Arrigo Castellani NEGLI ATTUALI QUINDICI STATI dell'Unione Europea si hanno dodici lingue ufficiali (destinate ad aumentare con l'ingresso di nuovi paesi)**, a cui se ne aggiungono altre considerate in alcuni casi "nazionali". Non e' manifestamente possibile che l'uomo "medio" dell'Unione le conosca tutte E non e' neanche possibile che conosca le sei principali, parlate ciascuna, dentro l'Unione o fuori di essa, da più di cinquanta milioni di persone (portoghese, spagnolo, francese, inglese, tedesco e italiano).

I1 cittadino "medio" può sapere, oltre la sua lingua materna, un'altra lingua. Quale lingua? La "selezione naturale" ne favorisce una sola: l'inglese.

Chi dice multilinguismo dice inglese.

L'ARGOMENTO DEI TANTI IDIOMI PARITARI che, coesistendo, allargherebbero gli orizzonti culturali di tutti senza nuocere a nessuno, non sembra trovare nessun appoggio in circostanze reali, presenti o passate.

Vediamo qual e' la situazione in Italia. La lingua della fisica, dell'informatica, della biologia e' esclusivamente l'inglese. Ma se l'Italia offre un terreno particolarmente favorevole all'anglicizzazione intensiva, anche a causa dell'assenza totale d'interventi autorevoli (che non mancano invece in Francia e in Spagna), la pressione dell'anglo-americano e' fortissima ovunque.

I1 lasciare che le cose seguano il loro corso porterebbe inevitabilmente all'adozione d' fatto dell'inglese come seconda lingua comune a tutti gli stati aderenti ai trattati di Roma; il che avrebbe conseguenze nefaste sul piano linguistico e sul piano culturale, cominciando naturalmente dalle nazioni più piccole e da quelle, come l'Italia, che si dimostrano meno tenaci nella difesa delle loro tradizioni e della loro individualità.

QUELLO CHE OCCORRE e' una lingua di scambio "neutra", tale da non mettere in pericolo la sopravvivenza delle altre.

E' irrealistico pensare sia alla lingua d'uno dei paesi minori dell'Unione sia a una lingua esterna.

Le obiezioni da fare a simili ipotesi sono evidenti. Violandosi il principio della parità di diritti, nessun membro dell'Unione accetterebbe come lingua veicolare quella d'un altro membro.

Ne' avrebbe senso rivolgersi all'esterno, anche quando vi fosse una chiara affinità culturale. Se si facesse un sondaggio d'opinione a questo proposito, si può prevedere che il risultato sarebbe schiacciantemente negativo

L'UNICA STRADA APERTA e' quella di mettersi d'accordo su una lingua pianificata, e adottarla come mezzo di comunicazione intereuropeo. O si fa così e senza indugiare, perché non diventi troppo tardi, o ci si rassegna a essere snaturalizzati e assimilati, a più o meno breve scadenza, alla civiltà anglo-americana (sempre più soltanto americana). Può anche piacere. Si può anche dire: sbarazziamoci di tutti i vecchiumi, di tutte le nostre questioni della lingua, delle letterature già in declino perché non più appartenenti a società in sé stesse vitali. Sentiamoci invece parte d'una grande famiglia animata da ideali di libertà e di benessere la cui lingua permette già oggi d'andare dovunque per il mondo senza preoccuparsi delle consuetudini locali (fonte, finché durano, di curiosi esotismi e di simpatici ricordini da esibire agli amici). In fondo questo e' il motivo o uno dei motivi principali per cui tanta gente va in America. Non potendoci andare, si tende a rendere i nostri paesi il più possibile simili al paese che ci attira come la calamita attira il ferro. E bisogna ricordare che l'impulso ad annullarsi in qualcosa di più grande e' uno dei più forti impulsi umani.

SE INVECE SI VUOL COSTRUIRE, noi Europei, un altro modello non necessariamente opposto a quello americano, ma diverso e meglio articolato, dove le caratteristiche delle singole etnie rimangano nonostante un'unione che si auspica sempre maggiore, allora bisogna agire in altro modo, più razionalmente e più difficilmente. E la prima esigenza e' quella della lingua comune: che non può essere se non una lingua artificiale.

FRA LE TRE POSSIBILITA' che ci si presentano: lingua inventata ad hoc da una commissione di linguisti (che con ogni probabilità finirebbe con l'affidarsi a un elaboratore elettronico), interlingua in una delle sue varietà, ed esperanto, e' da ritenere che si debba necessariamente scegliere la terza.

Una lingua di nuova coniazione, dovuta a un consesso di glottologi messisi miracolosamente d'accordo, o a un elaboratore in cui gli stessi glottologi avessero versato le loro idee e proposte, potrebbe in teoria uguagliare o anche superare l'esperanto: ma non avremmo nessun modo di stabilirlo in pratica, dato appunto che si tratterebbe d'un prodotto mai sperimentato (e non, come l'esperanto, in uso da più d'un secolo). Per quale ragione, poi, si dovrebbe procedere alla nomina d'una commissione (cosa già in sé piena di difficoltà) allo scopo di creare una nuova lingua artificiale, se risulta che una lingua artificiale progettata da un solo uomo cent'anni fa funziona egregiamente e risponde a tutti i bisogni d'una moderna società plurilingue? Serviamoci d'uno strumento che esiste già, e che ha fatto le sue prove, cercando caso mai di perfezionarlo.

GLI EUROPEI HANNO DAVANTI A SE' un obiettivo primario: l'unione in un solo stato. Uno dei mezzi per giungere all'unione e' l'accordo su una lingua comune. Esiste una lingua che armonizza elementi provenienti dai principali sistemi europei in una struttura razionale d'indiscussa efficienza. Questa lingua, già parlata in tutto il mondo, già in parte evolutasi durante i più che cento anni della sua esistenza, ricca di possibilità espressive, e di cui e' stato messo in rilievo il carattere formativo, e' l'unica che possa essere assunta, secondo logica, come lingua sovrannazionale dell'Unione europea.

All'interno dell'Unione l'insegnamento dell'esperanto dovrebbe essere impartito nelle due ultime classi della scuola elementare. Nel giro d'una generazione si raggiungerebbe così l'unita' linguistica - rispettando i singoli idiomi nazionali - almeno nella parte occidentale del nostro continente.

L'ITALIA E' UNO DEI PAESI più APERTI AGL'IDEALI EUROPEI. Perché non cominciare da noi? I1 rinnovamento scolastico potrebbe essere questo: promuovere, magari inizialmente in via sperimentale, l'insegnamento dell'esperanto nel quarto e quinto anno della scuola primaria. L'esempio italiano potrebbe mettere in moto un processo inarrestabile, e giovare più d'ogni altra cosa all'unione dell'Europa.

* Dalla Prefazione di Arrigo Castellani al volume di Andrea Chiti-Batelli: La comunicazione internazionale tra politica e glottodidattica, Marzorati, Milano, 1987.

**L'originale recava: "Negli attuali dodici Stati della Comunità europea si hanno dieci lingue ufficiali".



(A cura dell'Associazione Esperantista Fiorentina, marzo 2001).