L'esperanto per la truppa

La proposta dell’introduzione dell’esperanto nell’universo militare europeo

 

Già utilizzato in passato dall’esercito americano come “aggressor language” l’esperanto da “lingua della pace” potrebbe cambiare totalmente connotazione, stando alla proposta avanzata da Saverio Zuccotti, esperto di scienze militari del webzine di analisi politico-militare Pagine di Difesa del 9/9/06 http://www.paginedidifesa.it/2006/zuccotti_060909.html

passando ad essere identificata come la lingua della guerra.

 

L’ing. Zuccotti riferisce, facendola propria, la proposta "di attivare una sperimentazione di apprendimento dell'esperanto a livello delle scuole militari liceali di tutta Europa",  trovata tra le pagine collegate alle tematiche dell’ UNL (Universal Networking Language) di un cibernauta appassionato di esperanto e informatica. Così l’ingegnere scendendo nel campo attuativo: “Si potrebbe pensare ad una campagna di sperimentazione europea con diversi casi di studio a livello di plotone-compagnia. Ad esempio, si potrebe confrontare la differenza di costo- in termini di tempo e di denaro- dell’insegnamento linguistico alla truppa dell’esperanto e dell’inglese, valutandone poi l’efficacia in condizioni operative reali”.

 La proposta, formulata dall’autore dell’articolo che descrive per sommi capi anche la lingua “spesso definita a torto lingua artificiale”, ci appare valida e anche se può apparire  shoccante per i pacifisti iridobardati sostenitori dell’esperanto, meriterebbe invece di essere sostenuta e divulgata  perché abbia qualche possibilità di approdare ai livelli di progettazione del futuro dell’Europa. In fondo non si tratta affatto di un’idea balzana campata in aria ma di un progetto pratico, terra terra si potrebbe dire, come l’uovo di colombo, per far intendere tra loro i cittadini europei in armi provenienti da 25 paesi, non sempre delle cime, che non devono partecipare a conferenze di politica economica e finanziaria  come i parlamentari, ma possono soddisfare le loro esigenze comunicative col linguaggio più chiaro e semplice che ci sia, e certamente per molti anche simpatico. Vuol dire che nella lingua degli europei in armi si svilupperà in particolare la terminologia bellica con forte presenza di verbi d’azione come pafi (sparare), ataki (attaccare), detrui (distruggere), mortigi (uccidere) e simili e loro derivati all’altezza delle nuove esigenze, ma certamente anche di parole come amo (amore), muziko (musica), plezuro (piacere) e anche paco (pace) naturalmente .

 

Secondo l’ing. Zuccotti la proposta dell’introduzione dell’esperanto nelle caserme europee merita di essere analizzata per due ragioni fondamentali: anzitutto, come si è detto all’inizio, l’esperanto è già stato sperimentato con successo dai militari sul campo, scelto perchè, come si dice nel manuale fornito dal Pentagono «non s'identifica con nessuna alleanza militare o ideologia, di gran lunga più facile da apprendere ed usare di qualunque lingua nazionale»,  «una lingua viva ed un mezzo attuale di comunicazione internazionale scritta ed orale e le sue regole grammaticali sono tali che essa resterà una lingua viva perché può assimilare nuove parole».

“Inoltre, considerato che i militari di truppa non sempre hanno un profilo culturale particolarmente alto, l'insegnamento diffuso e generalizzato dell'esperanto nelle caserme europee potrebbe essere la soluzione più semplice per portare ad un buon livello di padronanza di una seconda lingua la quasi totalità del personale in armi. Tradotto in altri termini, l'interoperabilità linguistica tra gli eserciti europei costerebbe con l'esperanto dieci volte di meno di quanto non costi oggi con l'inglese.”

Se l’idea dovesse andare in porto sarebbe naturale, o almeno sarebbe legittimo aspettarsi che l’uso dell’esperanto, una volta superato con successo il ruolo di lingua europea, anche se di guerra, venga esteso anche ad altri ruoli nell’ambito dell’Ue e non sarebbe la prima volta che un mezzo sviluppato o introdotto come strumento strategico militare si sia trasformato in potente veicolo di sviluppo per la vita civile.

Giorgio Bronzetti

 

 

 

 

 


 

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