Renato Corsetti

In margine ad un convegno sul multilinguismo a Bruxelles.


La costruzione di una Europa basata sulla democrazie e sulla integrazione di tutti i cittadini europei su un piede di parita' e' un processo lungo e difficile. Per mettere tutti i cittadini sullo stesso piano di fronte alle istituzioni, alla legislazione che producono e alle opportunità che creano, i fondatori dell'Unione avevano deciso che tutte le lingue dei Paesi membri fossero lingue ufficiali e lingue di lavoro. Il funzionamento linguistico, che sempre è stato considerato una delle colonne portanti della costruzione europea, nella misura in cui essa entra nella vita quotidiana del cittadino e lo concerne direttamente, ha continuato ad essere quello previsto fino a pochi anni fa'.

Tuttavia, approfittando, da una parte, dell'appoggio di certi Paesi nordici, dall'altra, della prospettiva dell'ampliamento verso i Paesi dell'Est, l'Inglese ha cominciato a voler giocare il ruolo della lingua unica mettendo a punto una vera strategia, nel costituire e congegnare i servizi, nell'adottare strumenti di lavoro ad hoc, nel riconcepimento dei servizi linguistici, nella costruzione delle relazioni e dei negoziati con i Paesi candidati, in un'ottica che deroga al principio d'interesse generale. In particolare, sono stati messi in piedi servizi unilingui, intolleranti di qualsiasi altra forma d'espressione, creando centri di potere che tendono a gestire in maniera esclusiva settori importanti all'interno delle strutture comunitarie.

In questo quadro si inserisce il convegno di riflessione su Multilinguismo nell'Unione Europea e nelle sue istituzioni, che ha riunito a Bruxelles il 27 e 28 gennaio scorso una quarantina di linguisti provenienti da tutti i paesi europei e vari rappresentanti di istituzioni dell'Unione. Per l'Italia erano presenti alcuni linguisti di varie universita', principalmente Torino e Roma, gvidati dal presidente della Accademia della Crusca, Francesco Sabbatini. I lavori del convengo hanno visto l'appassionata difesa del multilinguismo da parte di tutti gli intervenuti e la condanna di qualsiasi forma di riduzione delle lingue di lavoro e di esclusione di parte dei cittadini europei dal godimento dei loro diritti linguistici. Infatti i diritti linguistici dell'uomo sono parte integrante della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, che all'art. 2 vieta qualsiasi discriminazione basata sulla lingua. Non si vede come l'Unione Europea paladina dei Diritti dell'Uomo possa violarli essa stessa, discriminando, ad esempio, gli italiani o gli slovacchi.

Questa discriminazione si attua in vari modi. Recentemente, ad esempio, la Commissione Europea ha deciso di ridurre a tre le cosiddette lingue di procedura: Francese, Tedesco e Inglese. L'italiano, lo spagnolo e molte altre lingue non sono tra queste "grandi" e rischiano di sparire del tutto dall'uso corrente, non solo nel lavoro quotidiano ma anche in tutte le forme di documentazione, nei formulari da riempire, nei progetti da presentare e nella comunicazione con i cittadini e con le autorità.

Tutto ciò comporta conseguenze catastrofiche per un'effettiva e concreta partecipazione italiana al processo di integrazione in corso nonché ai programmi e alle azioni delle quali i cittadini, le istituzioni, le imprese italiane devono poter essere protagonisti, insieme agli altri e su un piano di stretta e rigorosa parità.

Le recenti decisioni della Commissione Europea incoraggiano l'invadenza e l'aggressività dell'inglese, nei confronti delle altre lingue, e gli facilitano il compito di colonizzare l'Europa, eliminando anche l'Italiano e lo Spagnolo, lingue di grande vitalità e diffusione che hanno entrambe la caratteristica di essere plebiscitate dal cittadino europeo e che vengono imparate e parlate per diletto e con passione, non per obbligo.

L'uso dell'inglese, come lingua unica, che induce il pensiero unico, ha come conseguenza diretta l'esclusione, generalizzata, della massa dei cittadini europei di lingua e cultura latina oggi e slava domani, dalla partecipazione effettiva alla costruzione europea, alla vita attiva in seno alla stessa, a tutte le opportunità che le istituzioni creano. In questo contesto va ricordato che i popoli latini costituiscono più della metà dell'Unione, che, quasi, l'altra metà è costituita da popolazioni germaniche e che gli anglofoni costituiscono soltanto il 5,5% dell'insieme.

Come giustificare, ad esempio, la forma presa dai negoziati di adesione con i Paesi dell'Est ai quali è stato imposto l'inglese a un punto tale che, nonostante la preferenza di molti tra loro per il Francese o per il Tedesco, che conoscono meglio, tutti i documenti, inclusi gli accordi, sono stati presentati solo in inglese. Con questo tipo di operazione, il dispositivo istituzionale dell'Europa unita, di tutti i Trattati, da Roma a Nizza, viene infranto.

Dietro queste manovre si nascondono obiettivi di natura economica immediati ma esse mirano anche a una forma ancora più grave e nefasta di colonizzazione dell'Europa sul piano commerciale, militare e strategico. Le pressioni esercitate in seno all'Organizzazione Mondiale del Commercio per liberalizzare tutti i settori inclusa l'Educazione nazionale, la Salute pubblica e via dicendo non fanno presagire niente di buono.

Contro tutto questo si e' espressa la maggioranza degli esperti convenuti a Bruxelles ed in favore di maggiore democrazia e maggiore uguaglianza tra tutte le lingue, comprese quelle minoritarie, come il catalano, ad esempio.

I lavori proseguiranno ora in maniera piu' approfondita in gruppi di lavoro in vista della preparazione di un incontro ancora piu' allargato. In quella sede si potranno esaminare anche le possibilita' di soluzioni piu' avanzate, come quelle dell'uso di lingue franche altre, latino o esperanto, ad esempio, lingue non portatrici di interessi economici e poltitici di soggetti estranei all'Unione, lingue, per dirla in breve, diverse dall'inglese, la lingua dell'impero.