Siamo tutti masochisti se si tratta di lingue straniere

Uno dei maggiori esperti di comunicazione internazionale, Claude Piron di Ginevra, è stato intervistato da Abruzzo Oggi del 1° settembre 2006 sui problemi della comunicazione linguistica internazionale. Piron è stato per anni traduttore per Agenzie internazionali delle Nazioni Unite ed è poi passato ad occuparsi di problemi di comunicazione internazionale ed interpersonale nella Facoltà’ di Psicologia dell’Università di Ginevra. Il quotidiano abruzzese diretto da Vittorio Mingione nel pubblicare articoli su questa tematica dimostra una insospettata sensibilità verso il problema della difesa delle lingue e delle culture, sensibilità certo in gran parte assente nella stampa nazionale e negli altri mezzi di comunicazione.

 

Uno dei primi punti che emerge con chiarezza dall’intervista è quello del masochismo della nostra società. L’attuale sistema di comunicazione internazionale rifletterebbe caratteri negativi della società umana, come il suo masochismo, la sua tendenza ad agire in modo non razionale, la forza della sua inerzia ed il rifiuto a porsi di fronte alla realtà. La nostra società, afferma Piron, ha scelto per comunicare una delle lingue meno adatte all' uso internazionale, 1' inglese, lingua ostica agli stessi nativi dei paesi anglosassoni. Una vera scelta non c'è stata a dire il vero perché si sta andando avanti a forza di inerzia. Il 95% dell'umanità accetta con rassegnazione la posizione linguisticamente subalterna al restante 5% costituto dagli anglofoni dalla nascita che trovano normale che tutti gli altri si assumano il compito di faticare per poter render possibile la comunicazione. Faticare assistendo al degrado sempre più accentuato della propria lingua.

L’insegnamento delle lingue nelle scuole non è in questione. E’ in questione l' illusione che 1’inglese risolva il problema della lingua nel mondo e che esso, come mezzo di comunicazione, si possa imparare a scuola. Piron propone che si raccomandi ai cittadini di imparare l'esperanto, perché possano relativamente in fretta disporre di un metodo piacevole per comprendersi con i parlanti di altre lingue e che nelle scuole si studino le lingue non come strumenti di comunicazione, ma come arricchimento culturale, come strada per comprendere altri popoli. E' assurdo che nel mondo ora il 90% degli studenti delle scuole superiori spenda  tante energie   per   imparare   1' inglese ed ignori tutte le altre culture cui si possono accostare attraverso corsi di lingue. E ancora più assurdo perché, dopo questa fatica, la maggioranza non  è in condizioni  di  comunicare realmente e paritariamente su scala mondiale.

Forse, si augura Piron, la situazione dell' Ue allargata ai nuovi membri e quindi  con nuove  lingue, imporrà un esame approfondito del problema, ma forse mancherà   il  coraggio   di porsi  le  domande  fondamentali.     Purtroppo     gli uomini sono molto   conservatori. Cambiare l'ordine (o meglio il disordine) linguistico attuale richiede un cambiamento del modo di pensare   e questo cambiamento  è un   "atto   psicologicamente  costoso"  come  ha detto Janet.

L'esperanto nelle scuole può, comunque, essere utile, per il suo valore propedeutico, quindi anche per l'apprendimento di altre lingue. L’ obiezione che si muove all'esperanto, in quanto lingua pianificata, è, però, essenzialmente una: la asserita mancanza di cultura.

A questo preteso problema si è attaccato il Commissario Europeo al multilinguismo, Jan Figel, per liquidare l’esperanto nel suo rapporto sul multilinguismo. Che questa sia solo una grossolana sciocchezza usata da chi non vuol sentire parlare di messa in discusisone della supremazia dell’inglese, è chiaro a tutti, tranne che a Figel.

Comunque nelle istituzioni dell'Ue  non  si tratta di parlare solo di amicizia o di cose generiche, ma anche di situazioni più complicate, economiche, giuridiche e tecniche.C’è quindi un problema di terminologia specializzata. Di questo problema di natura pratica nessuno parla, limitandosi la maggior parte delle volte ai soliti luoghi comuni. Piron crede che il problema esista e non sia di poco conto, ma, tuttavia, sia risolvibile attraverso le tecniche di pianificazione linguistica che vengono adottate anche con lingue nazionali come l'estone e che hanno portato l'ebraico, che aveva solo 5000 parole, ad essere una lingua moderna.

Il problema vero è sensibilizzare l'opinione pubblica, e quindi i politici, ad un maggiore rispetto verso la propria lingua e una maggiore attenzione verso il problema linguistico internazionale, diffondendo il concetto di democrazia linguistica e, soprattutto nel mondo anglosassone, una cultura nuova del capire e del farsi capire. Si tratta di capire dei concetti fondamentali di democrazia linguistica e di diritti dell’uomo in questo campo.

Abbiamo bisogno sempre più di persone consapevoli dei valori culturali, prima ancora che linguistici, da difendere e che reagiscano prima che questi siano compromessi per sempre. Continuare, nel frattempo, ad alto livello a rifiutare l'esperanto senza neanche aprirne il dossier sembra ormai troppo assurdo per essere accettato.

Questi ultimi concetti espressi da Piron hanno trovato del tutto d’accordo chi ha curato l’intervista, Giorgio Bronzetti, coordinatore dell’associazione Allarme Lingua che si batte per la difesa delle lingue, in primis dell’italiano, e delle culture, minacciate dall’ invadenza della lingua inglese e della cultura angloamericana. In effetti non si tratta piu’ di difendere le minoranze occitane nel Piemonte contro l’italiano, ma ora il fronte si è spostato alla difesa della sopravvivenza dell’italiano e della cultura italiana. Chi crede che Dante Alighieri vada ancora letto nella scuola del figlio negli anni prossimi, non può che concordare con Piron e con Allarme Lingua.

Renato Corsetti

Università La Sapienza di Roma

 

 

 

 


 

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