Renato Corsetti

Il Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile (2005-2014) delle Nazioni Unite e dell’Unesco: occasione unica per l’umanità. La minaccia alla molteplicità culturale e linguistica.

Che il pianeta sia a rischio lo hanno capito tutti, anche i bambini che non trovano più pesciolini nei ruscelli italiani o passeri nelle campagne intorno alle città. Sembra che non lo vogliano capire solo coloro che hanno più contribuito a ridurre il pianeta com’è oggi: i grandi utilizzatori di risorse proprie ed altrui alla faccia delle generazioni future. Non ho fatto nomi. Fateli voi, se vi vengono in mente.

Le anime buone della comunità internazionale, da decenni dichiarano, denunciano, si appellano, provano, insomma, a fare qualcosa. Già da alcuni anni sono arrivate alla conclusione che ci sia un aspetto culturale in tutto questo grande consumare, e da qui è nato il Decennio dell’Educazione allo Sviluppo sostenibile, che trova origine in una proposta formulata in occasione del Vertice Mondiale di Johannesburg, che nel 2002 ha richiamato l’attenzione della comunità internazionale sul ruolo fondamentale che l’educazione riveste nel percorso individuale e collettivo verso lo sviluppo sostenibile. La stretto legame tra educazione e sviluppo sostenibile era stato in realtà gia affermato con forza dieci anni prima in occasione del Vertice della Terra di Rio de Janeiro, ma a Johannesburg il concetto assunse una colorazione nuova proprio in ragione del fatto che fu la nozione stessa di sviluppo sostenibile ad ampliarsi, estendendosi ad aspetti umani e sociali quali l’equità sociale, la lotta alla povertà, la tutela dei diritti umani, etc... Aspetti che vanno a integrare quelli più tipicamente ambientali e a interconnettersi con essi, nella prospettiva di una migliore qualità della vita per tutti.

Il Decennio dell’Educazione allo Sviluppo Sostenibile, promosso per il periodo 2005-2014, vede in primo piano tra gli attori l’Unesco, attivamente impegnato in una campagna volta a diffondere la “cultura della sostenibilità”. Quali le azioni da intraprendere per dare concretezza al Decennio? L’Unesco ha sottolineato sin dal primo momento quanto segue:- è importante di attivare partenariati a tutti i livelli e chiamare alla collaborazione tutti i soggetti interessati, istituzionali e non, sottolineando in particolare il ruolo delle rappresentanze della società civile, del settore privato, dei media, delle istituzioni, e della ricerca.

Educare alla sostenibilità non vuol dire, quindi, trasmettere passivamente nozioni, ma stimolare il pensiero critico, il senso dell’incertezza e del limite riferito agli effetti del nostro agire quotidiano, indurre il senso di collettività e responsabilità nei confronti del mondo in cui viviamo.

Anche in Italia si è attivata la Commissione Nazionale Italiana (Cni) per l’Unesco, ed è stato elaborato un programma d’azione, che indica alcuni punti d’impegno che possono risultare rafforzati dall’apporto di tutti. Testimonial d’eccezione della campagna è il Premio Nobel Rita Levi Montalcini.

Il nostro modo di vivere, di consumare, di comportarsi, decide la velocità del degrado. La velocità con la quale viene dissipata l'energia utile e il periodo di sopravvivenza della specie umana. Si arriva così alla sostenibilità, intesa come l'insieme di relazioni tra le attività umane, la loro dinamica e la biosfera che ha delle dinamiche generalmente più lente. Queste relazioni devono essere tali di permettere alla vita umana di continuare, agli individui di soddisfare le loro necessità e alle diverse culture umane di svilupparsi, ma in modo tale che le variazioni apportate alla natura dalle attività umane stiano entro certi limiti così da non da non distruggere il contesto biofisico globale. Se riusciremo ad arrivare a un'economia da equilibrio sostenibile, le future generazioni potranno avere almeno le stesse opportunità che la nostra generazione ha avuto. La costruzione di uno sviluppo sostenibile e la pace si conquistano soltanto con la giustizia nell'uso dei beni della Terra, unica nostra casa comune nello spazio, con una giustizia planetaria per un uomo planetario,[Ernesto Balducci]. Senza giustizia nell'uso dei beni comuni della casa comune, del pianeta Terra, non ci sarà mai pace'.

Le risorse culturali come le risorse fisiche

Quello che è vero per le risorse fisiche è vero, sostiene l’Unesco, anche per le culture. L’attuale sistema porta alla sparizione progressiva di tutte le culture a vantaggio solo di quelle più forti. Anche in questo campo l’Unesco ha elaborato rapporti su rapporti. Negli ultimi anni i rapporti elaborati dagli esperti dell’Unesco hanno sempre più denunciato la scomparsa delle lingue, come indice di questo genocidio silenzioso a livello mondiale.

Ci sono, infatti, chiari parallelismi tra le tematiche linguistiche e quelle ecologiche: attualmente esistono gravi minacce sia alla biodiversità che alla molteplicità culturale e linguistica, cioè contemporaneamente vengono ridotte sia le specie vegetali ed animali ed anche le lingue e le culture dell'uomo. Così come nei secoli abbiamo assistito alla scomparsa - o minacciata scomparsa - di innumerevoli specie animali e vegetali, così al momentoattuale sono - secondo dati dell'Unesco (www.unesco.org) almeno 3000 delle6000 lingue ricosciute nel mondo sono in grave pericolo di estinzione. L'attuale maggior potere a livello mondiale di una sola lingua ha effetti economici, sociali ed educativi preoccupanti per l'evidente supremazia diun gruppo di nazioni e per la scomparsa di molte culture e lingue che non appartengono a quelle nazioni.

Di questi temi si è occupato il 91° Congresso Mondiale di Esperanto, riunitosi a Firenze agli inizi di agosto con 2209 partecipanti da 62 nazioni, che hanno dibattuto il tema del ruolo della lingua e della cultura per uno sviluppo sostenibile ed il possibile ruolo della lingua internazionale esperanto in questo campo. L’adesione della Associazione Mondiale di Esperanto a questi temi apporta una notevole spinta, in quanto i suoi soci sono diffusi in tutti i paesi del mondo e quindi la risonanza è globale, dal Cile alla Cina.

Il Congresso, comunque, ha chiesto alle organizzazioni internazionali, con cui da annni il movimento per l’esperanto collabora, come l'Unesco e le Nazioni Unite, ai singoli governi dei paesi economicamente evoluti ed alle organizzazioni ambientaliste di cominciare a considerare seriamente lo stretto legame tra la diversita' culturale e linguistica e le problematiche ecologiche. In altre parole, dicono i parlanti di esperanto, l'appiattimento linguistico-culturale su una sola lingua ed una sola cultura e' la premessa per un mondo in cui la diversita' scompare e lo sviluppo dei paesi non predominanti è piu' difficile e piu' costoso.

Gli sforzi del movimento esperantista per il raggiungimento di una democrazia linguistica sono coerenti con i valori di una educazione transnazionale mirata a rendere i cittadini attivi ed informati e, quindi, capaci di comprendere criticamente se stessi ed il mondo circostante in modo da poter partecipare al processo di sviluppo in modo responsabile e solidale.

Anche l’esperanto potrebbe contribuire

D’altro canto l’utilizzo di una lingua poco costosa in termini di risorse necessarie per l’insegnamento e l’apprendimento puo’ rendere molto più facile e più sostenibile lo sviluppo in molti paesi che oggi spendono miliardi di euro per insegnare lingue straniere come l’inglese con l’unica conseguenza di rendere la loro industria culturale solo tributaria di quella americana ed incapace di produrre idee nuove. I miliardi spesi sono tanti. Il prof. Grin dell’universita’ di Ginevra, dice che se, la Francia – ma lo stesso vale anche per l’Italia, abbandonasse l’idea fissa di insegnare l’inglese a tutti, e passasse ad un regime di reale multilinguismo con l’insegnamento delle lingue dei paesi vicini più l’espernato, risparmierebbe circa 17 miliardi di euro all’anno. Quanto basta per costruire un ponte sullo stretto di Messina all’anno.

E’ nell’interesse anche delle associazioni che difendono le lingue nazionali, come l’italiana Allarme Lingua, o la Lega Europea delle Lingue, in via di definizione sotto la spinta della Verein Deutsche Sprache, aderire al decenno dell’Unesco e trovare il modo di contribuire all’abbattimento del solco del “great English divide” che separa i “parlanti” dai “barbars”, e allo sviluppo di una nuova civiltà del capire e farsi capire oltre che come diritto-dovere sempre più come condivisione consapevole della comunicazione su un piede di parità. E’ uno dei diritti dell’uomo ancora da riconoscere il diritto a parlare, capire e farsi capire indipendentemente dalla sua lingua materna. Gli uomini nascono uguali, dicono molte dichiarazioni fondamentali, ma l’inglese, o qualsiasi altra lingua dominante, li rende ineguali.

Renato Corsetti, La Sapienza Roma, presidente dell’UEA (ass.mondiale di esperanto) e membro del Consiglio Scientifico dell’ass. Allarme Lingua