Ogni anno, il 27 gennaio, celebriamo il Giorno della Memoria dell'Olocausto o della Shoah, dedicato ai milioni di persone che hanno perso la vita e a coloro che hanno contribuito a salvare la vita di altri che altrimenti sarebbero morti. La ricorrenza è stata fissata nel 2005 dalle Nazioni Unite in ricordo della “liberazione” del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau (27 gennaio 1945).
La Federazione Esperantista Italiana (www.esperanto.it) partecipa e ricorda in particolare i membri della famiglia di L.L. Zamenhof, il creatore della lingua esperanto, e le migliaia di esperantisti morti a causa della persecuzione nazista. Tra loro c'erano funzionari, insegnanti, medici, giornalisti, poeti.
Non tutti sanno che Hitler ha più volte menzionato l'esperanto come qualcosa di pericoloso, da eliminare. Già il giorno successivo al proprio arrivo a Varsavia l'esercito nazista diede la caccia alla famiglia Zamenhof. Il figlio di L.L. Zamenhof, Adam, fu arrestato e, all'inizio degli anni Quaranta, fucilato; le sue figlie Zofia e Lidia furono assassinate a Treblinka, insieme alla sorella Ida, nel 1942. Solo il figlio di Adam, Ludwik, sopravvisse miracolosamente, grazie anche alla protezione del sacerdote Marceli Godlewski, della Parrocchia di Tutti i Santi di piazza Grzybowski.
La storica polacca Zofia Banet-Fornalowa ha elencato in particolare alcune delle più note vittime, e lo storico tedesco Ulrich Lins, nel suo libro "La lingua pericolosa", ci ha fornito una valutazione generale della vastità della tragedia che ha colpito il movimento esperantista. Molte altre vittime, purtroppo, sono rimaste sconosciute e dimenticate.
In questo giorno ricordiamo coloro che non sono riusciti a opporsi a quella tirannia e promettiamo, nel ricordo dell'Olocausto, di opporci all'ingiustizia dove e quando si verifica. Ricordiamo le parole del poeta esperantista Leen Deij che, piangendo un amico ebreo, scrisse:
Ni sentis kompaton kaj monon kolektis,
dum kelkaj el ni la infanojn protektis.
Sed Auschwitz ekzistis! Nu, kion plu diri?
Ke mi kaj ke vi… ni lin lasis foriri.
“Provammo compassione, raccogliemmo denaro, qualcuno di noi protesse i bambini, ma Auschwitz ci fu! E quindi che altro dire? Che tu, che io... che noi lasciammo uccidere quell'uomo.”