Il 27 settembre 2006, l'Associazione Radicale "Esperanto" (ERA) ha partecipato al Convegno Internazionale in occasione della Giornata Europea delle Lingue, presso l'Università degli studi di Roma "La Sapienza". Giorgio Pagano, Se­gretario dell'Associazione, ha presentato una relazione dal titolo "Una lingua federante per l'Europa", che riportiamo di seguito:

Rispetto a quella guerra di religione globale sca­tenata dal peggior integralismo islamico oggi una realtà ben più concreta e terribile rispetto a quella sembra affermarsi : quella che possiamo chiamare senza falsi pudori guerra delle lingue. Ben più concreta e terribile non solo perché il patrimonio in gioco è ben più pesante in termini numerici rispetto a quello religioso ma, soprattutto, perché a differenza di quelle di religione, la Guerra delle Lingue non ha per obiettivo il mutamento della morale e/o costumi di ciascuno: bensì quello del pensiero di ognuno, dello strumento attraverso il quale pensiamo.

Le lingue non sono solo dei mezzi di comunicazione, che consento a una nazione di dialogare con un'altra nazione.

Sono anche dei depositi di culture e di identità. Ed in molti paesi l'avanzata onnivora dell'inglese minaccia di danneggiare o distruggere una buona parte della cultura lo­cale. Di ciò ci si lamenta spesso persino nella stessa Inghilterra: per quanto la lingua che oggi fa piazza pulita nel mondo si chiami inglese la cultura che da essa viene trasportata è quella americana.

In relazione a questa sorta di squalo delle lingue rappresentato dall'inglese l'Economist del 20 dicembre "Il trionfo dell'inglese: un impero con altri mezzi", il 10 Marzo 2002 l'Indipendent denunciava: "Linguicidio: la morte delle lingue. Ogni 2 settimane ne muore una", mentre il linguista britannico David Crystal d'ac­cordo con il collega canadese Krauss prevedeva un destino apocalittico per la diversità linguistica entro questo se­colo, con oltre il 90% di lingue in estin­zione. L'UNESCO nel suo Atlante delle lingue del mondo a rischio estinzione, che nella versione italiana è edito dalla mia associazione, è più cauto, stiman­do tale percentuale al 50%, delle quali, circa 160 lingue a rischio sono nel con­tinente europeo.

L'aspetto più paradossale e, franca­mente, vergognoso per la classe in­tellettuale italiana e non solo, è che la denuncia nasce in ambiente anglo­sassone. Dando la cifra della totale inconsapevolezza, dell'annichilimento e assoggettamento linguistico dei nostri studiosi, indotto o meno che sia. La Tove Skutnabb-Kangas ha indivi­duato le dinamiche costitutive di questo processo di assoggettamento: Un presupposto per persuadere gli in­dividui affinché sostituiscano la loro lin­gua madre con un'altra lingua, - spiega in Genocidio linguistico nell'educazione - sta nel progressivo annichilimento delle lingue e culture d'origine: attra­verso un discorso ideologico si presen­tano lingue e culture dominate come minoritarie, inadeguate o svantaggiate, rendendole in tal modo come dire "in­visibili".

Tre sono le fasi che la studiosa indivi­dua nella colonizzazione delle coscien­ze dei dominati:

1. ESALTAZIONE del gruppo domi­nante/di maggioranza: esaltazione della sua lingua, cultura, leggi, tra­dizioni, istituzioni, grado di svilup­po, attenzione ai diritti umani, etc.

2. STIGMATIZZAZIONE e svaluta­zione dei gruppi minoritari/ su­bordinati: le loro lingue, culture, leggi, tradizioni, istituzioni, grado di sviluppo, attenzione ai diritti uma­ni, etc, in modo tale da essere considerati non-civilizzati, primitivi, non-moderni, tradizionali, arretrati, incapaci d'adattarsi all'informazio­ne tecnologica, "democratica" e post-moderna.

3. RAZIONALIZZAZIONE delle re­lazioni tra i due gruppi: in senso economico, politico, psicologico, educativo, sociologico, linguistico, eccetera. In modo tale da consi­derare i gruppi di tipo A, dominanti, funzionali e utili per i gruppi domi­nati di tipo B: il gruppo dominante "aiuta", "sostiene", "civilizza", "mo-

dernizza", "insegna la democrazia", "garantisce i diritti", "evita i conflitti", "preserva la pace nel mondo", e così via. Se ci pensate è quello che è accaduto e sta accadendo in Europa dove, pro­prio a proposito di diritti e democrazia, siamo giunti a una situazione di discri­minazione linguistica che, benché con­dannata dall'Art. 2 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, viene palesemente e sempre più imposta. Discriminazione linguistica a favore dei popoli anglofoni che, come ha scritto Grin in "L'insegnamento delle lingue straniere come politica pubblica", la cui versione in italiano è d'imminente pubblicazione da parte della mia asso­ciazione, costa ai popoli non anglofoni 18 miliardi di euro l'anno: praticamente un punto percentuale del PIL della Gran Bretagna.

Quasi nessuno cerca d'approfondire quanto ci costa la tassa "inglese", quan­to e cosa rende agli anglofoni. Mentre per legge assicuriamo la discri­minazione linguistica dei nostri giovani favorendo quelli lingua madre inglese, sempre in termini di diritto sbaragliamo uno dei pilastri della democrazia, quel­lo delle pari opportunità, avvalorando legalmente una divisione per caste lin­guistiche della società europea dove si è "ariani" per lingua madre. Tale negazione di pari opportunità e pari diritti tra gli eurocittadini si traduce, dal punto di vista economico, in enor­mi vantaggi e passaggi di risorse che noi, Paesi non anglofoni, concediamo a quelli di madrelingua inglese e che po­tremmo riassumere in sei punti:

1. Si concede ai cittadini dei paesi anglofoni un mercato notevole in termini di materiale pedagogico, di corsi di lingua, di traduzione e inter­pretazione verso l'inglese, di com­petenza linguistica nella redazione e la revisione di testi.

2. I madrelingua inglese non devono mai investire tempo o danaro per tradurre i messaggi che trasmetto­no o desiderano comprendere;

3. I madrelingua inglese non hanno un reale bisogno d'imparare altre lingue e ciò si traduce, per i paesi anglofoni, in un risparmio enorme, a cominciare dalle spese d'istru­zione;

4. Tutte le risorse finanziarie e tem­porali che non vengono dedicate all'apprendimento delle lingue straniere, possono essere investite nello sviluppo, nella ricerca e nel-l'insegnamento/apprendimento di altre discipline;

5. Anche se i non-anglofoni compiono un considerevole sforzo per impa­rare l'inglese, non riescono mai, salvo eccezioni, ad avere un grado tale di padronanza che possa loro garantire l'uguaglianza di fronte ai madrelingua: a) uguaglianza nella comprensione, b) uguaglianza nei casi di presa di parola in un dibat­tito pubblico, e) uguaglianza nelle negoziazioni e nei conflitti.

6. A ciò va aggiunta la discriminazio­ne tra cittadini europei, anglofoni dalla nascita e non, nelle assun­zioni. Infatti sono centinaia e cen­tinaia gli annunci economici che, a livello europeo, offrono lavoro con il requisito English mother tongue (di madre lingua inglese) o English native speakers (di lingua inglese dalla nascita). Con la conseguen­za che cittadini europei pur con un'ottima conoscenza dell'inglese vengono comunque discriminati e non vengono assunti. Ciò accade persino, in barba ai Trattati euro­pei, da parte di organismi europei finanziati, in tutto o in parte dalla Commissione, e/o imprese private che hanno rapporti di lavoro con la stessa.

Insomma siamo in presenza di una politica "anglobàna" distruttiva dei diritti linguistici e delle pari opportunità tra i cittadini europei il cui centro motore può senz'altro essere considerato la Commissione europea la cui discrasia tra affermazioni di principio sul multi-linguismo e pratiche politiche opposte tese a favorire il monopolio linguistico anglofono è sotto gli occhi d'ognuno. Due episodi per tutti: il primo della Divi­sione difesa consumatori che nel 2004 cosi scriveva a tutti gli uffici europei nazionali:

«Al fine di evitare ritardi mediante la tra­duzione delle notifiche e in preparazio­ne dell'allargamento del sistema con 10 nuovi Stati Membri e 20, probabilmente 21 nuove lingue, gli Stati Membri sono pregati di notificare il più possibile in lin­gua inglese. Al fine di mettere in grado la Commissione d'inoltrare corretta­mente queste notifiche nel sistema, si prega gentilmente il personale di riferi­mento d'aggiungere una traduzione in inglese della notifica nel caso in cui la notifica fosse spedita in un'altra lingua. La Commissione comprende che ciò richiede agli Stati Membri di predispor­re le necessarie sistemazioni e quindi chiede loro di approntare i preparativi al fine di adempiere a tale richiesta entro il

I Maggio 2004».

II secondo, recentissimo, della costitu­zione da parte della Commissione di un gruppo di alto livello sul multilinguismo che, benché presentato come compo­sto da "membri politicamente indipen­denti ed estranei a interessi particolari di tipo nazionale o linguistico" nella qua­si totalità parla inglese e, per chi avesse voglia d'andare a vedere le pagine web dell'unico componente italofono, Rita Franceschini, noterà subito che il suo curriculum, è disponibile oltre che in tedesco solo in lingua inglese.

A tali politiche neocoloniali e autocolo­nizzanti se si risponde attraverso poli­tiche linguistiche innovative improntate a valori di pari opportunità, democrazia, rispetto e garanzia delle diversità, è possibile recuperare non solo una pro­pria stima linguistica ma, ancor più im­portante, costruire un'auto-rivalutazione funzionale a un progresso comune, non solo culturale ma anche economico e politico in senso federale dell'Unione europea.

Guy Heraud, tra i massimi esperti di fe­deralismo europeo, nella sua relazione al 36° Congresso del Partito radicale, spiegò come, per quanto concernesse gli Stati Uniti d'Europa, fosse di gran lunga più opportuno perseguirli attra­verso il federalismo linguistico che non attraverso la classica concezione del federalismo tra Stati i quali, in Europa, sono entità politiche alquanto etero­genee dal punto di vista della lingua e della cultura.

In un Federalismo linguistico il ruolo di lingua federale, veniva assegnato an­che da Heraud, alla Lingua Internazio­nale (comunemente detta esperanto) in forza della sua neutralità. "Infatti - con­tinuava l'Emerito Professore di Diritto - se tutti gli europei adottano come se­conda lingua comune una lingua come l'inglese, si pongono ipso facto in una situazione di semi-colonizzazione lin­guistica e culturale. Quando un popolo intero addotta la stessa lingua straniera, ha già fatto la metà del cammino verso l'imbastardimento e l'assimilazione."

La Lingua Internazionale in qualità di lingua non etnica, invece, da vita al federalismo linguistico, inaugurando un livello, quello federale appunto, che si situa su un piano diverso alle lingue etniche permettendone però, sussidia­riamente, la vita, senza scontri finali nei quali necessariamente devono esservi vincitori e vinti, lingue che vivono e altre che muoiono. Ma il potere salvifico per

le nostre lingue l'esperanto lo esercita non solo per la sua non etnicità bensi anche in virtù della sua semplicità e quindi facilità di apprendimento. L'in­glese rispetto all'esperanto, per quanto riguarda i tempi di apprendimento, ne esce malissimo, perché i rapporti sono di 20 a 1: ossia, se gli esperti indicano in oltre 10.000 ore il tempo medio d'ap­prendimento dell'inglese per l'esperan­to ce ne vogliono 500 per saperlo da super esperti.

Attenzione! Questo della facilità d'ap­prendimento non è un dato trascurabile per la cittadinanza europea perché ciò non solo ne consente un pieno appren­dimento nella scuola dell'obbligo a tutti i cittadini senza alcuna distinzione di ceto e più o meno alte capacità linguistiche ma, soprattutto, è essenziale per poter lasciare tutto il posto per uno studio libero e liberato delle lingue straniere. E dico liberato, poiché non ci sarà più bisogno di fare una scala di lingue im­ponendone o imponendosene la scelta in base alla potenza dei popoli che la parlano bensi, finalmente, la scelta pota farsi in base alla volontà di conoscere più a fondo usi e costumi di quel popolo piuttosto di un'altro.

Questa è la differenza abissale tra il sistema linguistico federalista e quello multilinguista tanto caro alla Commi-sione europea e non solo: il primo ga­rantisce le pari opportunità tra i cittadini appartenenti a tutti i ceppi linguistici eu­ropei, il secondo proprio perché obbliga a fare una scelta di merito in termini di vantaggi maggiori o minori agevola l'in­glese e solo l'inglese. Ma dirò di più. Qui ormai il rischio è che nei paesi non anglofoni gli unici insegnanti a vedersi garantita la piena occupazione saranno gl'insegnati an­glofoni e non quelli italiani. Per comprenderlo basta interrogarsi su come sta andando il processo del­l'insegnamento della lingua straniera in Italia:

Siamo partiti con la lingua straniera a cominciare dalle scuole medie, ci si è accorti che alla fine del liceo il francese gl'italiani lo sapevano ma l'inglese no, allora abbiamo messo la lingua stranie-

ra a partire dalla terza elementare ma anche così l'inglese gli studenti non riu­scivano a impararlo. Allora l'abbiamo messa fin dalla prima elementare e, obbligatoriamente, l'in­glese e solo inglese, ma pare che anche così l'inglese gli italiani non l'apprenda­no, si stanno quindi già sperimentando forme d'apprendimento dell'inglese alle materne.

Non solo, ci si sta rendendo conto che gl'insegnanti di lingua madre inglese sarebbero meglio, ma anche questo pare non basterà e c'è già qualcuno che ritiene sia necessario insegnare alcune materie in inglese, ad esem­pio matematica, filosofia, economia e, ovviamente, da matematici, filosofi ed economisti lingua madre inglese...

L'esperanto non ha e non ha bisogno d'insegnati lingua madre è, davvero, una sorta di lingua pubblica interna­zionale, di lingua di comunicazione sociale.

Secondo tali convinzioni, il 28 aprile scorso è stata presentata in Parlamento una proposta di legge, la n.129, "per la

difesa della diversità linguistico-cultura-le e per l'affermazione di valori di pace, democrazia e progresso, attraverso l'insegnamento della Lingua Internazio­nale esperanto". Tale proposta di legge è tesa a dare un'opportunità di comuni­cazione linguistica slegata dai rapporti di forza tra lingue di popoli più potenti e altri meno, dando l'opportunità ai gio­vani di poterla scegliere tra le seconde lingue straniere opzionabili. E' un'iniziativa che non vuole imporre una lingua, infatti non è previsto alcun cambiamento nell'assetto della riforma scolastica, bensì divulgarne le peculia­rità, diffonderne i valori e gli ideali che incarna, mettere in campo una lingua dei valori rispetto a lingue di interessi nazionali o, peggio, coloniali.

Spero di vedervi tutti insieme a noi a sostenerla affinché una nuova grande tappa di civiltà venga avviata e venga avviata nel nostro vecchio continente.

 

Giorgio Pagano

 

Da Translimen! del 16/10/2006