CE sorprendente osservare quanto spesso fra gli esperantisti (come testimoniano gli echi che ne appa-iono sulla nostra stampa) ancora permangano dubbi sul reale valore della proposta dell'Esperanto come lingua internazionale. Vediamo dunque di riassume-re ancora una volta le nostre ragioni.
Una contraddizione e le sue conseguenze. Usare una lingua nazionale nelle relazioni internazionali, cioè usare una lingua nazionale come se fosse una lingua internazionale, significa evidentemente usare una con-traddizione in termini. Questa contraddizione non è priva di conseguenze negative. Sul piano sociolingui-stico, essa infatti presenta, fra l'altro, due gravi incon-venienti:
1. è discriminatoria;
2. è potenzialmente distruttiva.
L'uso di una lingua nazionale come lingua inter-nazionale è discriminatorio nei confronti di tutti quei popoli che non hanno tale lingua come propria lingua materna, e che quindi si vengono a trovare già in partenza in una posizione di svantaggio rispetto a chi, invece, l'ha avuta come tale. Viene così ad essere violato uno dei principi fondamentali della democrazia, cioè il diritto di ogni cittadino a non essere discriminato in base all'appartenenza a un determi-nato gruppo sociale (in questo caso, a un gruppo linguistico).
L'uso di una lingua nazionale come lingua inter-nazionale è poi potenzialmente distruttivo nei con-fronti di tutte le altre lingue nazionali. Ciò è accaduto col latino, col francese, col tedesco, col russo e sta accaden-do con l'inglese (che ha già quasi completamente distrutto p.es. il gaelico, lingua nazionale dell'Irlan-da): insomma gli esempi storici di questo fenomeno sono piuttosto numerosi, al punto che se ne potrebbe quasi dedurre una sorta di "legge" sociolinguistica:
.Quando come lingua internazionale (cioè come seconda lingua) si usa una lingua che è contemporaneamente usata come lingua nazionale (cioè come prima lingua, o lingua materna) da una grande e potente nazione, questa lingua tende ad essere usata come prima lingua anche dai cittadini delle altre nazioni. Non è difficile capire le ragioni di una tale tendenza. A spingere in questa direzione può essere lo snobismo (come nel caso della francofonia dell'ari-stocrazia russa del `700 e dei primi dell' `800), può essere l'opportunismo, che induce a schierarsi dalla parte del più forte, ma soprattutto è il desiderio, perfettamente comprensibile, di non essere discriminati rispetto a chi usa tale lingua come prima lingua, cioè come lingua materna: ecco perché tutti, prima o poi, sono portati a usarla come tale, ed ecco perché una tale lingua è per sua natura "glottofagica".
La prima delle due conseguenze negative, la discriminatorietà, è allora, come si vede, la causa fondamentale della seconda, cioè della glottofagia.
Nei rapporti internazionali non deve dunque esse-re usata una lingua nazionale: deve essere usata una lingua internazionale, e l'unica lingua internazionale che di fatto abbia mostrato di non aver nulla da invidiare, quanto a chiarezza, razionalità, funzionali-tà, capacità espressive ecc. alle lingue nazionali (se mai è vero il contrario), è l'Esperanto.
Perché l'Esperanto. L'Esperanto, d'altronde, ha in sé qualità tali che aiutano a comprendere il motivo della sua idoneità a fungere da lingua internazionale. Com'è noto, si suole dividere le lingue del mondo in tre grandi gruppi: isolanti, agglutinanti e flessive. La distinzione non è mai assoluta, poiché in realtà ogni lingua sembra presentare in maggiore o minore misu-ra tratti di tutti e tre i gruppi: tuttavia, l'Esperanto realizza quasi il miracolo di racchiuderli in sé in misura molto maggiore di ogni altra lingua, fino a costituire per certi aspetti come una sorta di sintesi delle caratteristiche dei tre gruppi. Se infatti tipico delle lingue isolanti è che in esse "la differenza fra significato e funzione... avviene... attraverso la giu-stapposizione di parole... dotate di significato, ma autonome e invariabili" (Devoto-015), come non vede-re nella struttura modulare della nostra lingua, nell'invariabilità e nell'autonomia semantica dei suoi mor-femi, una caratteristica che la avvicina a queste lin-gue? E se le lingue agglutinanti sono contraddistinte dal fatto che in esse "gli elementi radicali e quelli suffissali si allineano senza adattarsi né fondersi" (ibidem), non è proprio questo ciò che accade anche in Esperanto?
Mentre il fatto che alcuni morfemi vengano usati come desinenze, a indicare il singolare e il plurale, il nome e l'aggettivo, i tempi e i modi dei verbi ecc., così come il lessico dell'Esperanto (e questo è forse il suo limite), ci riconducono senza dubbio alla fisionomia propria delle lingue flessive.
Se le lingue nazionali devono morire, è meglio che muoiano nell'Esperanto! Alla luce delle considerazioni prece-denti, appare strano che alcuni esperantisti ancora si chiedano perché mai anche l'Esperanto, se adottato come lingua internazionale, non potrebbe finire col sopraffare e distruggere le lingue nazionali, proprio come farebbe una lingua nazionale usata internazio-nalmente. Intanto, possiamo osservare che, se per ipotesi ammettiamo che questo possa accadere, ciò sarebbe comunque meno grave dell'eventualità in cui tale distruzione avvenisse ad opera di una lingua nazionale: poiché nell'Esperanto sopravviverebbe comunque qualcosa di ognuna delle nostre lingue nazionali, mentre esse finirebbero con l'essere can-cellate praticamente del tutto dal sopravvento di una lingua nazionale che avesse usurpato il ruolo di lingua internazionale. Tuttavia, non è affatto probabile che l'Esperanto possa avere un simile effetto distruttivo.
L'Esperanto come garante della sopravvivenza delle lin-gue nazionali. Il motivo è semplice: se è vero, come abbiamo visto, che è la sua discriminatorietà a far sì che una lingua nazionale usata internazionalmente finisca per soppiantare le lingue nazionali, con l'ado-zione dell'Esperanto anche questo effetto deve veni-re a cessare. L'Esperanto infatti, che non è proprio di nessuna nazione, ma che tutti devono imparare come seconda lingua, non può avere un tale carattere discriminatorio, dunque neanche quell'effetto "glottofagico" che generalmente ha una lingua nazionale quando è usata come lingua internazionale. L'Espe-ranto sarebbe usato solo come seconda lingua nei rapporti internazionali, mentre all'interno della pro-pria nazione ognuno continuerebbe a usare la pro-pria lingua nazionale, con la sola eccezione delle famiglie i cui componenti siano di diversa nazionali-tà, nel cui ambito è perfettamente ragionevole che l'Esperanto sia usato come prima lingua.
Ché se poi queste famiglie dovessero aumentare straordinariamente di numero, i rapporti fra i popoli farsi sempre più stretti ecc., tali fenomeni delineereb-bero il configurarsi di una civiltà abbastanza diversa dalla nostra perché il problema della sopravvivenza delle lingue nazionali cessi di avere l'importanza che senza dubbio ha ancora attualmente. E di quella nuova civiltà l'Esperanto costituirebbe lo strumento linguistico più equo, equilibrato e democratico che l'umanità sia riuscita a costruire nel corso di tutta la sua storia.
Conclusione "glottopolitica". Le nazioni anglosassoni tendono a presentare sé stesse sulla scena mondiale come campioni e modelli di democrazia. Se esse quindi rinunceranno a imporci di fatto la loro lingua, se riconosceranno come "politicamente scorretto", fra gli altri, anche un simile comportamento, se, accogliendo le nostre richieste, si adatteranno a usare nei rapporti internazionali una lingua neutrale, daranno finalmente prova di essere amici della democrazia anche in campo linguistico, e potranno allontanare da sé il sospetto di nutrire quelle mire di "imperiali-smo culturale" di cui oggi forniscono a molti il pretesto di accusarle.