Giorgio Pagano

Se il tedesco Peter Schneider (sul Corsera del 6 maggio) in una chiave di comunicazione europea sceglie l’inglese, il Governo tedesco sceglie… il tedesco. Così dal 29 novembre del 2000 con l’ “Atto di revisione della convenzione per il rilascio di brevetti europei” si stabilisce che i brevetti europei devono obbligatoriamente, pena la nullità, essere depositati esclusivamente in una delle seguenti tre lingue: inglese, francese e, appunto, tedesco.

Concedendo anzitutto alle industrie e alle imprese degli Stati che queste lingue materne parlano chiari vantaggi di carattere legale, giudiziario e, in definitiva, economico.

Il “predicare e il razzolare” ancora una volta divergono, opponendosi l’uno all’altro. Bene o male fate voi.

Analogamente, sarebbe utile parlare dell’inglese come “nuovo latino” (Corsera del giorno dopo) rammentando che la “veste” latina dell’Europa ebbe due fasi: la prima nella quale, come lingua di Roma, distrusse pressoché tutte le lingue autoctone del continente, la seconda (per intenderci, quella medievale) come lingua morta, ne favorì invece la “ri-costruzione” e la vita.

Ora, non sappiamo se la storia degli Stati Uniti, in chiave di grande potenza, duri quanto quella di Roma antica, certamente però, per quanto riguarda l’attuale periodo storico, ci troviamo esattamente nella prima fase: quella del latino lingua di Roma ossia dell’inglese “lingua di Washington” e, conseguentemente, quella che vede molte lingue, europee e non, in pericolo di estinzione.

Per talune lingue minori anzi, l’estinzione è già certezza, e uno dei primi linguisti ad aver studiato il fenomeno della morte delle lingue, il Prof. Michael Krauss, già dieci anni orsono (Relazione del convegno della Linguistic Society of America del gennaio 1991) prevedeva, in base ad una attenta analisi statistica, che il 95% delle lingue del mondo sarebbe scomparso entro questo secolo.

Da allora la consapevolezza che si sia di fronte ad una morte accelerata di migliaia di lingue ha cominciato a farsi sempre più strada giungendo a mobilitare anche l’UNESCO che, nell’ultima Conferenza Generale, ha messo in guardia, nella sua Risoluzione sul plurilinguismo nell’educazione, rispetto al “pericolo che oggi minaccia la diversità linguistica a causa della mondializzazione della comunicazione e delle tendenze ad usare una lingua unica, con i rischi di emarginazione delle altre grandi lingue del mondo e addirittura di estinzione delle altre lingue di minore diffusione, a cominciare dalle lingue regionali”.

Certamente, nell’Unione europea, pensare di salvare le nostre lingue attraverso l’immissione nel sistema scolastico della obbligatorietà di una seconda lingua straniera od aprendo le scuole anche alle lingue minori ed autoctone presenti all’interno di molti Stati europei, avrà come unico risultato quello di allungare i tempi di agonia.

Quello che bisogna adottare, come metodo di lotta alla morte precoce delle lingue, è il metodo della “lotta biologica”. Un metodo che con successo viene sempre di più adottato nel mondo dell’agricoltura contro i parassiti e non solo.

Per comprendere quale soluzione “biologica” controbattere dobbiamo pensare soprattutto all’importante ed essenziale ruolo che l’inglese oggi ricopre nel mondo: quello di lingua internazionale. Questo ruolo l’inglese se lo è conquistato in chiave egemonica, grazie al fatto di essere la lingua della più grande potenza del mondo, l’Antica Roma di qualche secolo fa appunto.

Ma la via egemonica al monopolio della comunicazione internazionale può essere accettata supinamente da una democrazia europea che conta quasi il doppio di abitanti degli Stati Uniti, avendo coscienza, peraltro, che tale monopolizzazione, con l’ausilio dei mass-media, condanna alla morte precoce le proprie lingue o alla non comunicazione i cittadini europei?

Oggi l’Europa dell’allargamento, con sullo sfondo ben 22 lingue ufficiali, comincia ad essere politicamente pronta per affermare la via democratica alla comunicazione internazionale. Ossia ad affermare quella che Umberto Eco, in “La ricerca della lingua perfetta” chiama LIA, lingua internazionale ausiliaria.

Alla Lingua Internazionale, ossia all’Esperanto, Eco dedicava la parte finale di quel saggio analizzando varie possibilità politiche di una tale affermazione ma trascurando forse una delle più importanti: quella della lotta biologica alla distruzione precoce delle lingue.

E’ in questo ruolo che l’Esperanto può dispiegare tutto il suo potenziale salvifico.

I motivi fondamentali? Quello della facilità media di apprendimento - che, in rapporto all’inglese, è di 1 a 20 – insieme a quello di non essere lingua materna di alcuna etnia.

In tale prospettiva ai mass-media europei spetta un ruolo informativo basilare: oggi sono oltre 1 milione e mezzo oggi le pagine su internet che riguardano l’Eo, oltre 200 i newsgroups e proprio al ministero della Pubblica Istruzione italiano spetta l’onore, tra i vari Paesi dell’Unione, di avere per primo compiuto il primo approfondito studio su questa lingua internazionale ausiliaria (Bollettino ufficiale del MPI, anno 122 n. 21-22).

Oggi il fenomeno della morte precoce di centinaia e centinaia di lingue perché ingoiate dalle lingue di popoli più forti insieme alla urgente necessità di dare vita ad un demos europeo sanciscono l’uscita dell’Esperanto dalla sfera di interesse di qualche milione di esperantofoni nel mondo per entrare in quella ben più grande riguardante la vita di decine e decine di lingue come di centinaia di milioni di europei.

Queste le consapevolezze hanno portato il Partito radicale transnazionale a contemplare tra le sue campagne politiche quella riguardante il diritto alla Lingua Internazionale.