Gados Laszlo
PER IL MULTILINGUISMO
E PER LA COMUNICAZIONE PARITARIA
IN EUROPA

"La" lingua è la madrelingua

Forse desta un po' di perplessità porre domande al lettore sùbito all'inizio, ma riflettere un po' per dare delle risposte certamente potrà dimostrarsi cosa non priva di utilità.

Cosa pensate della vostra propria lingua madre? Ha importanza per voi nella vostra vita?

Se sì, perché è importante per voi?

Linguisti e poeti, seppure in forme diverse, spesso descrivono il ruolo sociale della lingua materna. Ecco come presenta l'importanza e il ruolo della lingua materna un eminente linguista ungherese:



"La" lingua per ciascuno di noi è la propria lingua materna, per mezzo della quale il microambiente sociale in cui ci troviamo ci ha innalzato dal mero stato di essere umano nato biologicamente allo stato di essere umano caratterizzato psichicamente, socializzato; - come? - dandoci un nostro proprio modo di vedere il mondo (una Weltanschauung), cioè maniere storicamente formatesi di vedere e di percepire; - a che scopo? - per metterci in grado di appropriarci in primo luogo dell'insieme di conoscenze della nostra comunità ristretta e poi di quelle della più vasta comunità dei parlanti della stessa lingua; e per metterci in grado di arricchire l'insieme di conoscenze del nostro ambiente con le nostre proprie conoscenze.

Così la lingua madre serve, direttamente e senza mediazioni, a rispecchiare la realtà e a metterla in comunicazione con i nostri sensi, sia per il singolo che per il microambiente sociale che la eredita, la usa e la sviluppa. In tal modo, sia per il singolo che per la comunità, essa significa anche identità.

La lingua, dunque, come strumento, e l'uso della lingua, come attività, sono in modo fondamentale e profondo determinati socialmente. Perciò i suoi mezzi e le sue regole dobbiamo conoscerli in tal grado e in tale maniera, da potere nel modo più preciso possibile comprendere e apprendere le conoscenze esistenti a arricchirle con le nostre. Quindi non è affatto indifferente, se ci comprendiamo l'un l'altro solo un po' oppure pienamente, se il nostro prodotto linguistico si mostrerà un semplice segno del bisogno di esprimerci oppure un fattore di informazione e di influenza sugli altri.1

Questa descrizione dal punto di vista del linguista ci informa concisamente del ruolo sociale della madrelingua, della sua importanza per il singolo; ma ci richiama anche al nostro dovere riguardo alla madrelingua di custodirla senza sosta, perché se la madrelingua s'impoverisce, con ciò diminuiscono le possibilità della comunità linguistica e anche le possibilità per i suoi componenti.

La madrelingua di ciascun popolo in qualche modo contiene e custodisce riferimenti alla storia di quella comunità linguistica. Ve ne diamo un piccolo esempio. Certamente noi possiamo capire alla lettera la frase "Una sola volta c'è stata a Buda la fiera dei cani!", se sappiamo che Buda è una parte di Budapest, ma anche che in questo caso si tratta della fortezza che sta all'interno di quella parte della città e che fu sede dei re ungheresi. Per la maggior parte degli ungheresi, però, tale frase significa qualcosa di più del suo significato letterale. Significa cioè: "Chi si comporta da egoista va incontro a un fiasco". Da dove ha avuto origine tale significato? Tra gli anni 1458 e 1490 regnò in Ungheria il re Mattia, che il popolo chiamava "il Giusto". Secondo gli aneddoti e i racconti popolari egli proteggeva i poveri contro i ricchi egoisti. Spesso, travestito, girava per il Paese per vedere la situazione. Una volta, durante uno dei suoi vagabondaggi, consigliò a un povero che era stato truffato da un ricco di comprare molti cani e di venire con lui a Buda, dove ci sarebbe stata una fiera dei cani. II povero fece così. Giunti alla reggia, il re ordinò ai cortigiani di comprare i cani pagandoli bene in monete d'oro. Poi ordinò al povero di tornare a casa e di far sapere a quel ricco che lo aveva truffato in qual modo si era procurato tante monete d'oro. Udita la storia il ricco vendette tutti i suoi beni e comprò moltissimi cani, con i quali andò a Buda. Ma le guardie lo cacciarono via dicendogli: una sola volta c'è stata a Buda la fiera dei cani!

Ora anche voi conoscete il senso figurato di tale frase. L'aneddoto si è tramandato per tradizione orale e in seguito è stato rielaborato nella letteratura scritta, è stato usato anche in libri di lettura scolastici e in tal modo, con l'aneddoto, si è tramandato, insieme alla lingua, anche il senso figurato della frase che lo conclude e che ne esprime la morale. Si può supporre che tale fenomeno esista in ogni lingua: ad alcune espressioni e frasi si attacca anche un senso figurato oltre a quello letterale. Ma dobbiamo anche osservare che ogni volta che un simile motivo originario, in un racconto che fa da sfondo, non viene più trasmesso, la stessa eredità linguistica s'impoverisce. Forse il senso figurato dell'espressione o della parola resta vivo ancora per un po' di tempo, ma poi anch'esso esce dall'uso. Dal punto di vista della salvaguardia del retaggio culturale non è affatto indifferente quello che i bambini, nel quadro della loro educazione, odono, leggono e vedono.

Tutte le lingue madri sono uguali

Nel mondo esistono moltissime lingue. Anche l'Europa ha parecchie decine di lingue. Ogni lingua, nella sua funzione di madrelingua, è importante e utile per la sua comunità linguistica. Le lingue, come lingue madri, svolgono tutte lo stesso ruolo; di conseguenza, le lingue hanno pari diritti e pari valore, indipendentemente dal fatto che la loro comunità linguistica sia piccola o grande. Gli appartenenti a una qualsiasi comunità linguistica hanno il diritto di vivere e svilupparsi usando la propria lingua madre. Naturalmente, nella struttura, nei mezzi per esprimere il mondo materiale e quello mentale, spirituale, le lingue si differenziano più o meno le une dalle altre. Il carattere della propria lingua madre è naturale per ciascuno, e le altre lingue sembrano più o meno strane, insolite, in effetti: straniere. Ma da ciò solamente persone non obiettive possono concludere che la loro lingua ha maggior valore delle altre lingue.

Fin dai tempi più antichi gruppi umani con lingue diverse hanno avuto contatti gli uni con gli altri. Naturalmente è stato sempre necessario che tra di essi avesse luogo una comunicazione linguistica con l'aiuto di persone che conoscevano le lingue dei gruppi umani che venivano in contatto. Durante gli ultimi secoli nella storia dell'umanità si sono manifestati e sviluppati dei processi a causa dei quali la conoscenza di lingue straniere è divenuta un bisogno per un numero sempre maggiore di persone. Pensiamo, da un lato, allo sviluppo tecnico nella sfera del traffico (navigazione a vapore, ferrovia, automobile, aeroplano) e alle telecomunicazioni, che facilitano i contatti personali e intellettuali tra persone distanti fra loro. Inoltre pensiamo alla diffusione della scienza; e all'espansione del commercio e del mercato e anche - e non all'ultimo posto - alla colonizzazione, mediante le armi.

Un fatto molte volte sperimentato e provato è che una definita comunità linguistica, in altre parole il suo Stato, essendo in qualche campo (scientifico, economico, diplomatico, militare) più forte, più efficiente di altri, usa la sua forza contro le altre comunità, e all'interno di tale processo diffonde anche la sua lingua. In parecchie lingue esiste un'espressione, un giro di parole che suggerisce che il potere favorisce la lingua e la lingua favorisce il potere (in italiano: chi nomina domina). Questo dunque significa che la diffusione di una lingua come lingua straniera aiuta a salvaguardare e rafforzare il potere. Quando una lingua etnica, la lingua di una certa nazione, viene maggiormente usata ed è di moda, ciò accade non perché tale lingua sia migliore, più efficace in confronto con le altre lingue, ma per la maggiore potenza della nazione (dello Stato), che ha tale lingua come lingua madre. Veramente si tratta di diversità di potere tra gruppi umani e non di differenze di efficacia tra le lingue. È anche un fatto che una lingua molto diffusa come lingua straniera influenza l'uso della madrelingua dei parlanti di altre lingue, e di conseguenza tali lingue ne soffrono danni più o meno rilevanti. Tale influenza, come si è constatato più sopra, indebolisce il ruolo di madrelingua delle lingue coinvolte e quindi le possibilità delle rispettive comunità linguistiche.

Possiamo constatare che cresce piuttosto rapidamente il bisogno che un sempre maggior numero di persone sia in grado di capirsi con persone di altra lingua madre, ma quanto più una lingua nazionale viene usata a livello internazionale, tanto più essa diventa una grande minaccia contro altre lingue, perché, fra l'altro, riduce il loro valore nel ruolo di lingua madre.

Esiste un rimedio o un metodo per evitare tale conseguenza? Esaminiamo dunque, concentrandoci solamente sul processo d'integrazione europea, quali risposte si possono dare. Quanto abbiamo finora trattato già ci autorizza a concludere che è necessario esaminare la situazione della lingua madre in relazione con l'apprendimento e l'uso delle lingue straniere.

Ma occorre comunicare oltre i confini

Il Trattato di Maastricht sull'Unione Europea ha dischiuso un'ampia gamma di possibilità per i cittadini degli Stati membri. I diritti correlati allo stato di cittadino europeo danno alle persone la possibilità di viaggiare, lavorare, vivere, abitare ovunque all'interno dell'Unione Europea, i confini del proprio Paese quindi quasi si allargano fino ai confini dell'Unione Europea. Ma per giovarsi veramente, a pieno, di tali diritti è necessario essere in grado di avere un'efficace comunicazione reciproca ovunque nell'Unione Europea. Naturalmente non è possibile impadronirsi di tutte le lingue e quindi tale bisogno può essere soddisfatto solamente qualora le persone abbiano oltre la propria lingua madre anche una stessa lingua di comunicazione. I diversi documenti delle istituzioni dell'Unione Europea sottolineano l'importanza dello studio delle lingue straniere.

Ma in tali documenti è rintracciabile una conclusione logica circa il bisogno di una lingua europea comune? No, qualcosa del genere non vi si trova affatto. Si insiste sullo studio di almeno due lingue straniere, senza stabilire quali. Tuttavia in diversi programmi lanciati da parte della Commissione Europea, per esempio nel programma "Socrates", si promette un sostegno speciale a coloro che vogliono studiare la lingua di un Paese vicino o una lingua meno usata. Ma guardiamo le statistiche per vedere la realtà! La maggior parte degli alunni e degli studenti studia come lingua straniera l'inglese, e la proporzione di chi la studia continua a crescere. Già sorge la domanda: dove porta tale processo e cosa ne conseguirà per le altre lingue che hanno il ruolo di madrelingua?

Le istituzioni dell'Unione Europea, dunque, finora non hanno preso una decisione circa una lingua europea comune, ma, a quanto pare, è la vita stessa che sta già decidendo, se consideriamo lo slancio propulsivo dell'inglese. Ma tale slancio verso la completa affermazione come lingua comune non è affatto conforme all'interesse dei cittadini europei.

L'epoca attuale è caratterizzata dalla cosiddetta globalizzazione. Diverse compagnie multinazionali allargano la loro azione nel mondo. Per esse non è vantaggioso nel mondo multilingue usare parecchi idiomi nell'organizzazione della loro attività, perciò poco per volta hanno ristretto l'uso delle varie lingue e attualmente usano quasi esclusivamente l'inglese. Quindi per essere assunti in una compagnia multinazionale si deve imparare e usare l'inglese. L'effetto che l'inglese ha sulle altre lingue ha un qualche interesse per le multinazionali? La messa in pericolo delle lingue sembra loro un tema degno di attenzione? No, niente affatto. Esse sono interessate solo all'allargamento del mercato e all'innalzamento dei profitti. Esse perseguono i loro interessi. Per esse sarebbe vantaggioso se il mondo diventasse più monocromatico e più monolingue. Gli interessi di quei popoli che vogliono salvaguardare il loro retaggio linguistico e culturale sono altri. Non hanno essi il diritto di perseguire i propri interessi?

Un processo simile a quello che si svolge nel campo del commercio ha luogo nel mondo della scienza e anche in quello di diverse organizzazioni internazionali: l'inglese diventa la sola lingua usata. Molti scienziati d'altra lingua ne soffrono, ma solo pochi riescono ad opporvisi.2

È noto che la diffusione dell'inglese dopo la seconda guerra mondiale è in relazione con un mutamento dei rapporti di potenza, con la potenza economica e militare degli USA. Quanto più si diffonde l'inglese, tanto meno le persone di lingua inglese sono propense a imparare e usare una lingua straniera, obbligando così gli altri, con tale comportamento, a imparare e usare l'inglese. Ha un certo ruolo, riguardo alla diffusione e al maggiore uso dell'inglese nelle riunioni internazionali, il fattore che la possibilità di stabilire contatti reciproci è maggiore mediante una lingua comune e che anche i costi della comunicazione sono minori per gli organizzatori, in tali circostanze.

Il danno che le comunità linguistiche di altre lingue ricevono da tale situazione è solo quello che le rispettive lingue ne vengono un po' alterate? No. Non è solo questo. L'Unione Europea è in concorrenza economica col Nord-America e anche col Giappone. Se in Europa importanti decisioni e documenti di carattere politico, economico, sociale ecc. vengono pubblicati in primo luogo (o forse solo esclusivamente!) in inglese, ne consegue che nel Nord-America la maggior parte della popolazione ha la possibilità linguistica di esserne informata subito, mentre in Europa la maggior parte della popolazione ha la possibilità linguistica di venirne informata solo tardi (o mai). Un Europeo, se non è di lingua inglese, in ogni caso se vuole essere informato deve pagare o per lo studio della lingua o per la traduzione. La situazione sarebbe più vantaggiosa per gli Europei, e sarebbe più giusta in generale, se fosse usata una lingua che non fosse madrelingua per nessun Paese, e insieme fosse acquisibile a minor costo. In tal caso, naturalmente, anche le persone di lingua inglese dovrebbero impararla. Queste mie frasi forse danno l'impressione che ci sia stato un qualche fraintendimento riguardo all'idea di una lingua che non sia lingua madre in nessun Paese. Torneremo su questo punto più avanti, per chiarire il concetto. Ma prima sarà utile esaminare alcune questioni circa l'apprendimento di lingue straniere.

Non tutti riescono a imparare bene una lingua straniera

Riguardo all'Unione Europea, quando si tratta dell'apprendimento di lingue straniere, sarebbe necessario precisare obiettivi, compiti, responsabilità più coerentemente di quanto sia stato fatto finora da parte delle istituzioni dell'Unione Europea. Di cosa si tratta precisamente?

Qui sopra abbiamo parlato del bisogno di una lingua comune considerando i diritti per i cittadini dell'Unione Europea. Ma il bisogno di una lingua comune è legato fortemente anche a necessità economiche. Se l'Unione Europea vuole veramente essere un concorrente di successo nel mercato mondiale, non sarà sufficiente la sola possibilità di libero movimento per la "forza lavoro", cioè per le persone, né basterà dir loro semplicemente "imparate le lingue straniere", lasciando la cura delle condizioni effettive e la direzione ai governi degli Stati membri. (A questo proposito i programmi stabiliti sinora dalla Commissione sono stati essenzialmente insignificanti, e sono serviti di fatto soprattutto, forse senza volerlo, allo studio dell'inglese?) Una riflessione coerente dovrebbe portare alla conclusione che per rafforzare la capacità concorrenziale dell'Unione Europea sarebbe necessaria anche una lingua comune.

Sembra del tutto evidente che dei fattori della capacità concorrenziale fanno parte non solo l'ordinamento giuridico omogeneo e la regolamentazione, la moneta comune, il libero movimento di capitali, merci, servizi e persone, ma anche il possesso di una lingua comune. Il ché sembra essere provato anche dalla continua diffusione dell'inglese. Ma se le istituzioni dell'Unione Europea trovano effettivamente importante la parità di diritti degli Stati membri e delle loro lingue, che è veramente di enorme importanza dal punto di vista della stabilità dell'integrazione, in tal caso dovrebbero rifiutare la conseguenza che una lingua nazionale (etnica) debba essere la lingua comune; dovrebbero cominciare a cercare una soluzione più adatta.

È anche evidente che, per diversi motivi, oltre a una lingua comune è senz'altro necessario anche l'ulteriore studio di una o più lingue straniere. Ma, mentre l'apprendimento di una lingua comune dev'essere conseguenza di un bisogno comunitario e di un interesse generale, la studio di altre lingue in tali circostanze è motivato da bisogni e interessi particolari.

Da tutto ciò consegue che circa le esigenze e le condizioni relative alla lingua comune le istituzioni dell'Unione dovrebbero prendere decisioni vincolanti, mentre la sfera d'azione circa le altre lingue resterebbe agli Stati membri. Ma contro l'avanzamento in tale direzione s'innalza ostinatamente un ostacolo: i detentori del potere considerano solamente le lingue nazionali quando si tratta della questione delle lingue. Di conseguenza, essi si dibattono in una trappola. Sebbene i processi e i compiti attuali (approfondire l'integrazione, allargare l'Unione Europea ecc.) rendono urgente la questione delle lingue, tuttavia le decisioni tardano, perché la maggior parte della classe politica trova la situazione troppo delicata.' Si può supporre il vero motivo: le istituzioni dell'Unione Europea hanno timore a dichiarare pubblicamente che - per la sua grande diffusione - deve essere appoggiata e sostenuta la lingua inglese, perché questo sarebbe contro il principio e l'esigenza, fissati in documenti fondamentali, dell'eguaglianza delle lingue; e sarebbe un passo pericoloso annullare tale principio. Si può rilevare che, mentre si continua a rinviare una decisione, intanto le istituzioni sempre più spesso preferiscono, quasi senza che ce se accorga, l'inglese alle altre lingue; quindi non di rado, quando le istituzioni dell'Unione Europea menzionano la parità di diritti delle lingue, si appalesa chiara l'ipocrisia della situazione.' Da questa trappola la classe politica potrebbe uscire, se fosse pronta a esaminare, sinceramente e senza pregiudizi, l'applicazione di una lingua non etnica, cosiddetta pianificata, nel ruolo di lingua comune, notando che una tale lingua praticamente è neutrale, che il suo uso non metterebbe in pericolo nessuna lingua nel ruolo di lingua materna.

C'è un altro punto di vista, che si deve prendere in considerazione quando si tratta della necessità generale della conoscenza delle lingue straniere. Perché nella decisione sugli obiettivi e le esigenze non si può trascurare di considerare le condizioni per un effettivo apprendimento di una lingua. L'autore di un articolo, pubblicato in una rivista specialistica 6, ha toccato tali condizioni, rispondendo alla frequente domanda se esista un particolare talento per le lingue. Egli ha affermato che non esiste, ma che, perché si riesca a imparare bene una lingua, è necessaria la compresenza di più condizioni. Non si sa se ci sia un legame diretto tra capacità intellettiva e capacità di imparare le lingue; è però un fatto che la maggior parte di coloro che studiano una lingua straniera acquisiscono la lingua prescelta, a livello più o meno elevato, solo a costo di fatica e sudore. Non si deve sottovalutare la difficoltà dell'apprendimento delle lingue. Tuttavia ogni persona normale è capace di acquisire a un livello abbastanza buono una o due lingue straniere, se ci sono opportune motivazioni, tempo, tenacia, strumenti di apprendimento e insegnanti, insomma se ci sono circostanze favorevoli. Tra una persona e l'altra, indubbiamente, ci sono differenze ed è indiscutibile che ci sono anche delle persone dotate di particolare talento per le lingue. Dunque, se si stabiliscono degli obiettivi per la popolazione dell'Unione Europea con validità generale, allora si dovrebbe esaminare, molto seriamente e su una vasta base, le possibilità della popolazione riguardo ai fattori sopra menzionati. Sembra che le decisioni sugli obiettivi nella sfera dell'apprendimento e dell'insegnamento delle lingue, lanciati da parte delle istituzioni dell'Unione Europea, si basino non sul risultato di ricerche su ampia scala, ma considerino principalmente solamente le possibilità di una élite transnazionale oppure siano solamente un bel sogno. Dunque, sarebbe un compito urgente mettere all'ordine del giorno delle istituzioni dell'Unione Europea la questione delle lingue, per preparare una soluzione più adeguata. In ciò si devono considerare le condizioni reali e anche le conseguenze linguistiche del futuro allargamento dell'Unione Europea.

Dal punto di vista della maggioranza dei cittadini dell'Unione Europea non è affatto indifferente quanti sacrifici sono necessari per acquisire un buon livello di conoscenza di una lingua. Tale questione non deve affatto essere indifferente non solo per gli individui ma anche per la comunità (e di conseguenza anche per le istituzioni che detengono il potere).

Esiste una lingua che si può imparare

Nella serie di riflessioni che precedono appare manifesto che nell'Unione Europea per vari motivi sarebbe necessaria una lingua comune, che non metta in pericolo le lingue etniche nel loro ruolo di lingue madri, e inoltre che sarebbe vantaggioso se tale lingua si potesse acquisire, come lingua straniera, in modo più facile, meno costoso di una delle lingue etniche. Esiste una lingua simile? Sì, esiste, il suo nome è Lingua Internazionale ovvero esperanto.

Come progetto di lingua, sulla base delle lingue europee, la elaborò e poi nel 1887 la pubblicò il dott. L. L. Zamenhof. Crebbe rapidamente il numero di coloro che l'avevano imparata e che la usavano. Nel 1905, in Francia, già ebbe luogo il primo congresso mondiale di esperanto. Da allora ogni anno, eccetto gli anni delle due guerre mondiali, si organizzò un congresso mondiale.

Dopo la prima guerra mondiale, nel 1920 alla Prima Assemblea della Lega delle Nazioni delegati di 11 Stati presentarono un progetto di risoluzione sull'introduzione dell'esperanto nell'insegnamento scolastico negli Stati membri. Per l'opposizione del delegato francese in quell'anno non venne presa una decisione sulla proposta. Nel 1921 per acquisire esperienze sull'esperanto Nitobe Inazó, vicesegretario generale della Lega delle Nazioni, prese parte a un congresso mondiale di esperanto nella città di Praga. Le sue esperienze furono molto favorevoli. Nello stesso anno delegati di 12 Stati di nuovo presentarono una proposta sull'insegnamento scolastico dell'esperanto. Si decise che il segretario generale organizzasse un'inchiesta sull'argomento e l'anno seguente presentasse una relazione sul risultato. Nel 1922 fu organizzata a Ginevra una Conferenza Internazionale sull'insegnamento dell'esperanto. Alla conferenza presero parte 16 rappresentanti ufficiali di ministeri di diversi stati e specialisti di 28 diversi Paesi. La risoluzione e il manifesto' della conferenza furono molto favorevoli all'esperanto; di conseguenza lo fu anche il rapporto del segretario capo della Lega delle Nazioni alla Terza Assemblea nel settembre 1922'. Il governo francese di allora, temendo la concorrenza dell'esperanto, attaccò fortemente la proposta a favore dell'esperanto, e alla fine ottenne che la Lega delle Nazioni non facesse alcuna risoluzione sull'insegnamento scolastico dell'esperanto. Queste e simili argomentazioni fanatiche e ingannevoli, usate dal delegato francese e dai suoi assistenti, si radicarono nella coscienza di certi gruppi intellettuali, quindi ancora oggi si possono udire argomentazioni molto simili per rifiutare l'esperanto. La diffusione di argomentazioni ingannevoli fu pure favorita dal fatto che anche per i regimi dittatoriali di diverso colore l'esperanto era pericoloso, quindi non gradito e persino da perseguitare.'.

Dopo la seconda guerra mondiale la Conferenza Generale dell'UNESCO due volte (1954, 1985) accettò delle risoluzioni sull'esperanto, nelle quali in primo luogo: "Si prende nota dei risultati raggiunti mediante l'esperanto nel campo degli scambi intellettuali mondiali e per l'avvicinamento dei popoli del mondo; (...) Si riconosce che tali risultati corrispondono alle finalità e agli ideali dell'Unesco"; e,dopo trentun anni, si riconfermava: "Ricordando, che l'esperanto nel frattempo ha fatto un considerevole progresso come strumento di comprensione fra i popoli e le culture di Paesi differenti, penetrando nella maggior parte delle regioni del mondo e nella maggior parte delle attività umane" e inoltre "Riconoscendo le grandi possibilità che l'esperanto rappresenta per la comprensione internazionale e la comunicazione tra popoli di nazionalità diverse" - in questo modo la Conferenza Generale esprimeva la propria opinione favorevole.

Il 10 settembre 1993 l'assemblea del PEN-Club internazionale ha riconosciuto all'esperanto il carattere di lingua letteraria e ha accettato come membro di pieno diritto il Centro PEN esperanto.

Sarebbe un grande errore credere che le constatazioni di autorevoli organizzazioni internazionali abbiano valore direttivo per certi politici detentori del potere. Rispondendo a coloro che in qualche modo hanno proposto di far studiare o di applicare l'esperanto, essi usano argomentazioni del tipo: all'esperanto "manca la ricchezza culturale e storica di una lingua naturale"; "la Commissione ritiene che l'uso di una lingua neutrale potrebbe condurre a una qualche perdita di tradizione e di identità" 10. "Sarebbe anche inopportuno obbligare all'uso dell'esperanto per le relazioni interstatali perché, sebbene tale lingua rispetti la lingua e la cultura di ciascuno, essa non possiede in alcun modo una tradizione culturale e non costituisce un attributo di attività culturali geograficamente definite"" "Per mancanza di tradizioni letteraria, storica e geografica paragonabili a quelle di una lingua classica o propria di un Paese, l'esperanto non può funzionare come le materie di studio iscritte nei programmi dei licei"12 "Come ho già detto, il nostro primo obiettivo è quello di portare l'Europa più vicino ai cittadini, e dubito che una lingua morta sarebbe un passo positivo in tale direzione"".

Prima di mettere sotto la lente d'ingrandimento le affermazioni di tale specie, dobbiamo ricordare che: UNESCO è il nome abbreviato della Organizzazione delle Nazioni Unite per l'Educazione, la Scienza e la Cultura. Dunque: per l'educazione, la scienza e la cultura. Il PEN-Club è un'organizzazione internazionale di scrittori, che può in modo del tutto attendibile giudicare il carattere culturale di questa o quella lingua. Cosa si deve dunque pensare delle menzionate enunciazioni di politici, confrontandole con le menzionate opinioni di organizzazioni internazionali?

Nell'anno 1996 gli esperantisti si riunirono a congresso, come nel 1921, a Praga, e ivi lanciarono un manifesto diretto a tutti i governi, le organizzazioni internazionali e le persone di buona volontà, nel quale presentano i propri obiettivi, invitando ogni singola organizzazione e ogni singola persona a collaborare. (Si veda a p. 22).

L'Europa: da colonizzatrice a colonia?

Per quale scopo si dovrebbe usare l'esperanto secondo le raccomandazioni dell'UNESCO? Perché divenga lingua madre al posto delle lingue nazionali (etniche)? No, niente affatto. Se si comincia a esaminare i pretesti sopra citati, è subito evidente che essi potrebbero essere giusti solamente nel caso che si raccomandasse l'esperanto per essere lingua madre al posto della lingua etnica di una qualche comunità linguistica. Le parole e le espressioni: "ricchezza culturale e storica, tradizione culturale, attività culturali geograficamente determinate, retaggio letterario, storico e geografico" ecc. sono adatte per caratterizzare lingue che hanno il ruolo di madrelingua e non quelle con un ruolo di lingua franca interetnica. Perché tuttavia vengono usate in quest'ultima relazione? Ecco la spiegazione.

Un recensore, recensendo un libro del famoso filosofo Jacques Derrida scriveva fra l'altro: "Il sistema francese della pubblica istruzione era molto opportuno per la politica coloniale, esso infatti contribuiva alla marginalizzazione delle lingue locali araba e berbera; tale sistema formava in tutti, in modo organizzato, la convinzione che tali lingue non si potessero usare. Nelle scuole coloniali della Francia rivoluzionaria nel nome dell'umanesimo universale si presupponeva che la lingua madre degli alunni di una scuola francese fosse il francese, proprio come accadeva nella Francia continentale per i piccoli provenzali o bretoni. Però non solo la lingua dell'insegnamento era "naturalmente" il francese, ma di tipo francese erano le lezioni stesse: si doveva imparare la geografia, la storia della Francia, proprio come al di là del mare, come se l'Algeria non fosse esistita".14

Un tale atteggiamento ha caratterizzato, naturalmente, non solo la politica della Francia, ma in generale la politica degli Stati conquistatori. Per spiegare per qual motivo fosse imposta la propria lingua ai conquistati, essi presentavano idee sulla grandiosità della loro lingua (sulla sua ricchezza culturale e storica, ecc.). In tal modo, con argomenti di questo genere, essi caratterizzavano la propria lingua di fronte alle lingue dei conquistati, e diventava per loro un'idea evidente, diventava parte della loro eredità intellettuale che una lingua nel ruolo di mediatore interetnico o una lingua internazionale si debba e possa giudicare previamente solamente sulla base di tali argomenti.

Coloro che ora sostengono con fervore l'inglese come lingua internazionale, si ricordino dell'argomentazione di quel famoso delegato francese alla Lega delle Nazioni, quando attaccava la proposta a favore dell'esperanto. Il delegato, Gabriel Hanotou, membro dell'Accademia di Francia, ex ministro degli esteri e storico, che nelle sue opere glorificava l'imperialismo francese, si rivolse con ira verso la raccomandazione. Senza che i delegati degli altri Paesi osassero ribattere, Hanotou eloquentemente chiedeva "onore" per la sua lingua, il francese, "che ha la sua storia, la sua bellezza, che è stata usata da grandissimi scrittori, che è conosciuta in tutto il mondo, che è un meraviglioso strumento di diffusione delle idee".` Nell'anno seguente (1922) Léon Bérard, il ministro della pubblica istruzione in una circolare scriveva: "La lingua francese sarà sempre la lingua della civiltà e contemporaneamente il migliore strumento per diffondere la conoscenza di una incomparabile letteratura e servire alla espansione del pensiero francese."'

La situazione attuale è ben nota.

Sebbene ormai non esistano più imperi coloniali, e i trattati internazionali proibiscano agli Stati la conquista per mezzo delle armi, tuttavia nel pensiero si celano ancora (forse inconsciamente) quegli argomenti e quelle finalità riguardo alle lingue che un tempo accompagnavano gli sforzi di colonizzazione. Alcune enunciazioni attuali colpiscono per la loro somiglianza con quelle sopra citate. Il mondo internazionale fino ad ora non ha prodotto un trattato per impedire l'imperialismo linguistico.

E deplorevole che una lingua nazionale di conquistatori abbia portato "a una certa perdita di tradizioni e di identità" nei conquistati anche negli ultimi decenni. Ma che l'uso dell'esperanto potrebbe portare a una conseguenza simile è solamente una supposizione priva di fondamento; e la causa dell'affermazione che l'esperanto è una lingua morta, può essere solamente una non lodevole mancanza d'informazione o un inganno intenzionale.

Cultura e lingua, senza mistificazioni

Nei citati testi politici la parola "cultura" sembra un'importante parola chiave. Perciò può essere utile accennare alla questione che cosa sia veramente una cultura e in che modo una lingua si rapporti ad essa. Il concetto di "cultura" ha molte definizioni, di diversa ampiezza. Nel senso più ampio (e più importante) tale nozione riguarda il modo di esprimersi della società. Si tratta di ciò che oltrepassa la nuda esistenza biologica degli esseri umani. Parlare in generale della cultura di questa o quella etnia (nazione) ha senso solamente secondo l'accezione più vasta della parola "cultura". Le caratteristiche specifiche della cultura etnica sono state e vengono formate dalle condizioni naturali e sociali, dalle circostanze esistenti e dai conseguenti effetti e dai loro mutamenti storici. Le manifestazioni esterne della cultura sono diverse, materiali e non materiali. Tuttavia si deve riconoscere che l'essenza di una cultura si cela in pensieri, sentimenti, pregiudizi, riconoscimenti, appropriazioni (acquisizione di diverse capacità), motivazioni ecc., evocati negli uomini dagli effetti dell'ambiente naturale e di quello sociale. Tale essenza si manifesta in concreto nell'arte, nella produzione, nell'educazione, nelle abitudini ecc. Una tale manifestazione concreta, sebbene del tutto speciale, è la lingua. Del suo carattere speciale fa parte il fatto che per suo mezzo gli uomini possono descrivere, caratterizzare anche gli altri elementi e gli altri prodotti della cultura e, grazie alla descrizione, comunicare fra loro. Quindi, la lingua è un elemento culturale. Pronunciare insieme "cultura" e "lingua" può solamente significare mettere in rilievo il carattere speciale della lingua.

Senza dubbio, per una persona che possiede una certa lingua come propria lingua madre, questa non è solamente uno strumento di comunicazione, perché per lui essa porta anche ulteriori informazioni accessorie, che sono provenute da tutta la vita storica dell'etnia. Tuttavia è un fatto importante che uno stesso pensiero lo si può esprimere in diverse lingue; su uno stesso sentimento, una stessa motivazione, una stessa azione, uno stesso risultato si può informare per mezzo di diverse lingue. Se ciò non fosse possibile, non sarebbe possibile neanche stabilire un contatto fra di esse, non sarebbe possibile interpretare, tradurre da una lingua a un'altra. È evidente che, per venire a conoscenza dei tratti caratteristici extralinguistici della cultura (senza la sua parte linguistica) di questa o quella etnia, non è indispensabile conoscere anche la lingua dell'etnia stessa. (Sebbene tale conoscenza sia senz'altro utile). Molti fatti provano che l'esperanto, allo stesso modo delle lingue nazionali, è pienamente capace di descrivere una cultura e di mediare tra le culture. Anzi, in conseguenza della sua neutralità, può persino aiutare l'azione per difendere le lingue madri.

È indubbio che solo l'etnia stessa può conservare la propria cultura, compresa la lingua, a condizione di avere una motivazione abbastanza forte a conservarla. Forze esterne possono mettere in pericolo la cultura, la lingua di una etnia - oppure no - ma non possono sostituirsi all'etnia interessata nel compito di salvaguardarle. In che modo una forza esterna causa danni a una cultura etnica e alla sua lingua? Il danno si manifesta essenzialmente nel fatto che alcuni o molti elementi della cultura, e della sua parte linguistica, di una certa etnia vengono sostituiti da elementi culturali (linguistici) di un'altra etnia. Tale processo può aver luogo per effetto di diverse forze: dalla forza economica in pace fino alla brutale oppressione in guerra. Qui noi tocchiamo solamente il processo che si svolge in modo pacifico. Le merci e i servizi portano con sé anche gli elementi della lingua (cultura) del fornitore. Si mette in moto un processo nel quale parti di tali elementi cominciano a sostituire e a completare gli elementi della lingua usata nel luogo e della cultura esistente, in misura minore o maggiore a seconda della resistenza opposta a tale processo da parte dello Stato e dei cittadini coinvolti. Per difendere, conservare la lingua è un postulato basilare che le parole straniere siano il più presto possibile tradotte nella lingua locale. Perché questo si verifichi è necessario essere consapevoli e pronti in alto grado. In mancanza di tali condizioni le nuove parole ed espressioni per molte persone saranno non capite o capite male, il che è svantaggioso anche per la comunità linguistica. Quanto più massiccia è l'influenza straniera, tanto più difficile è la difesa contro di essa. In caso di effetto di massa di una lingua (cultura) straniera, anche il rispetto verso di essa si rafforza, e ciò rafforza a sua volta la posizione della comunità linguistica della lingua straniera e anche la continua diffusione di quella lingua.

Gli sforzi per salvaguardare, per difendere la lingua madre vengono fatti separatamente in ciascuna comunità linguistica, sebbene la lingua che le minaccia sia la stessa per tutte. Ma a causa di questa divisione l'efficacia dell'azione difensiva non può essere sufficiente. Sarebbe possibile agire in comune, in modo coordinato, per difendere le lingue madri contro la stessa minaccia? Sì, tale possibilità ci sarebbe, se volessero farne uso coloro che ritengono importante la salvaguardia, la conservazione della lingua madre. A tal proposito, per l'azione comune sarebbe necessario, come condizione basilare, mettere in gara una lingua per frenare, in un primo tempo, l'ulteriore diffusione dell'inglese in quei campi che questa non ha ancora "occupato" del tutto, per poi trasferire il suo ruolo di intermediario ad altri possibili campi. Per tale ruolo sembra massimamente adatta la lingua internazionale esperanto. Essa non solo non minaccia le lingue nel ruolo di lingua madre, ma la sua relativa facilità consentirebbe una rapida diffusione, se il suo insegnamento ricevesse un appoggio ufficiale da parte di più Stati, e contemporaneamente anche delle istituzioni dell'Unione Europea. E infatti dimostrato da parecchi fatti controllati che il livello di conoscenza linguistica di solito raggiunto in cinque anni da chi studia una lingua straniera può essere raggiunto nel caso dell'esperanto nella durata di un anno. Di conseguenza, a parità di capacità, in cinque anni si potrebbe portare a un certo livello di conoscenza della lingua un numero di alunni cinque volte superiore rispetto a quello possibile nel caso di discenti di una lingua etnica. Inoltre, nel caso dell' esperanto, è possibile impadronirsene con successo anche come autodidatti, il che dà una buona possibilità anche ad adulti impegnati nel lavoro di raggiungerne la piena padronanza. Naturalmente sarebbe necessario disporre di un numero maggiore di insegnanti della lingua internazionale; ma anche l'aggiornamento di insegnanti di lingue per la formazione di docenti di esperanto richiederebbe essenzialmente meno tempo di quello che sarebbe necessario nel caso di un'altra lingua.

Quale futuro desiderate?

Nelle pagine precedenti abbiamo dato uno sguardo all'attuale situazione delle lingue e all'effetto dell'inglese sulle altre lingue, dal punto di vista del loro ruolo di lingua madre, e anche riguardo alle necessità linguistiche dell'integrazione europea. Sulla base di tutto questo abbiamo tratto come conclusioni che

- causa della diffusione indubbiamente forte dell'inglese in Europa è, fra l'altro, la circostanza che, nel processo d'integrazione, la società europea, oltre a salvaguardare le lingue materne, avrebbe bisogno anche di una lingua comune;

- la forte diffusione dell'inglese porta una minaccia per le altre lingue nel loro ruolo di lingua madre;

- ciascuna delle comunità linguistiche cerca di difendere la propria lingua (cultura), contro la comune minaccia agendo separatamente, e perciò la difesa può essere meno efficace, specificamente se l'influsso minaccioso è di massa;

- a favore dell'ulteriore diffusione dell'inglese ci sono già molte possibilità; se nulla verrà fatto contro di essa, l'influsso minaccioso potrà diventare ancor più di massa;

- uno strumento adatto per indebolire la diffusione dell'inglese, con ciò difendendo le altre lingue, e contemporaneamente aumentare grandemente la capacità di persone di lingue diverse di comunicare fra di loro facilmente in Europa, potrebbe essere la lingua internazionale esperanto;

- l'esperanto non è lingua madre per nessun popolo (perciò non può minacciare un'altra lingua), dunque perché la società ne possa godere

i vantaggi, sarebbe necessaria la sua adozione ufficiale e il sostegno degli Stati europei, come pure nelle istituzioni dell'Unione Europea.

Chiunque abbia trovato logiche e giuste le conclusioni può ora domandare: che fare? Potranno e dovranno rispondere (volenti o nolenti) alcune centinaia di milioni di Europei, che abbiano o non abbiano una posizione elevata. Qui noi abbozziamo solamente un risultato possibile, immaginato del futuro nella forma di un ipotetico rapporto. Ecco.

L'anno 2001, per iniziativa della Commissione Europea, fu l'Anno Europeo delle Lingue. I programmi indirizzarono l'attenzione degli Europei verso le lingue. Fino ad allora solo pochi avevano riflettuto sul ruolo e l'importanza delle lingue, e tra queste sul ruolo e l'importanza della lingua madre. Altra era la situazione nelle istituzioni dell'Unione Europea. Il regime linguistico che vigeva dal 1958 si dimostrava non più usabile, il numero delle lingue era salito rapidamente. Poiché i problemi pratici venivano a scontrarsi col principio dell'eguaglianza delle lingue, i politici si trovarono di fronte a una situazione linguistica molto delicata.

Grazie all'iniziativa dell'Anno Europeo delle Lingue, gli abitanti dell'Unione cominciarono a pensare maggiormente alle lingue, e un po' per volta presero consapevolezza del pericolo che minacciava la loro madrelingua e quindi i loro interessi. Inoltre divenne chiaro per loro che in Europa, oltre alla madrelingua, è veramente necessaria anche una lingua comune, acquisibile con relativa facilità. Essendo venuti a conoscenza del possibile ruolo dell'esperanto, alcune persone sensibili alla sorte della lingua madre cominciarono a interessarsi della cosa. Anche fra gli esperantisti furono sempre più numerosi quelli che riconobbero l'enorme importanza del ruolo della lingua madre e la necessità di difenderla. Da tali persone in diversi Paesi presto si formarono gruppi di lavoro, associazioni ecc., per trattare la situazione e ciò che occorreva fare in comune. Presto esse acquisirono un vasto pubblico e richiamarono l'attenzione di politici, di organizzazioni governative e d'altro genere sul problema delle lingue e sulla necessità di iniziative ufficiali. Presto gruppi di lavoro e associazioni, fondate in diversi Paesi, crearono una lega europea per agire in comune per gli interessi comuni. In seguito all'azione di tale movimento civile, parlamenti e governi di diversi Paesi e le istituzioni dell'Unione Europea dovettero trattare il problema linguistico europeo e, alla fine, decidere favorevolmente. In via di principio fu fissato che per gli abitanti d'Europa la successione delle lingue, in ordine d'importanza, è la seguente:

1. Madrelingua, 2. lingua neutrale comune, 3. altre lingue. Nell'insegnamento scolastico sono materie obbligatorie la lingua madre e la lingua neutrale comune. Nei Paesi con minoranze linguistiche è obbligatoria anche la cosiddetta lingua di Stato. Si è dibattuto ampiamente sulla questione se la lingua di Stato debba essere la seconda per importanza, davanti alla lingua ausiliaria comune, oppure la terza, dopo la lingua ausiliaria comune. Si è deciso che soluzioni diverse siano possibili nei diversi Paesi. Dopo la decisione di principio della Commissione e dei governi, furono prese le decisioni anche sulle cose da fare e si cominciò definendo le condizioni necessarie da mettere in atto. Dopo la realizzazione di tali condizioni, il nuovo ordine linguistico cominciò a funzionare. La lingua neutrale comune venne studiata in massa non solo nelle scuole ma anche in corsi e a casa come autodidatti. La diffusione dell'esperanto fu abbastanza veloce, quindi un po' per volta si cominciò ad usarlo anche al posto dell'inglese. Anzi aumentò significativamente anche l'uso di tale lingua nelle relazioni con persone e organizzazioni diverse di altri continenti.

Alla fine in Europa si è stabilita l'armonia delle lingue: ogni lingua etnica può svolgere il suo ruolo di lingua madre; la lingua comune neutrale consente la facile comunicazione reciproca ovunque in Europa, e anche al di fuori di essa, e contemporaneamente non minaccia nessuna lingua, ma può persino aiutare ad apprendere altre lingue"; poiché ormai non c'è l'assoluta necessità di imparare la lingua inglese, la studiano solamente coloro che ne hanno veramente bisogno, mentre altri imparano un'altra lingua o più altre lingue, a seconda dei loro interessi o bisogni particolari.





Qualora vi piaccia che l'immagine del futuro sia questa o simile a questa, riflettete in che modo voi potreste e dovreste dare una mano perché accada qualcosa che si muova in tale direzione. Decidere sui problemi delle lingue è cosa da fare ora, perché l'attuale situazione europea non tollera ritardi.

Gados LàszIó

Revisione del testo Renato CORSETTI,

Anna Margareta RITAMAKI,

WACHA Balàzs

Traduzione in italiano

dall'esperanto di: Umberto BROCCATELLI



NOTE

1 Deme Làszló: Az anyanyelvészet fogalma és túrsadahni feladatai [Il concetto e i compiti sociali della linguistica circa la lingua madre]. Nel volume (a cura di Glatz Ferenc): A inagyar nyelv az informatika korúban [La lingua ungherese nell'era dell'informatica] Budapest, 1999

2 Così ha fatto per esempio il francese dott. Claude Rou, che ha rifiutato di scrivere i suoi lavori in inglese, e per questo ha avuto molti problemi; però continua a tenere un comportamento coerente.

3 I15 settembre 2000 il Parlamento Europeo ha discusso il rapporto di Christopher HeatonHarris. Il rapporto era uno studio della Commissione, nel quale si esaminava la situazione socio-economica degli studenti Erasmus. Il programma Erasmus rende possibile un periodo di studio in un altro Paese per meno di un anno. La maggior parte degli studenti vuole studiare in Gran Bretagna e in Irlanda; per esempio la Grecia, la Norvegia e il Portogallo possono attirare solo pochi studenti (per evidenti motivi linguistici - dice il relatore). Del resto il programma Erasmus tocca all'anno solamente 1 % di studenti (80 000) contro il 10% che ci si proponeva.. Si può leggere in:

http://www.europarl.eu.int/committees/cultmeetdocs/20000712/386394en.doc [Europa Digest N-ro 93]

4 Il 5 giugno 2000 Michel Barnier, il Commissario francese, responsabile per la riforma delle istituzioni europee rispose in rete a domande postegli. Si può leggere in: http:// eurcpa.eu.int/coram/chat/barnierl/index_ eu.htm [Europa Digest n-ro 64]

5 "Lo strumento più impegnativo con cui l'Unione Europea stimola l'innovazione presso le aziende europee è costituito dai programmi di ricerca e sviluppo, organizzati in programmi quadro pluriennali: attualmente è in corso il 4° di questi programmi, (...). Un'indagine svolta nel 1995 su 927 imprese piccole o medie [secondo la definizione dell'Unione Europea, sono piccole o medie imprese (PMI) quelle con meno di 250 dipendenti che non sono controllate da imprese più grandi] ha dato il seguente risultato: il 67% di queste imprese non fanno nemmeno domanda per essere ammesse a finanziamenti europei a causa di problemi di lingua. [Innovation &TechnologyTransfer, numero speciale, dicembre 1996, p.7.] (...) I progetti di ricerca, da sottoporre per richiederne il finanziamento, possono essere redatti, in linea di principio, in una qualsiasi delle lingue ufficiali parlate nell'Unione Europea (...) Però, (...) è richiesto esplicitamente che il riassunto tecnico della proposta sia formulato in inglese (...) Si è ormai diffusa la sensazione che una proposta che non sia redatta completamente in inglese (o tutt'al più in francese) non riceverà l'attenzione che merita, e molto difficilmente supererà il vaglio, anche se tecnicamente sostenibile. Le grandi imprese superano facilmente questo intoppo: al loro interno sono sicuramente in grado di ottenere un servizio di traduzione di alto livello; questo non è più vero per le piccole e medie imprese operanti in paesi di lingua "minore", le quali di conseguenza molte volte rinunciano semplicemente a presentare un loro programma." [Nicola Minnaja, Il problema linguistico e l'innovazione, in I costi della (non) comunicazione linguistica europea, "espERAnto" Radikala Asocio, p. 43-44].

Un altro esempio tra molti: nel settembre 2000 si svolse il primo Concorso Europeo dei Giovani Scienziati. Secondo l'articolo 21 del regolamento, anche se i documenti di presentazione dei partecipanti possono essere in "una qualsiasi" delle lingue comunitarie ufficiali, ai concorrenti si ricorda che la lingua di lavoro della giuria è l'inglese." Inoltre, altri documenti devono essere in inglese.

[http: //europa. eu. int/comm/research/youngscientists/index2. html

6 Hegedús József: Az idegennyely-tanul6s néhàny elméleti kérdése [Alcune questioni tecniche dello studio delle lingue straniere], Moderi Nyelvoktatàs [Insegnamento moderno delle lingue] IV/4. 1998, december, p. 16-17.

7 Si veda il manifesto che segue.

MANIFESTO AGLI INSEGNANTI DI TUTTO IL MONDO

Noi, educatori di 28 Paesi e delegati ufficiali di 16 governi, riuniti nella Segreteria della Lega delle Nazioni a Ginevra, salutiamo fraternamente coloro che insieme a noi lavorano nel compito di illuminare le menti degli uomini.

Noi affermiamo la nostra convinzione che a fondamento dell'attuale deplorevole stato, in cui si trova il mondo civile, sono l'incomprensione e la sfiducia che dividono i popoli l'uno dall'altro.

Noi affermiamo la nostra convinzione che il solo sicuro rimedio contro questo male è l'educazione all'umanesimo e la realizzazione del principio di avvicinamento internazionale, a favore del quale sta la Lega delle Nazioni.

Noi consideriamo come uno dei più validi contributi alla soluzione del problema della ricostruzione del mondo la lingua ausiliaria internazionale esperanto, e affermiamo la nostra convinzione che essa, a fianco delle lingue nazionali di cultura, debba diventare parte del programma educativo in ogni Paese civile.

Noi desideriamo farvi conoscere i risultati della nostra esperienza nell'insegnamento dell'esperanto in molte diverse scuole.

Noi abbiamo constatato che l'esperanto è sufficiente per l'uso pratico come lingua internazionale, per tutti gli usi sia orali che scritti per cui serve una lingua; inoltre possiede notevoli qualità che ne provano il valore come strumento educativo. Infatti:

- esso è valido come ausilio al giusto uso della lingua materna; ciò si è manifestato nel miglioramento della pronuncia e della dizione nella lingua madre, nella migliore scelta delle parole, nella più precisa conoscenza dei significati dei vocaboli e in una più chiara comprensione di principi grammaticali; - l'esperanto inoltre facilita l'acquisizione di lingue moderne e classiche, risparmiando tempo all'insegnante e facilitandogli il compito, chiarendo le forme grammaticali, fornendo radici internazionali di vocaboli e abituando la mente dei discenti a esprimersi in più di una lingua.

A nostro avviso, l'esperanto deve essere insegnato ai bambini come prima lingua dopo quella materna, e introdotto già nel programma della scuola primaria. Esso fornirebbe all'alunno che deve uscire presto dalla scuola, una conoscenza sufficiente di una seconda lingua, praticamente usabile. Mostrerebbe se coloro che entrano nella scuola secondaria possiedono le capacità per un ulteriore studio delle lingue e senza dubbio li avvierebbe a tale studio con menti preparate a ciò. Consentirebbe, quindi, un risparmio di tempo, e migliori risultati nello studio delle lingue. Gli alunni non portati allo studio delle lingue potrebbero dedicarsi a studi più adatti.

Noi abbiamo constatato che la conoscenza dell'esperanto ha stimolato nei nostri alunni una più reale conoscenza e un maggiore apprezzamento della geografia, della storia mondiale e anche dell'educazione morale; un maggiore interesse e una maggiore simpatia per i popoli stranieri per le loro abitudini, la loro letteratura e la loro arte. L'esperanto educa i bambini alla pace mondiale e approfondisce in loro l'ideale della Lega delle Nazioni. Ciò si realizza specialmente mediante scambio di lettere, cartoline illustrate e disegni tra bambini di Paesi diversi, mediante lettura di giornali internazionali in esperanto e studio di letterature straniere. Gli alunni sono in grado di corrispondere già dopo alcuni mesi di studio. Il vantaggio morale di questa corrispondenza internazionale è assai grande.

Con due lezioni di un'ora ogni settimana gli alunni possono acquisire in un anno una conoscenza pratica della lingua quale in qualsiasi altra lingua non si può raggiungere in 3 anni.

Noi vi sottoponiamo questo manifesto perché lo prendiate in seria considerazione, evi raccomandiamo di tutto cuore di promuovere l'insegnamento dell'esperanto nel vostro Paese, non solo perla sua utilità nel commercio, nella scienza e negli altri campi dell'azione internazionale, ma anche per il suo valore morale, come stimolo a quei rapporti amichevoli tra i popoli del mondo, che sono il vero fine della Lega delle Nazioni.

Ginevra, 20 aprile 1922. [Da Metodologio de esperanto del dott. Istvàn Szerdahelyi]

8 Parte del sommario del rapporto del primo segretario:

Dall'indagine intrapresa dal segretariato generale secondo decisione della seconda riunione della Lega delle Nazioni, risulta che:

1. Prescindendo dalla questione di una lingua diplomatica, il bisogno di una lingua ausiliaria per rapporti internazionali diretti sembra essere fortemente sentito.

2. La maggior parte delle eminenti associazioni scientifiche o commerciali che hanno studiato il problema, si sono espresse in favore di una lingua neutrale e semplificata, che in alcun modo attenti al prestigio plurisecolare delle lingue letterarie nazionali, e in generale raccomandano l'esperanto.

3. L'esperanto sembra essere effettivamente una delle più perfette, probabilmente la più semplice e in ogni caso la più diffusa delle lingue convenzionali proposte.

4. L'esperanto è adatto a svolgere il ruolo di lingua internazionale ausiliaria, e un vasto uso scritto e orale gli ha fornito le caratteristiche di lingua vivente e flessibile, già cresciuta e capace di arricchirsi ulteriormente.

5. L'esperanto viene insegnato, sia come materia obbligatoria sia come materia facoltativa in scuole statali, elementari e secondarie, di 17 Stati in base ad articoli di legge, a decreti ministeriali o a decisioni di giunte comunali.

6. Esperimenti effettuati provano che l'esperanto si può imparare molto facilmente, perché bambini europei e americani l'imparano in un anno con due ore alla settimana e bambini dell'Estremo Oriente in due anni con lo stesso numero di ore di lezione alla settimana, mentre hanno bisogno di sei anni di studio con quattrocinque ore alla settimana per acquisire un'altra lingua europea. Per gli adulti il tempo necessario è più breve: da 25 a 40 lezioni in generale sono sufficienti.

7. L'esperanto non comporta un maggior carico dei programmi scolastici e non è in concorrenza con le lingue nazionali di cultura, perché l'esperienza mostra che esso al contrario aiuta a studiarle e fa guadagnare tempo come introduzione logica

al latino, al greco e alle lingue moderne.

8. Per le autorità scolastiche che introducessero l'insegnamento dell'esperanto, sarebbe importante che la stabilità della lingua fosse garantita da un riconoscimento interstatale, che desse la possibilità all'Accademia di esperanto di controllare la normale crescita della lingua, nel contempo conservandone l'unitarietà (...)"

[Da Metodologio de esperanto del dr. Istvàn Szerdahelyi]

9 Tali fatti sono stati descritti dettagliatamente, sulla base di fonti autentiche, da Ulrich Lins nel suo libro: La dangera lingvo, studio sulle persecuzioni contro l'esperanto. Ed. Progreso; traduzione italiana: La lingua pericolosa, Tracc/Edizioni, Piombino, 1990.

10 La rivista Esperanto nell'introduzione ha citato una dichiarazione di Edith Cresson, allora commissaria europea:

A nome della Commissione, ultimamente (17 maggio e 31 maggio 1995) Edita Creano ha risposto negativamente alle interrogazioni degli eurodeputati MariePaule Kestelijn-Sierens e Marianne Tayssen, ambedue riguardanti progetti sperimentali ci'insegnamento dell'esperanto. La Cresson ha argomentato che compito della Commissione è "sostenere le lingue e le culture degli Stati-membri", non l'esperanto, perché a questo "manca la ricchezza culturale e storica di una lingua naturale". Secondo lei "la Commissione ritiene che l'uso di una lingua neutrale potrebbe condurre a una certa perdita di tradizione e di identità". esperanto, 1079 (3) marzo 1996. p. 43.

(Del resto, come poi divenne pubblico, la Commissaria ha trattatto anche altre faccende in modo arbitrario, e anche per questo la Commissione dovette dimettersi.)

11 Dalla risposta di Lionel Jospin il 14 aprile 1995 a Jean-Paul Colnot. L'ha resa nota Lucien Bourgois in Debrecena Bulteno nr. 103, p. 4-5.

12 Estratto da documenti dell'Assemblea Nazionale in risposta a Claude Gaillard. Reso noto da Lucien Bourgois in Debrecena Bulteno, nr. 103, p. 5.

13 Vedi nota 4.

14 Recensione: Jacques Derrida: A màsik egynyelvíisége, avagy az eredetprotézis [Il monolinguismo di un altro, ovvero la protesi dell'origine], Jelenkor Kiadó, Pécs, 1997 (Gybri Anna); in Modena Nyelvoktatks [Insegnamento moderno delle lingue] IV/4. 1998. dicembre, p. 68.

15 Ulrich Lins: La dangera lingvo, p. 63 (vd. nota 9).

16 Citato da Ulrich Lins in La dangera lingvo, p. 65 (vd. nota 9).

17 A partire dal 1918 parecchi esperimenti scolastici hanno dimostrato che far imparare l'esperanto come prima lingua straniera facilita ai discenti in misura significativa il successivo apprendimento di una o più lingue, e persino la migliore comprensione del sistema della lingua madre. Nel febbraio 2000 un gruppo di lavoro ha presentato un progetto (NEIGHBOUR) al Parlamento Europeo a favore di tali esperimenti scolastici.