In occasione delle prossime elezioni (24/25 febbraio 2013) l'associazione LEND (www.lend.it) ha predisposto un documento sulla "Questione delle lingue nel sistema Italia".
«E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli» [...]«E non basta certo l’italiano, che nel mondo non conta nulla. Gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere. Dunque bisogna studiare molte lingue e tutte vive»
don Milani, Lettera ad una Professoressa
La questione delle lingue nel sistema Italia
La competenza linguistica è una delle competenze chiave per il cittadino, elemento fondante di integrazione e risorsa del sistema economico di qualsiasi Paese.
L’Italia presenta una “questione delle lingue” come registrato dalle conclusioni del Progetto EU Language Rich Europe:
“L’indagine conferma che la società italiana, in tutte le sue espressioni, vive una generale ‘questione delle lingue straniere’, [dove], è scarsa la competenza nelle lingue straniere, da quelle di grande diffusione internazionale, a quelle meno diffuse, ma ugualmente importanti per la presenza di suoi parlanti nel territorio, per il loro legame con l’Italia e per fare affari nei mercati emergenti. La causa va ricercata innanzitutto nel monolinguismo che è stato una delle caratteristiche distintive della politica linguistica e educativa dopo l’unificazione italiana e che è stato sostenuto da un rifiuto generale per le lingue degli altri. Secondariamente, è il risultato dell’inefficacia dell’azione istituzionale messa in atto dal nostro Stato, e caratterizzata dalla inadeguatezza delle risorse, dell’organizzazione, di formazione per i docenti, così come dalla mancanza di collegamenti sistemici con il mondo delle imprese. A scuola l’attenzione è solo centrata sull’inglese, che – peraltro – è insegnato in un contesto di limitatezza di risorse che rende spesso inefficace ogni sia pur volenteroso sforzo dei singoli docenti o delle singole scuole. Ancora oggi i giovani che terminano il nostro sistema scolastico sono caratterizzati nella assoluta maggioranza dei casi dalla ‘conoscenza scolastica’ di una lingua straniera e tale espressione è un eufemismo, un modo velato per alludere direttamente alla mancanza di competenza. Le lingue immigrate presenti oggi in Italia costituiscono un fattore di neo-plurilinguismo che potrebbe potenzialmente contribuire a ridurre la paura della diversità linguistica nel nostro Paese, ma questa opportunità non è tuttora considerata.”1
lend - lingua e nuova didattica, associazione professionale riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione con riconoscimenti sia nazionali che europei per gli studi e le ricerche sulle problematiche relative all’insegnamento/apprendimento delle lingue e dell’educazione linguistica, chiede alla politica di non considerare la questione delle lingue una questione di politica educativa soltanto. Si tratta, infatti, di una problematica trasversale a diversi ambiti di intervento che vanno dall’economia alla cultura alle politiche per l’integrazione.
La questione delle lingue è oggi al centro della società italiana, prima ancora che della scuola, perché la lingua è, oggi più che mai, fattore costitutivo di una società di uomini uguali. Solo la Scuola Pubblica è in grado di garantire un’educazione linguistica realmente democratica che riesce ad eliminare - in linea con la nostra Costituzione – tutti “gli ostacoli di ordine economico e sociale” che impediscono una effettiva parità tra le persone.
In Italia, invece,
a) si insegna una sola lingua comunitaria/straniera (l’inglese) per 13 anni, dall’inizio della primaria alla fine della secondaria di II grado;
b) la seconda lingua straniera è presente nella scuola secondaria di I grado, ma le scuole hanno la possibilità, sulla base delle richieste delle famiglie, di destinare le due ore di seconda lingua al potenziamento dell’inglese;
c) nella secondaria di II grado, la seconda lingua straniera non è presente nei percorsi liceali - a parte i licei con sperimentazione Esabac o i licei internazionali . Una terza lingua straniera è prevista nel Liceo Linguistico, in uno dei due indirizzi del Liceo delle Scienze Umane, negli indirizzi tecnici - ad indirizzo economico - e in qualche indirizzo professionale.
Di fatto, lo spazio riservato all’insegnamento/apprendimento della lingua straniera è talmente ridotto da indurci a credere che le competenze linguistiche dei nostri studenti saranno sempre meno significative rispetto a quelle dei loro coetanei sui mercati mondiali.
Intanto, gli studi internazionali dimostrano che
- si sta sui mercati globali solo se si posseggono competenze in più lingue;
- la capacità di innovare e l’apertura internazionale possono diventare per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese che costituiscono ancora l’asse portante del nostro tessuto produttivo, il mezzo per superare la grave crisi economica che sta colpendo anche il nostro Paese;
- “un notevole numero di PMI europee ogni anno perde opportunità di lavoro come diretta conseguenza della mancanza di competenze linguistiche e interculturali. Anche se sembra certo che la lingua inglese manterrà un ruolo leader come lingua mondiale degli affari, sono le altre lingue a fare la differenza tra la normalità e l’eccellenza e a fornire un vantaggio a livello di concorrenza.”2
Le PROPOSTE di lend per un'educazione linguistica integrata europea
In quest’ottica, lend - lingua e nuova didattica - formula, in vista delle elezioni
politiche del 24/25 febbraio 2013, le seguenti proposte miranti a non allontanare ancora di più
l’Italia dalle politiche linguistiche europee:
1. Più lingue:
valorizzare la trasversalità dell’educazione linguistica - italiano, italiano L2, le altre
lingue e linguaggi, compresi i linguaggi delle discipline non linguistiche - condizione
necessaria per ogni altro apprendimento;
2. Più lingue e il più presto possibile:
incentivare l’insegnamento precoce delle lingue;
3. Due lingue per tutti oltre alla lingua di scolarizzazione:
garantire l’apprendimento di due lingue per tutti almeno fino a 16 anni;
4. Inglese sì, ma 13 anni di solo inglese fanno male all’inglese;
5. La formazione continua per i docenti:
promuovere la formazione continua per gli insegnanti di lingue, anche attraverso
percorsi di mobilità;
6. Una scuola europea e aperta al mondo:
internazionalizzare la scuola anche tramite accordi bilaterali con altri paesi;
7. La valutazione delle competenze linguistiche non è solo certificazione:
promuovere la valutazione, oltre alla certificazione, delle competenze linguistiche;
8. Servono più lingue per rilanciare l’economia:
promuovere la valorizzazione delle lingue nel mondo delle imprese, strumento chiave
per il successo nel mercato globale;
9. Più lingue in Europa:
far aderire l'Italia a organismi europei per la promozione delle lingue, come il Centro
Europeo per le Lingue Moderne di Graz;
10. Il multilinguismo come scelta di governo:
prevedere una delega ministeriale al multilinguismo che è tema trasversale all'economia,
alle politiche per l'integrazione e non solo all'educazione, ed è uno dei principi generali
su cui si basa la Costituzione italiana.
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Di seguito specifichiamo le ragioni delle precedenti proposte:
a. Le lingue si imparano a scuola.
E’ apparsa evidente, nelle (in)decisioni politiche degli ultimi anni, la volontà di limitare
l’apprendimento delle lingue a scuola per affidarlo sempre più ad iniziative e ad ambiti extrascolastici.
Occorre, invece, tornare a garantire a tutti, compresi gli studenti più vulnerabili, un accesso
equo ad un’educazione e ad una istruzione di qualità. Questa si caratterizza per l’acquisizione
di competenze, conoscenze, disposizioni e atteggiamenti, per la varietà delle esperienze di
apprendimento e attraverso la costruzione individuale e collettiva di identità culturali oggi
sempre più plurali. Queste componenti contribuiscono al successo degli studenti che la scuola
accoglie e a garantire loro pari opportunità, favoriscono l’inclusione e la coesione sociale,
formano alla cittadinanza democratica e contribuiscono alla costruzione di una società della
conoscenza.
Curricoli di educazione plurilingue e interculturale sono, nella società di oggi, indice di
un’educazione e di un’istruzione di qualità.
Occorre potenziare la presenza dell’apprendimento in più lingue nella scuola pubblica. Se
questo non avviene, le lingue potranno essere apprese solo da coloro che avranno i mezzi anche
economici per viaggiare o per fare esperienze all’esterno della scuola, ad esempio, in contesti di
apprendimento informale e non formale. Ma alla scuola nata dalla Costituzione verrebbe così
tolta la sua funzione sociale e democratica.
b. Lo studente, cittadino italiano, in uscita dalla scuola pubblica con limitate
competenze linguistiche parte con un evidente svantaggio rispetto ai suoi coetanei
europei.
Occorre ripensare al curricolo mettendo al centro un miglioramento delle competenze
linguistiche degli studenti nella lingua di scolarizzazione (italiano) e in almeno due lingue
straniere per tutti. Esse devono essere parte del curricolo obbligatorio fino al termine
dell’obbligo. Al termine del percorso dell'obbligo scolastico occorre garantire a tutti una
competenza pari almeno ad un livello B1 per la prima lingua e A2 per la seconda lingua prevista
dal curricolo.
Diventa fondamentale, in un’ottica di miglioramento delle competenze linguistiche, la
partecipazione del nostro Paese alle rilevazioni internazionali, in particolare, dell’indicatore
europeo delle competenze linguistiche nonché l’inserimento di almeno due lingue straniere
nelle prove INVALSI.
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c. Il docente non sarà artefice di alcun cambiamento reale senza un deciso impegno a
favore della sua formazione professionale.
La formazione intesa come diritto e come dovere deve essere
- sostenuta lungo tutto l’arco della vita professionale di un docente; la professione docente è
oggi, tra le poche in Italia, a non godere di strumenti e di risorse anche economiche destinate
in modo sistematico alla formazione continua;
- strumento di valutazione del merito del personale docente cui corrisponda una effettiva
prospettiva di carriera e di miglioramento professionale.
In particolare, per i docenti di lingua straniera, la formazione deve poter comprendere
significative esperienze di mobilità internazionale, deve essere di tipo linguistico e
metodologico-didattico al tempo stesso.
Si ritiene fondamentale per tutto il personale docente della scuola di ogni ordine e grado la
padronanza di una lingua straniera ad un livello almeno pari al grado B2 per poter accedere alla
professione.
d. Lingua, lingue, linguaggi sono indispensabili per realizzare una formazione di
educazione linguistica plurilingue.
La finalità essenziale dell’apprendimento delle lingue straniere è l’educazione plurilingue e
interculturale la cui base è rappresentata dalla lingua di scolarizzazione (italiano). In
quest’ottica le Indicazioni Nazionali devono prevedere l’educazione plurilingue e interculturale
come esplicito obiettivo generale, considerando come un unico processo l’insieme degli
insegnamenti della lingua e in lingua (ivi compresa la lingua di scolarizzazione), incoraggiando
gli insegnanti a lavorare in stretta collaborazione e dando uguale importanza all’apertura alle
lingue e alle culture, alle competenze comunicative e (inter)culturali, all’autonomia
dell’apprendente e alle competenze trasversali.
Occorre (ri)pensare al ruolo della lingua inglese nel curricolo obbligatorio: fermo restando che
nessun curricolo può, oggi, prescindere da una sicura padronanza della lingua inglese, occorre
ripensare all’imposizione della lingua inglese nella scuola primaria e, in generale, a tutte le
conseguenze - non sempre positive - che un insegnamento così dilatato nel tempo di una sola
lingua ha sulla motivazione ad apprendere le lingue. Solo inglese per 13 anni fa male, in primo
luogo, all’inglese stesso.
e. L’insegnamento di discipline dette non linguistiche in lingua straniera
rappresenterebbe la grande novità in ambito linguistico dei progetti di riforma
dell’ultimo decennio.
Tuttavia, non è pensabile gestire la portata innovativa di questo progetto senza una adeguata
formazione linguistica oltre che didattico-metodologica dei docenti di disciplina non linguistica
cui viene oggi affidato l’insegnamento CLIL. A lungo termine, è importante che il sistema riesca
6
a formare docenti CLIL. Ma nel breve e nel medio periodo, a fronte di un piano di formazione
carente e del tutto inadeguato, perché sprovvisto di risorse e di linee guida chiare, occorre
recuperare il significato delle esperienze condotte in ambito CLIL da docenti di lingue straniere
e ammettere soluzioni in copresenza nelle classi del triennio del Liceo Linguistico e dell’ultimo
anno degli Istituti di Istruzione Secondaria di II grado. E’, inoltre, indispensabile estendere il
CLIL anche agli Istituti Professionali oltre che al primo ciclo e indicare la possibilità che il CLIL
possa essere svolto in qualsiasi classe.
f. Una scuola di qualità ha oggi un curricolo internazionale
Occorre che la scuola pubblica diventi un ambiente favorevole all'apprendimento in più lingue
per gli studenti che la frequentano e per tutti i cittadini di un territorio.
Un elemento su cui occorre puntare è l’apertura internazionale delle scuole, attraverso progetti
in ambito europeo e non solo. Alcune esperienze fatte in questi anni devono essere portate a
regime e allargate il più possibile. Si fa, qui, riferimento al progetto ESABAC, nato da un
accordo tra il governo italiano e il governo francese, che dà agli studenti inseriti in un percorso
di apprendimento della storia in lingua francese nel triennio della secondaria di II grado la
possibilità di ottenere due diversi diplomi (italiano e francese) al termine degli studi. Gli accordi
esistenti con la Germania e la Spagna per il liceo internazionale rispettivamente ad opzione
tedesca e spagnola devono essere estesi il più possibile anche ad altri Paesi.
g. La scuola è investimento per la crescita culturale ed economica del Paese.
Le valutazioni della Banca d’Italia e della Banca Mondiale, l’esperienza di altri Paesi, ci dicono
che non c’è investimento che crei maggiore PIL e ricchezza rispetto a quello in istruzione.
Occorre tornare a investire nella scuola e per la scuola.
I sacrifici e i tagli a cui la scuola pubblica è stata costretta dagli ultimi governi devono essere
recuperati subito.
h. Le imprese devono aumentare gli investimenti nella formazione linguistica del
personale.
Occorre farsi carico di elaborare strumenti perché si possano realizzare percorsi di formazione
linguistica all’interno delle imprese anche di quelle di piccole e medie dimensioni.
Le associazioni di categoria hanno studi ed esperienze che dimostrano il reale fabbisogno
linguistico in alcune aree e in alcuni settori economici del nostro Paese. Il mondo delle imprese e
il mondo della scuola devono poter scambiare informazioni su buone pratiche ed esperienze
positive.
Le istituzioni devono elaborare strumenti per incoraggiare le imprese a:
- raccogliere, sfruttare e sviluppare le competenze linguistiche di cui si dispone
- offrire stage professionali a studenti e lavoratori stranieri
- partecipare a scambi internazionali tra imprese
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- sfruttare le competenze linguistiche esistenti, incluse quelle dei lavoratori emigranti
- sostenere programmi di istruzione e di formazione che leghino lingue e impresa, in
collaborazione con scuole e università.
In conclusione, si auspica un’ attenzione politica che possa concretizzarsi nella previsione di
una delega al Multilinguismo trasversale all'economia, alle politiche per l'integrazione
all'educazione. Diversamente, l’Italia e il suo sistema sociale rimarranno fuori dal contesto
europeo civile ed economico e non parteciperanno allo sviluppo che altri Paesi, più accorti,
stanno sostenendo.
1 cf. Conclusioni progetto Language Rich Europe http://www.language-rich.eu/it/home/country-profiles/profiles-overview/italy.html
2 cf “Più Lingue Più Affari”, Le conoscenze linguistiche migliorano l’efficienza delle imprese. Raccomandazioni del Forum delle Imprese sul «E’ solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui. Che sia ricco o povero importa meno. Basta che parli» [...]«E non basta certo l’italiano, che nel mondo non conta nulla. Gli uomini hanno bisogno d’amarsi anche al di là delle frontiere. Dunque bisogna studiare molte lingue e tutte vive»
don Milani, Lettera ad una Professoressa
La questione delle lingue nel sistema Italia
La competenza linguistica è una delle competenze chiave per il cittadino, elemento fondante di integrazione e risorsa del sistema economico di qualsiasi Paese.
L’Italia presenta una “questione delle lingue” come registrato dalle conclusioni del Progetto EU Language Rich Europe:
“L’indagine conferma che la società italiana, in tutte le sue espressioni, vive una generale ‘questione delle lingue straniere’, [dove], è scarsa la competenza nelle lingue straniere, da quelle di grande diffusione internazionale, a quelle meno diffuse, ma ugualmente importanti per la presenza di suoi parlanti nel territorio, per il loro legame con l’Italia e per fare affari nei mercati emergenti. La causa va ricercata innanzitutto nel monolinguismo che è stato una delle caratteristiche distintive della politica linguistica e educativa dopo l’unificazione italiana e che è stato sostenuto da un rifiuto generale per le lingue degli altri. Secondariamente, è il risultato dell’inefficacia dell’azione istituzionale messa in atto dal nostro Stato, e caratterizzata dalla inadeguatezza delle risorse, dell’organizzazione, di formazione per i docenti, così come dalla mancanza di collegamenti sistemici con il mondo delle imprese. A scuola l’attenzione è solo centrata sull’inglese, che – peraltro – è insegnato in un contesto di limitatezza di risorse che rende spesso inefficace ogni sia pur volenteroso sforzo dei singoli docenti o delle singole scuole. Ancora oggi i giovani che terminano il nostro sistema scolastico sono caratterizzati nella assoluta maggioranza dei casi dalla ‘conoscenza scolastica’ di una lingua straniera e tale espressione è un eufemismo, un modo velato per alludere direttamente alla mancanza di competenza. Le lingue immigrate presenti oggi in Italia costituiscono un fattore di neo-plurilinguismo che potrebbe potenzialmente contribuire a ridurre la paura della diversità linguistica nel nostro Paese, ma questa opportunità non è tuttora considerata.”1
lend - lingua e nuova didattica, associazione professionale riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione con riconoscimenti sia nazionali che europei per gli studi e le ricerche sulle problematiche relative all’insegnamento/apprendimento delle lingue e dell’educazione linguistica, chiede alla politica di non considerare la questione delle lingue una questione di politica educativa soltanto. Si tratta, infatti, di una problematica trasversale a diversi ambiti di intervento che vanno dall’economia alla cultura alle politiche per l’integrazione.
La questione delle lingue è oggi al centro della società italiana, prima ancora che della scuola, perché la lingua è, oggi più che mai, fattore costitutivo di una società di uomini uguali. Solo la Scuola Pubblica è in grado di garantire un’educazione linguistica realmente democratica che riesce ad eliminare - in linea con la nostra Costituzione – tutti “gli ostacoli di ordine economico e sociale” che impediscono una effettiva parità tra le persone.
In Italia, invece,
a) si insegna una sola lingua comunitaria/straniera (l’inglese) per 13 anni, dall’inizio della primaria alla fine della secondaria di II grado;
b) la seconda lingua straniera è presente nella scuola secondaria di I grado, ma le scuole hanno la possibilità, sulla base delle richieste delle famiglie, di destinare le due ore di seconda lingua al potenziamento dell’inglese;
c) nella secondaria di II grado, la seconda lingua straniera non è presente nei percorsi liceali - a parte i licei con sperimentazione Esabac o i licei internazionali . Una terza lingua straniera è prevista nel Liceo Linguistico, in uno dei due indirizzi del Liceo delle Scienze Umane, negli indirizzi tecnici - ad indirizzo economico - e in qualche indirizzo professionale.
Di fatto, lo spazio riservato all’insegnamento/apprendimento della lingua straniera è talmente ridotto da indurci a credere che le competenze linguistiche dei nostri studenti saranno sempre meno significative rispetto a quelle dei loro coetanei sui mercati mondiali.
Intanto, gli studi internazionali dimostrano che
- si sta sui mercati globali solo se si posseggono competenze in più lingue;
- la capacità di innovare e l’apertura internazionale possono diventare per le imprese, soprattutto per le piccole e medie imprese che costituiscono ancora l’asse portante del nostro tessuto produttivo, il mezzo per superare la grave crisi economica che sta colpendo anche il nostro Paese;
- “un notevole numero di PMI europee ogni anno perde opportunità di lavoro come diretta conseguenza della mancanza di competenze linguistiche e interculturali. Anche se sembra certo che la lingua inglese manterrà un ruolo leader come lingua mondiale degli affari, sono le altre lingue a fare la differenza tra la normalità e l’eccellenza e a fornire un vantaggio a livello di concorrenza.”2
Le PROPOSTE di lend per un'educazione linguistica integrata europea
In quest’ottica, lend - lingua e nuova didattica - formula, in vista delle elezioni politiche del 24/25 febbraio 2013, le seguenti proposte miranti a non allontanare ancora di più l’Italia dalle politiche linguistiche europee:
1. Più lingue:
valorizzare la trasversalità dell’educazione linguistica - italiano, italiano L2, le altre lingue e linguaggi, compresi i linguaggi delle discipline non linguistiche - condizione necessaria per ogni altro apprendimento;
2. Più lingue e il più presto possibile:
incentivare l’insegnamento precoce delle lingue;
3. Due lingue per tutti oltre alla lingua di scolarizzazione:
garantire l’apprendimento di due lingue per tutti almeno fino a 16 anni;
4. Inglese sì, ma 13 anni di solo inglese fanno male all’inglese;
5. La formazione continua per i docenti:
promuovere la formazione continua per gli insegnanti di lingue, anche attraverso percorsi di mobilità;
6. Una scuola europea e aperta al mondo:
internazionalizzare la scuola anche tramite accordi bilaterali con altri paesi;
7. La valutazione delle competenze linguistiche non è solo certificazione:
promuovere la valutazione, oltre alla certificazione, delle competenze linguistiche;
8. Servono più lingue per rilanciare l’economia:
promuovere la valorizzazione delle lingue nel mondo delle imprese, strumento chiave per il successo nel mercato globale;
9. Più lingue in Europa:
far aderire l'Italia a organismi europei per la promozione delle lingue, come il Centro Europeo per le Lingue Moderne di Graz;
10. Il multilinguismo come scelta di governo:
prevedere una delega ministeriale al multilinguismo che è tema trasversale all'economia, alle politiche per l'integrazione e non solo all'educazione, ed è uno dei principi generali
su cui si basa la Costituzione italiana.
Di seguito specifichiamo le ragioni delle precedenti proposte:
a. Le lingue si imparano a scuola.
E’ apparsa evidente, nelle (in)decisioni politiche degli ultimi anni, la volontà di limitare l’apprendimento delle lingue a scuola per affidarlo sempre più ad iniziative e ad ambiti extrascolastici.
Occorre, invece, tornare a garantire a tutti, compresi gli studenti più vulnerabili, un accesso equo ad un’educazione e ad una istruzione di qualità. Questa si caratterizza per l’acquisizione di competenze, conoscenze, disposizioni e atteggiamenti, per la varietà delle esperienze di apprendimento e attraverso la costruzione individuale e collettiva di identità culturali oggi sempre più plurali. Queste componenti contribuiscono al successo degli studenti che la scuola accoglie e a garantire loro pari opportunità, favoriscono l’inclusione e la coesione sociale, formano alla cittadinanza democratica e contribuiscono alla costruzione di una società della conoscenza.
Curricoli di educazione plurilingue e interculturale sono, nella società di oggi, indice di un’educazione e di un’istruzione di qualità.
Occorre potenziare la presenza dell’apprendimento in più lingue nella scuola pubblica. Se questo non avviene, le lingue potranno essere apprese solo da coloro che avranno i mezzi anche economici per viaggiare o per fare esperienze all’esterno della scuola, ad esempio, in contesti di apprendimento informale e non formale. Ma alla scuola nata dalla Costituzione verrebbe così tolta la sua funzione sociale e democratica.
b. Lo studente, cittadino italiano, in uscita dalla scuola pubblica con limitate competenze linguistiche parte con un evidente svantaggio rispetto ai suoi coetanei europei.
Occorre ripensare al curricolo mettendo al centro un miglioramento delle competenze linguistiche degli studenti nella lingua di scolarizzazione (italiano) e in almeno due lingue straniere per tutti. Esse devono essere parte del curricolo obbligatorio fino al termine dell’obbligo. Al termine del percorso dell'obbligo scolastico occorre garantire a tutti una competenza pari almeno ad un livello B1 per la prima lingua e A2 per la seconda lingua prevista dal curricolo.
Diventa fondamentale, in un’ottica di miglioramento delle competenze linguistiche, la partecipazione del nostro Paese alle rilevazioni internazionali, in particolare, dell’indicatore europeo delle competenze linguistiche nonché l’inserimento di almeno due lingue straniere nelle prove INVALSI.
c. Il docente non sarà artefice di alcun cambiamento reale senza un deciso impegno a favore della sua formazione professionale.
La formazione intesa come diritto e come dovere deve essere
- sostenuta lungo tutto l’arco della vita professionale di un docente; la professione docente è oggi, tra le poche in Italia, a non godere di strumenti e di risorse anche economiche destinate in modo sistematico alla formazione continua;
- strumento di valutazione del merito del personale docente cui corrisponda una effettiva prospettiva di carriera e di miglioramento professionale.
In particolare, per i docenti di lingua straniera, la formazione deve poter comprendere significative esperienze di mobilità internazionale, deve essere di tipo linguistico e metodologico-didattico al tempo stesso.
Si ritiene fondamentale per tutto il personale docente della scuola di ogni ordine e grado la padronanza di una lingua straniera ad un livello almeno pari al grado B2 per poter accedere alla professione.
d. Lingua, lingue, linguaggi sono indispensabili per realizzare una formazione di educazione linguistica plurilingue.
La finalità essenziale dell’apprendimento delle lingue straniere è l’educazione plurilingue e interculturale la cui base è rappresentata dalla lingua di scolarizzazione (italiano). In quest’ottica le Indicazioni Nazionali devono prevedere l’educazione plurilingue e interculturale come esplicito obiettivo generale, considerando come un unico processo l’insieme degli insegnamenti della lingua e in lingua (ivi compresa la lingua di scolarizzazione), incoraggiando gli insegnanti a lavorare in stretta collaborazione e dando uguale importanza all’apertura alle lingue e alle culture, alle competenze comunicative e (inter)culturali, all’autonomia dell’apprendente e alle competenze trasversali.
Occorre (ri)pensare al ruolo della lingua inglese nel curricolo obbligatorio: fermo restando che nessun curricolo può, oggi, prescindere da una sicura padronanza della lingua inglese, occorre ripensare all’imposizione della lingua inglese nella scuola primaria e, in generale, a tutte le conseguenze - non sempre positive - che un insegnamento così dilatato nel tempo di una sola lingua ha sulla motivazione ad apprendere le lingue. Solo inglese per 13 anni fa male, in primo luogo, all’inglese stesso.
e. L’insegnamento di discipline dette non linguistiche in lingua straniera rappresenterebbe la grande novità in ambito linguistico dei progetti di riforma dell’ultimo decennio.
Tuttavia, non è pensabile gestire la portata innovativa di questo progetto senza una adeguata formazione linguistica oltre che didattico-metodologica dei docenti di disciplina non linguistica cui viene oggi affidato l’insegnamento CLIL. A lungo termine, è importante che il sistema riesca a formare docenti CLIL. Ma nel breve e nel medio periodo, a fronte di un piano di formazione carente e del tutto inadeguato, perché sprovvisto di risorse e di linee guida chiare, occorre recuperare il significato delle esperienze condotte in ambito CLIL da docenti di lingue straniere e ammettere soluzioni in copresenza nelle classi del triennio del Liceo Linguistico e dell’ultimo anno degli Istituti di Istruzione Secondaria di II grado. E’, inoltre, indispensabile estendere il CLIL anche agli Istituti Professionali oltre che al primo ciclo e indicare la possibilità che il CLIL possa essere svolto in qualsiasi classe.
f. Una scuola di qualità ha oggi un curricolo internazionale
Occorre che la scuola pubblica diventi un ambiente favorevole all'apprendimento in più lingue per gli studenti che la frequentano e per tutti i cittadini di un territorio.
Un elemento su cui occorre puntare è l’apertura internazionale delle scuole, attraverso progetti in ambito europeo e non solo. Alcune esperienze fatte in questi anni devono essere portate a regime e allargate il più possibile. Si fa, qui, riferimento al progetto ESABAC, nato da un accordo tra il governo italiano e il governo francese, che dà agli studenti inseriti in un percorso di apprendimento della storia in lingua francese nel triennio della secondaria di II grado la possibilità di ottenere due diversi diplomi (italiano e francese) al termine degli studi. Gli accordi esistenti con la Germania e la Spagna per il liceo internazionale rispettivamente ad opzione tedesca e spagnola devono essere estesi il più possibile anche ad altri Paesi.
g. La scuola è investimento per la crescita culturale ed economica del Paese.
Le valutazioni della Banca d’Italia e della Banca Mondiale, l’esperienza di altri Paesi, ci dicono che non c’è investimento che crei maggiore PIL e ricchezza rispetto a quello in istruzione. Occorre tornare a investire nella scuola e per la scuola.
I sacrifici e i tagli a cui la scuola pubblica è stata costretta dagli ultimi governi devono essere recuperati subito.
h. Le imprese devono aumentare gli investimenti nella formazione linguistica del personale.
Occorre farsi carico di elaborare strumenti perché si possano realizzare percorsi di formazione linguistica all’interno delle imprese anche di quelle di piccole e medie dimensioni.
Le associazioni di categoria hanno studi ed esperienze che dimostrano il reale fabbisogno linguistico in alcune aree e in alcuni settori economici del nostro Paese. Il mondo delle imprese e il mondo della scuola devono poter scambiare informazioni su buone pratiche ed esperienze positive.
Le istituzioni devono elaborare strumenti per incoraggiare le imprese a:
- raccogliere, sfruttare e sviluppare le competenze linguistiche di cui si dispone
- offrire stage professionali a studenti e lavoratori stranieri
- partecipare a scambi internazionali tra imprese
- sfruttare le competenze linguistiche esistenti, incluse quelle dei lavoratori emigranti
- sostenere programmi di istruzione e di formazione che leghino lingue e impresa, in
collaborazione con scuole e università.
In conclusione, si auspica un’ attenzione politica che possa concretizzarsi nella previsione di una delega al Multilinguismo trasversale all'economia, alle politiche per l'integrazione all'educazione. Diversamente, l’Italia e il suo sistema sociale rimarranno fuori dal contesto europeo civile ed economico e non parteciperanno allo sviluppo che altri Paesi, più accorti, stanno sostenendo.
1 cf. Conclusioni progetto Language Rich Europe http://www.language-rich.eu/it/home/country-profiles/profiles-overview/italy.html
2 cf “Più Lingue Più Affari”, Le conoscenze linguistiche migliorano l’efficienza delle imprese. Raccomandazioni del Forum delle Imprese sul Multilinguismo a cura della Commissione europea, 2008
Documento originale: questione delle lingue nel sistema Italia