Flugi kun kakatuoj
Questo romanzo, opera dell’australiano Trevor Steele, vinse nel 2012 il concorso "Il libro in esperanto dell’anno", ed è dedicato alla colonizzazione dell’Australia da parte dell’Inghilterra, avvenuta a costo di una diminuzione drastica del numero degli aborigeni, che da700 mila si sono ridotti a 100 mila nell’arco di circa 150 anni. Il romanzo non si prefigge il compito di fornire una ricostruzione storica, e difatti non vi figura nessuna data: da alcuni elementi si potrebbe stabilire che il riferimento storico più probabile è il “massacro di Coniston”, avvenuto nel 1928. Se la resistenza indigena alla colonizzazione in America settentrionale è stata raccontata ampiamente da Hollywood, le vicende australiane non hanno avuto la stessa risonanza, e questo romanzo sopperisce efficacemente a questa mancanza.
Il romanzo comincia con la scoperta di oro nell’ Australia settentrionale, col conseguente afflusso di aspiranti cercator venuti da ogni parte dell’impero, decisi ad affrontare estenuanti marce di centinaia de chilometri per raggiungere la zona più promettente sttraverso sentieri disagevoli e cosparsi di cadaveri di colleghi più sfortunati. Si seguono poi le vicende di Billy, un cercatore sopravvissuto, che comincia a conoscere a poco a poco la realtà locale: gli aborigeni, chiamati “negri” dai colonizzatori, sono divisi in tribù che si combattono a vicenda, e sono stati a poco a poco ricacciati verso il nord; non hanno più terra da cui trarre nutrimento con la cacci,a e i loro tentativi di ribellione vengono stroncati da azioni definite “di polizia”. Da Londra vengono disposizioni di rispettare i diritti degli aborigeni, ma vengono tacitamente disattese perché “a Londra non si rendono conto della situazione locale”. Gli aborigeni, chiamati “negri”, vivono nelle zone colonizzate lavorando praticamente gratis nelle fattorie dei bianchi; alcuni vengono arruolati nella polizia locale, dove si accaniscono contro le tribù diverse dalla loro; ogni tentativo di rivolta viene stroncato con operazioni “di polizia”, che generano molti morti, definiti eufemisticamente “dispersi” nelle relazioni ufficiali. Soltanto i missionari trasmettono al mondo “civile” qualche rapporto veritiero.
Il nostro Billy, arrivato al nord della colonia, ha rapporti con i coloni, che da parte loro sono sfruttati da investitori residenti nel sud e temono furti e uccisioni di bestiame ad opera di una tribù, i Banubi, che ancora vive libera su una zona fertile, oggetto del desiderio dei coloni più vicini. Billy fa così la conoscenza di questa tribù,. nella quale governano gli “anziani”, che fissano regole di comportamento stringenti, anche sugli accoppiamenti, per cui fra l’altro spetterebbero a loro le ragazze più giovani;; gli anziani hanno stabilito con i coloni una” convivenza armata”, per cui giovani Banubi lavorano nelle loro fattorie, ma di tanto in tanto si appropriano di un capo di bestiame per sfamare le proprie famiglie; però gli anziani non tollerano che alcune sorgenti, considerate sacre , siano profanate dal passaggio di bovini, Fra i giovani si distingue Elmaru,che con i bianchi simula un comportamento arrendevole ma è consapevole del fatto che una ulteriore espansione dei territori colonizzati porterebbe alla riduzione della sua tribù allo stesso stato miserevole di quelle del sud. Prende allora la guida di un gruppo di giovani armati di lance, che vengono inesorabilmente sgominati dai fucili; ne conseguono incarcerazioni in condizioni durissime, una rocambolesca fuga di Elmaru dal penitenziario, e poi la sua impiccagione.
Ma Elmaru aveva lasciato un erede, Jangabara, convinto che l’unica speranza di un avvenire migliore consistesse in una lotta comune di tutte le tribù,e che una strategia si poteva costruire soltanto stringendo rapporti con i bianchi e conquistandosene la fiducia fino a che non si presentasse un momento opportuno; la conoscenza del territorio avrebbe permesso di cercare rifugio in caso di rappresaglie. Jangabara si fa assumere da un colono e impara a fare tutti i lavori necessari in fattoria, fino a diventarne il più fidato degli aiutanti: cavalca, conduce i bovini, e finalmente impara a maneggiare il fucile. Nella fattoria conosce Billy,che gli insegna l’inglese e la sera gli legge i Commentari di Giulio Cesare; negli intervalli dal lavoro Jangabara riunisce i giovani della tribù e con pazienza insegna loro a sparare. Finalmente sono pronti per un’imboscata; Jangabara teme che Billy, con cui ha stretto rapporti di amicizia, capisca e sveli i suoi piani, e gli spara a sangue freddo; quando il suo datore di lavoro si accinge a spostare l’armento in un altro pascolo, lo uccide con i suoi due aiutanti bianchi (ma lascia vivo l’aiutante negro), e fa un bottino di fucili e munizioni (e anche un di un cannocchiale, di cui insegnerà l’uso alle donne della tribù). I coloni della zona cominciano a lasciare i loro poderi, vengono istituti nuovi posti di guardia, ma gli agenti vengono individuati dalle donne prima che arrivino in vicinanza dei nascondigli prestabiliti e si ritirano senza lasciarsi dietro una scia di cadaveri. Tutto sembra andare per il meglio, ma nei sogni di Jangabara c’è un incubo ricorrente, un volo di cacatua i (pappagalli della zona) che lo trascinano in mezzo a loro, da cui il titolo del libro, Flugi kun kakatuoj (“Volare con i cacatua”). E il destino si compie: Jangabara accoglie nelle sue file un agente negro, Macki, che lo tradisce; l’ultima battaglia è un disastro, 3 indigeni verranno condannati a morte, Jangabara rimarrà sul terreno e la sua testa verrà esposta in città in una teca di vetro . Il rapporto della polizia finirà con la frase “In questa zona non sarà più opposta resistenza alla civilizzazione”
Nel 1987 Trevor Steele aveva pubblicato altro romanzo, Sed nur fragmento (Ma soltanto un frammento), che segue più da vicino l’andamento dei fatti storici, ripercorrendo le vicende di un etnologo russo, che, andato in Nuova Guinea,.si diede alla politica per battersi in favore delle etnie locali, oppresse prima dall’Inghilterra e poi (dal 1884) dalla Germania,
Trevor Steele è è stato segnalato da alcuni esperantisti come plausibile casndidato al premio Nobel per la letteratura