha concluso che assomigliano in tutto alla popolazione britannica tranne per due particolari: fra di loro la percentuale di vegetariani e di elettori del partito laburista è

un po’ superiore alla media.



Il movimento esperantista ha aspetti estremamente differenziati; le sue caratteristiche

in un paese non sono generalizzabili a tutto il mondo. In Brasile molti esperantofoni appartengono al movimento spiritista (o inversamente: gli spiritisti, numerosi in questo paese, simpatizzano per l’esperanto più degli altri cittadini). Ma per questo aspetto il Brasile è un caso unico. Sarebbe del tutto improprio dedurne che gli esperantofoni sono spiritisti. Nel movimento esperantista si conta una dozzina di premi Nobel. L’autore della

citata frase non riuscirebbe a citare uno solo dei loro testi atto a qualificarli come “alti sacerdoti ed evangelisti” dell’esperanto. E’ facile usare simili espressioni che insinuano

più di quel che dicono. E’ molto più difficile dimostrarle con documenti o testimonianze.

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(1) Per avere un’idea di un viaggio attorno al mondo in cui il viaggiatore è ospitato a ogni tappa in una

famiglia esperantofona, si veda: Deguti Kiotaro “My travels in Esperanto-land”, Kameoka, Oomoto,

1993. Si vedano anche le guide annuali del “Pasporta servo” che offrono la possibilità di trovare e

offrire ospitalità: l’edizione del 2006 comprende 1320 indirizzi di 92 paesi.

(2) Peter G.Foster, “The Esperanto Movement” , Hague, Mouton, 1982.



Del resto non esiste alcuna relazione fra una scelta ideologica e l’ idoneità di una lingua

a facilitare le relazioni internazionali. La popolazione di lingua materna inglese è caratterizzata, come ogni altra, da specifici tratti psicologici che la differenziano da altre etnie. Nessuno potrebbe dedurne che ciò impedisce all’inglese di funzionare come mezzo di comunicazione mondiale. La frase citata esprime soltanto un disprezzo che niente giustifica.



C’ è poi uno degli otto che addirittura proclama: “Non nasconderò il mio disprezzo per quegli infelici disabili (1) che insegnano ai figli l’esperanto come prima lingua. Perché allora non il Klingon?” (2)

Che dire? Una dichiarazione del genere certo non dimostra una particolare tolleranza e obiettività nel suo autore. Meritano un tale disprezzo le coppie di lingua diversa che si formano nel corso dei congressi di esperanto e lo adottano come lingua famigliare per la semplice ragione che questa è all’inizio la sola lingua comune? E i coniugi connazionali che educano i figli in esperanto perché devono a questa lingua un arricchimento culturale e umano e sanno che una sua precoce conoscenza procura ai bambini un reale vantaggio nell’apprendimento di altre lingue: meritano per questo di essere offesi con ingiurie del

genere? Giudichi il lettore.



Diagnosi



Delle 20 risposte analizzate nel presente articolo solo tre manifestano un atteggiamento in qualche modo positivo. La prima dice: “L’esperanto è in effetti una lingua ormai naturale, anche se deriva da una lingua artificiale creata in Polonia alla fine del XIX secolo”. La seconda: “Comunque, sono contenta di apprendere che la comunità esperantofona è abbastanza attiva e diffusa da permetterle di viaggiare in tutto il mondo e di avvicinare abitanti locali in tutti i paesi da lei visitati”. La terza: “Se un giorno dovesse essere adottata come mondiale una lingua artificiale, ritengo che l’esperanto sarebbe la scelta migliore. Avendone una sufficiente conoscenza, pur senza esserne in alcun modo un fautore, non trovo in questa lingua alcun serio difetto”.

Tutte le altre risposte dànno giudizi totalmente negativi.



Il pensiero “preoperativo” (3)



Le risposte citate compongono un quadro coerente. Mostrano la caratteristica maniera di pensare (“preoperativa ”) di un bambino fino ai cinque anni di età. Questa valutazione rischia di scioccare il lettore. E’ da chiarire subito che il pensiero di qualsiasi adulto funziona così, in molti dei campi in cui opera. L’intelletto umano si matura solo parzialmente. Il pensiero adulto – che appare quando lo sviluppo mentale raggiunge il livello denominato “stadio delle operazioni formali” – funziona bene solo negli ambiti in cui il soggetto è competente e non viene bloccato da fattori emotivi. In altri svariati ambiti (materie che il soggetto conosce poco, modi di vivere, problemi socio-politici, religiosi,

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(1) Traduco così l’espressione “basket cases” che non sono sicuro di capire bene, nonostante le

innumerevoli ore che ho dedicato allo studio e alla pratica dell’inglese. Il vocabolario Webster la definisce

“applicabile a una persona amputata dei quattro arti “.

(2) “Klingon” è la lingua di un popolo extraterrestre nel serial televisivo Star Trek.

(3) Termine specifico del gergo psicologico: in francese “préopératoire”, in inglese

“preoperatory”, in esperanto “antaŭoperacia” .





filosofici, valutazione degli altri e di se stessi, opinioni generali su grandi categorie umane, del tipo “i negri sono alti”, “gli islamici sono fanatici”, “i cristiani si intromettono”, “le donne sono incapaci di pensiero razionale”, “gli uomini non capiscono le donne”, “gli scozzesi sono avari”, “le donne non sanno guidare” ecc.) gli adulti usano la caratteristica maniera di pensare di un cinquenne: ignorano la “funzione inclusiva” e adottano il “pensiero binario” (sì-no), riducendo ogni problema a due soli termini opposti, estremi, simmetrici.

Assenza della “inclusione”



L’assenza della funzione inclusiva è costante nelle risposte esaminate. Esse presentano

il tutto come se l’esperanto non avesse alcun legame con la vita sociale, come fosse chiuso in un contenitore senza rapporti con il resto del mondo. Non lo considerano mai come una possibile soluzione di un problema reale, atto a concorrere con altre proposte.

In un secolo di storia sono state pubblicate sull’esperanto non poche ricerche scientifiche. Fra l’altro tesi di laurea, dissertazioni accademiche, saggi e testi specialistici. Per gli otto professionisti tutto ciò non esiste e non è mai esistito. Le loro risposte non si basano su analisi testuali e sull’osservazione sul campo del reale funzionamento della lingua.

Per emettere drastici giudizi su una lingua che non si conosce, che non si è mai ascoltata o letta, bisogna trasformarla in un’astrazione teorica, estranea alla vita reale. Perfino l’ovvia considerazione che per giudicare una lingua occorre conoscerla è assente dal loro pensiero. Tale assenza è chiaramente inconscia (non coscientemente voluta). Infatti nessuno introduce la propria risposta dicendo, per esempio: “Veramente non conosco molto sul problema specifico ma, basandomi sulle mie generali conoscenze linguistiche , ritengo possibile supporre che ... “.



Il pensiero binario (duale)



Una delle caratteristiche del pensiero binario, tipico del cinquenne, è la generalizzazione del sistema: “o tutto, o niente”, “o completamente, o per nulla”. Lo si ritrova continuamente nelle risposte, che considerano l’esperanto come un’ opzione esclusiva : “o l’esperanto, o niente altro” , “o una lingua nazionale, o l’esperanto”. Non li sfiora l’idea che si possa rispondere includendo : “e l’esperanto, e un’altra o altre lingue”. Eppure molti esperantofoni parlano più lingue; anzi è un fatto accertato che fra gli esperantisti la conoscenza di diverse lingue è più diffusa che nella media della popolazione.

A chi ragiona secondo il sistema binario sfugge la molteplicità e la varietà del reale. Un tipico esempio di ciò si trova nella risposta secondo la quale è impossibile evitare che una lingua si evolva: e se si evolve, allora si frantuma in dialetti o varianti locali, come il latino. In questo caso il pensiero binario limita le possibilità a due soli casi che si escludono a vicenda: o si fissa autoritariamente la lingua per evitarne l’evoluzione, o essa si evolve e quindi si frantuma in dialetti. E’ strano che questa impostazione venga adottata da un linguista: la maggioranza delle lingue si evolve conservando la propria unità, senza bisogno di interventi autoritari. Nel caso dell’esperanto uno studio diacronico mostra chiaramente che in un secolo l’esperanto si è molto modificato ma non si è affatto dialettizzato (1).

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(1) La “Esperanto-Akademio” (“Accademia di esperanto”) emette pareri e consigli (come, per l’italiano,

l’ Accademia della Crusca), ma poi ogni esperantista parla, scrive (e canta) come gli pare.







L’effetto “livellante”



Nella fase preoperativa, fino all’età di cinque anni, il pensiero infantile “livella”

i fenomeni considerati. Ecco perché il bambino si sente così facilmente “in colpa” o “vergognoso”: ai suoi occhi un’ inezia o un grave atto criminoso assumono lo stesso rilievo.

Parecchie delle risposte evidenziano questo tratto psicologico. Per esempio uno degli otto linguisti considera l’esperanto inservibile perché ha alcune lettere soprassegnate da un accento circonflesso (ĉ, ĝ, ĵ, ĥ, ŝ) o breve (ŭ).

Il linguista che tratta questo problema scrive: “Il tratto più fastidioso dell’esperanto è probabilmente la presenza di lettere speciali (consonanti soprassegnate con un accento che non esiste in altre lingue): ciò creava già gravi problemi per le vecchie macchine da scrivere. Tali lettere sono ancor più incompatibili con i moderni programmi di scrittura dei computer ”.

Ecco un’ennesima affermazione smentita dalla realtà. Basta un semplice sguardo al settore “caratteri speciali” nel più diffuso programma di scrittura “Microsoft Word” (“inserisci” + “simbolo”) per trovare subito le sei lettere soprassegnate dell’ esperanto (il presente testo ne è la prova). Del resto già da anni, in precedenza, gli utilizzatori dei computer “McIntosh” disponevano di tali lettere.



In realtà le lettere soprassegnate sono un particolare del tutto secondario. Se l’ortografia è pienamente fonetica e coerente, la presenza o meno di un accento è solo una veste esteriore. L’esperanto non sarebbe così vastamente diffuso in forum, siti, blog, discussioni e messaggi in rete, se questo tratto ortografico fosse davvero importante.

Zamenhof aveva già indicato come risolverlo tipograficamente: basta sostituire l’accento circonflesso o breve con una “h” posta dopo la relativa lettera.(1)



Si può considerare il problema anche da un altro punto di vista. L’esperanto

non ha mai cessato di essere usato e di diffondersi malgrado questa caratteristica grafica che all’inizio poteva procurare qualche difficoltà. E’ un’ulteriore prova che esso soddisfa realmente il bisogno di comunicazione internazionale meglio di altri sistemi. Se questo dettaglio fosse davvero così importante, l’esperanto sarebbe scomparso da gran tempo. Farne addirittura “l’ elemento più fastidioso della lingua” illustra appunto l’effetto livellante del pensiero preoperativo.





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(1) Chi ancora usa la macchina da scrivere o un computer di vecchia generazione ricorre anche a

sistemi alternativi. Alcuni anziché la “h” mettono una “x”: ciò dà ai testi dattiloscritti un

aspetto antiestetico, ma ha il vantaggio di non alterare l’ordine alfabetico, dato che in esperanto

la lettera “x” non esiste (il suo suono è reso dal gruppo “ks”). Altri usano l’apostrofo. Questi

accorgimenti, la cui necessità sta rapidamente scomparendo, non incidono sulla facilità di lettura

(anche in inglese diverse parole vengono scritte in più maniere: color/colour, realize/realise,

program/programme ecc.).









Il complesso



La maggioranza delle risposte qui considerate riguarda le domande di una signora che dichiara una propria esperienza dell’esperanto. Tutte le risposte, tranne una, ignorano l’esperienza dichiarata e in particolare un suo preciso quesito: “ Quanto tempo è necessario per imparare una lingua estera come il giapponese, il russo o l’ungherese?

La sola risposta parzialmente congrua si limita ad accennare a un uso turistico della lingua. Le altre eludono il problema. Nessuno degli otto si accorge che la signora cita tre lingue – due delle quali extraeuropee – parlate da persone con le quali, due righe dopo, dice di aver conversato in esperanto: “In alcuni mesi ho raggiunto, in esperanto, un livello linguistico che mi ha permesso di conversare con persone di questi tre paesi. Quanto tempo mi sarebbe stato necessario per conversare allo stesso livello nelle loro rispettive lingue materne?”

Si noti: la domanda è diretta a “Ask-A-Linguist”, il sito al quale “chiunque sia interessato alle lingue o alla linguistica può porre domande e ricevere risposte da linguisti professionisti ”. Perché nessuno degli otto risponde a tono?



Si ha l’impressione che la sola apparizione della parola “esperanto” abbia attivato in loro un complesso sottostante, suscitando una reazione di rigetto. Anziché considerare serenamente la domanda nei suoi dettagli e cercare un’adeguata risposta, i linguisti assumono un atteggiamento difensivo. Tutto si svolge quasi fosse urgente soffocare subito

il minimo segno di interesse verso l’esperanto. Le loro risposte hanno un solo contenuto:

“Rinunci ! ” , “Dica ai suoi amici che non perdano tempo per un’ idea così assurda ! ”, “L’esperanto non può funzionare! ”, “Piuttosto impari la lingua del paese che le interessa! ”



Risposte del genere odorano fortemente di censura. Per fortuna la signora possiede già un’esperienza personale sul problema; in caso contrario il suo interesse per l’esperanto verrebbe subito spento con mezzi obiettivamente disonesti – dato che le asserzioni incitanti ad abbandonare l’idea falsificano fatti facilmente controllabili. In realtà le persone che rispondono non sono in sè disoneste, perché senza dubbio rispondono sinceramente; resta però il fatto che un qualsiasi tribunale dichiarerebbe le loro asserzioni contrarie ai fatti e dannose per la comunità esperantofona – qualora questa li citasse in giudizio per diffamazione.

In ogni caso tutto si svolge come se per gli otto linguisti l’esperanto fosse un tabù. Tutte le risposte, infatti, ignorano il punto centrale: “Se si vuole visitare un solo paese e conoscere una sola cultura, ci si può limitare a imparare una sola lingua; ma che fare se ci si interessa a diversi paesi e culture?”

E’ stupefacente che l’unica risposta sia: “Impari la lingua del paese che intende visitare”



Ipotesi sulle cause



Com’è possibile che docenti di livello universitario, specialisti in una disciplina rigorosa e avvezzi a un pensiero critico maturo, si lascino andare a ragionare come un cinquenne se si tratta dell’esperanto? Per dare una risposta soddisfacente bisognerebbe avere con loro

lunghi colloqui e proporre questionari dettagliati, atti a chiarire i meccanismi psicologici

che causano, a livello inconscio, la constatata anomalia.







Prima di tutto occorre rilevare che un comportamento di questo tipo non è eccezionale.

Come già detto, tutti i normali adulti attivano simili processi mentali in ambiti in cui non hanno una speciale competenza. Non ci si può stupire, né si può colpevolizzarli. Ciò non toglie che ci si possa domandare che cosa provoca lo scivolamento da un pensiero maturo a un pensiero preoperativo.

In generale un tale slittamento avviene soprattutto in temi che in qualche maniera

toccano sentimenti profondi. Un’ implicazione emozionale è evidente in diverse risposte: “Un imprenditore giapponese DEVE poter discutere in inglese! ”, “Gli Alti Sacerdoti di questo movimento messianico europeo ”, “Non nasconderò il mio disprezzo per quegli infelici disabili che insegnano ai figli l’esperanto come prima lingua “. Perché mai l’esperanto suscita in questi intellettuali reazioni emozionali che danneggiano il normale funzionamento mentale? Di nuovo si tratta di un fenomeno ordinario. E’ noto che il richiamo all’esperanto ha questo effetto su molti adulti, a tal punto che risposte sobrie e obiettive sono l’eccezione e non la regola. In parte della popolazione l’esperanto, appena nominato, mette in azione i classici meccanismi di difesa atti a proteggere dalla paura.

L’arretramento al pensiero preoperativo può dipendere da questo meccanismo, che impedisce di vedere il problema nella sua totalità e complessità: liquida la distinzione fra la parte e il tutto (caratteristica del pensiero binario), permette di nascondere a se stessi la mancanza di un’adeguata conoscenza del problema.

Gli otto linguisti peccano contro la logica. Connettono le due cognizioni “Io sono un competente in linguistica ”, e “ Io ho qualche vaga idea sull’esperanto ”, e ne traggono la conclusione: “Dunque ho il diritto di rispondere sull ’esperanto con piena sicurezza e autorità ”. La competenza parziale si trasforma in competenza completa. Senza questo

errore di valutazione i nostri linguisti non assumerebbero il tono paternalistico di specialisti che conoscono a fondo la materia; non elargirebbero giudizi e consigli, mai controllati sul campo, a una persona della cui competenza nessuno dubita.

Infine la questione posta da diversi interroganti è una sola: “ho viaggiato in molti paesi . e dovunque le mie permanenze sono state allietate da persone con le quali ho parlato in esperanto. Come mai voi linguisti dite il contrario di quel che dice la mia esperienza? “ I linguisti non colgono la domanda. Nemmeno rispondono: “Non crediamo alle sue asserzioni”. Semplicemente le ignorano. Si limitano a ripetere compulsivamente : “L’esperanto è un’assurdità, l’esperanto non funziona, imparate l’inglese”. E’ il segno tipico di una rimozione ben riuscita, e dunque di un vero complesso.



D’altra parte non dimentichiamo che tutti gli otto linguisti sono di lingua materna inglese. Molte risposte rivelano la presenza sottostante di uno schema binario:

« inglese ↔ esperanto ». L’esperanto è sentito come un rivale, un nemico, un concorrente dell’ inglese, che minaccia di prenderne il posto. Il bisogno di presentarlo come pieno di mancanze e di errori può essere una maniera di difendere l’inglese. E’ noto che gli uomini si identificano con la propria lingua. Se io sono anglofono di nascita, difendere l’inglese è difendere me stesso. Dire o suggerire: “l’inglese è la lingua mondiale”, “ l’inglese è la lingua che non si può non sapere “, “l’inglese è una lingua incomparabilmente superiore all’esperanto, che presenta questi e questi e questi difetti “, equivale a dire “io sono importante”, “io sono il vincente “, “I am the best “ (io sono il migliore). Cadere in simile





tranello è un tratto umano. Chi non si è mai identificato con un ente (politico, sociale, religioso, sportivo, artistico, professionale ...) ritenuto superiore, scagli la prima pietra sui linguisti di “Ask-A-Linguist”.



L’esperanto è anche una lingua ritenuta giovane. Come tale può anche risvegliare, nel fondo inconscio della psiche, quei sentimenti che invadono uomini e donne di mezza età quando un rivale, forse più inesperto e meno saggio ma con la forza della giovinezza, minaccia di sostituirli nelle loro posizioni.



Naturalmente altre motivazioni possono intervenire in queste reazioni. Per esempio: se davvero l’esperanto si dimostra una lingua che funziona altrettanto bene come le altre, se mostra di non essere inferiore ad esse sotto alcun aspetto e di essere anzi più coerente e quindi più facile, allora sarei obbligato a rivedere tutta una serie di idee generalmente accettate dalla linguistica sull’ essenza stessa del fenomeno “lingua”. A nessuno piace dover mettere in discussione le proprie idee basilari, dato che si identifica con esse. Questo bisogno di conservare intatta la propria maniera di concepire le lingue potrebbe essere una delle cause per cui i linguisti interrogati sull’esperanto rispondono senza obiettività.



Infine un pensiero maturo richiederebbe che lo specialista si confronti apertamente con aspetti che invece preferisce eludere: “non so “, “non ho studiato il problema”, “non sono competente a rispondere”. Come ci si può aspettare che un linguista – tranne che sia un eroe o un santo – possa ammettere di essere incompetente in un campo che evidentemente appartiene alla scienza linguistica? E’più semplice e più comodo esiliare simili pensieri in un ripostiglio ben nascosto nella propria mente inconscia, e attribuirsi una competenza che obiettivamente non si ha.