Il poeta esperantista sudafricano Edwin de Kock (1930) debutta nel 1961 con la sua prima raccolta di poesie Ombre della quarta dimensione (Ombroj de la kvara dimensio) edito dall'Editrice Stafeto di Juan Régulo, quell'editore delle Isole Canarie che per oltre mezzo secolo ha prodotto il meglio della letteratura originale in Esperanto. Edwin de Kock nasce in Sud Africa nel 1930, di razza bianca, impara l'Esperanto nel 1955, è insegnante di inglese e lingua afrikaans e subito scrive poesia nella lingua internazionale, iniziando un poema ciclico col titolo "Cinque elementi" (Kvin elementoj) che pubblicherà più tardi. Tuttavia alcuni stralci di quest'opera vengono già inclusi nella Esperanta Antologio (la prima raccolta antologica della poesia originale in Esperanto) pubblicata nel 1958, dai quali è subito chiaro che trattasi di un poeta di qualità e di una voce innovativa nel linguaggio poetico. Ma nel 1961, con Ombre della quarta dimensione, E. de Kock si rivela essere un poeta capace di dire cose nuove, sia come contenuti, sia come uso di un lessico e di una prosodia diversi nel panorama, fino ad allora, classicheggiante della poetica esperantofona. Infatti il volumetto include anche un suo saggio che teorizza un modo nuovo di intendere la metrica classica con un'applicazione più estesa dell'accentuazione trocaica nel verso in Esperanto.

Il poeta dimostra di essere padrone della sua arte ed abile manipolatore di ogni possibile latenza espressiva che la lingua gli mette a disposizione. La forza del suo pensiero, la sua capacità immaginativa, la sua freschezza nel trovare metafore inusitate lo pongono sicuramente ad un alto livello di intensità poetica che attira qua e là l'ammirazione dei critici, lo stupore dei lettori ed anche alcune incomprensioni nel mondo accademico esperantista.

I temi della sua poetica sono vari, ma tutti considerano l'uomo, l'individuo e la sua coscienza nei rapporti con l'altro, con l'uomo-confratello, che ha altre eppur simili problematiche da padroneggiare: ed ecco allora i temi della morte, dei rapporti fra i bianchi ed i negri, degli umili che sono alti e dei potenti che si fanno casta da condannare. Il poeta spesso sembra voler rompere una corazza che imprigiona l'uomo vero, per mettere a nudo un io in anelante timore di fronte ai perché della vita e della morte.

Ed ecco che scaturiscono versi inusitati, come i seguenti:

 

"Per laboro, ĝuo, asketismo " Col lavoro, il piacere, l'ascetismo
la Biblio aŭ psikologio – con la Bibbia o la psicologia -
la multegaj ismoj de la homo – le moltissime dottrine dell'uomo -
oni penas drogi la konscion, ci s'adopra a drogare la coscienza,
por malvidi la kernan vivproblemon, per non veder al nocciolo il problema,
kaj la solan veran malamikon, e l'unico ed il vero nemico,
vin, ho rikanaĉa morto!" te, o sghignazzante morte!"

 

Spesso de Kock usa una lingua figurativa, con concetti immaginativi sorprendenti, anche eccessivi che mettono il lettore a disagio nel trovare la chiave di immediata interpretazione per essere in sintonia con l'animo del poeta, oppure mette a nudo un problema di attualità, vedendolo dalla sua intima, personalissima prospettiva che sconcerta il lettore.

A mio giudizio, un punto altissimo di un simile poetare, è la sua lirica "Mateo 25:41-45" dove un Cristo di pelle nera visita, dopo duemila anni dalla prima venuta, un Sud Africa dell'apartheid e viene, come è immaginabile, ovunque scacciato. Ecco il finale lacerante di questa poesia:

 

Tial, pezpiede,                                                                            Perciò, con passo greve,

Li forstumblis al la stacidomo,                                                 Egli andò zoppicando alla stazione,

por ripozi sur ĉekaja benko,                                                    sulla panchina d'un binario a riposare,

ne vidante la surskribon NUR BLANKULOJ.                        ma non vide la scritta SOLO I BIANCHI.

Policano forbastonis Lin,                                                           Un poliziotto col bastone Lo scacciò,

frakase sur la kapo kaj la pojnoj                                              colpendo sulla testa e sulle mani

kiujn, iam,                                                                                      che, un tempo,

en alia Di-elektita lando                                                              in altra terra da Dio scelta

oni najle kaj per dornokrono batis.                                           furono da chiodi e da spine già trafitti.

Kristo forvojaĝis el ĉi lando,                                                        Cristo partì da questa terra,

kaj la suno ial ne briladas same                                               e il sole per qualche motivo non splende uguale

super urboj kaj la domoj sur la stepo.                                      sulle città e sulle case nella steppa.

4.6.1959                                                                                           4.6.1959

 

E l'uomo, per il poeta, non ha risolto e non sa risolvere i suoi problemi di fondo per creare un futuro migliore, ma con la sua poesia E. de Kock mette qualche importante mattone in più nella costruzione di quel futuro.